L’assalto al Campidoglio: i molti peccati di omissione

Non sono tempi facili. La cronaca –in questi ultimi mesi- si è crogiolata e non ha finito di farlo sulle libertà personali e democratiche pesantemente toccate iniettando pericolosi virus nelle coscienze e nelle parole di troppi commentatori in libertà, contestatori della divisione colorata del Paese, dei limiti appunto alle libertà personali e di movimento, alle scelte sulle maschere o sul dovere di tutti di attenersi alle prescrizioni mediche vedi antivirus.Poi, prima di andare a letto, la televisione abbaglia tutti con immagini forti che da subito appaiono inverosimili: il Congresso  degli Stati Uniti a Washington tenuto in ostaggio da una folla composita temuta per mano da una voce esterna che, opportunamente tradotta, dichiara “tenersi pronti” e di ripetuti rifiuti a promettere un trasferimento pacifico di poteri dal vecchio al nuovo Presidente eletto. Linguaggi e inviti lapalissiani.Cosa stava avvenendo? Un attacco violento alla democrazia. Di tutti. L’inaudito per gli Stati Uniti e per tutti i democratici del mondo. Un correre di cronisti e commentatori che, ora dopo ora, si sono fati persuasi che tutto quello che era ampiamente annunciato –e che troppi ritenevano impossibile- diventava realtà. Purtroppo anche con cinque vittime.Anni di promesse parolaie, quattro anni di risentimenti (compreso quello razziale bianco), di appelli vuoti e di sollecitazioni a varie bande…e, dall’altra, messi e mesi di  silenzi, di compromessi astratti e  di compromissioni palesi, di sorrisi acquiescenti; non solo di imitazioni di ogni genere tutto “first” e tutti con il pollicione sollevato all’in su in segno di vittoria (?). Di più. Anni di accreditamenti e blandizie, di viaggi fra l’atlantico per una foto da esibire nelle tante campagne elettorali e di applausi forse nemmeno richiesti.Non c’è un unico responsabile della debacle americana: nella considerazione di chi si è schierato con la bandiera a strisce anche quando sulle piazze si diceva il contrario e si guardava al libretto rosso di Mao o non si aveva il coraggio di riconoscere che i carri armati di piazza S.Venceslao non potevano essere l’approdo di una società libera e democratica.La libertà e la democrazia, ci è stato nuovamente detto a chiare lettere, non sono conquistate una volta per tutte: sono la battaglia di ogni giorno, perché la democrazia è condividere il potere, praticare la giustizia e garantire la libera comunicazione secondo leggi e non umori variegati. Libertà e democrazia sono un dopo e un tesoro prezioso che non può essere conservato in vasi di coccio.I primi limiti di questo esercizio –affidato alle mani di tutti- è quello di non accettare incompetenti, falsari e sbruffoni che pensano di guidare un Paese e una democrazia con la logica del tweet, rimangiandosi accordi firmati da altri a nome del proprio Paese, di impositori di una verità unica. Ecco il primo pericolo per la democrazia, la giustizia, la vita.In secondo luogo, è venuto a galla anche molto altro: quello che è accaduto fuori della Camera dei deputati e del Senato americano occupati e svillaneggiati da pittoreschi figuri convocati –ha scritto un teologo americano- è “la conseguenza di anni di cinica acquiescenza, di complicità e di vile silenzio.”  La potenza del tweet presidenziale è stata più forte di ogni moralità villipesa e di ogni bugia proclamata come verità incontrovertibile. La paura, insieme con la negazione di ogni verità, anche la più banale, ha preparato il terreno a questo ultimo colpo di genio.Infine, il voto e le alleanze praticate. Dopo l’insulto alla politica –intesa come la posizione del più forte alla quale si deve sacrificare in primo luogo ogni verità- viene il disprezzo del voto, fino al patteggiamento in nome di non si sa bene di quali valori irrinunciabili, compresi quelli sacrosanti sulla vita.  In tanti sapevano di avere scelto  (non per governare ma per vincere le elezioni) un candidato del quale avevano dovuto scusare per ogni sorta di malefatta, di incompetenza e brutalità non considerandolo –ad esempio tra i cattolici- un male preminente”. Omissioni gravissime di un popolo, di una nazione, di una comunità cristiana nelle diverse accentuazioni e divisioni insostenibili.Leader politici, opinione pubblica e mass media, uomini e donne di cultura, università ed educatori, un gruppo non piccolo di vescovi (nascosti opportunamente e ipocritamente sotto le vesti di non favorevoli al papato e praticamente disobbedienti) portano responsabilità insieme con l’elettorato, quello dei cattolici americani in primo luogo. Quando l’impegno politico è relegato all’ultimo capitolo nella formazione e la responsabilità delle scelte libera le coscienze, questo è il risultato. E’ tempo di porre rimedio all’orrore che abbiamo visto. Non basta dirsi sorpresi e amareggiati.