A margine dell’ultimo giorno di scuola

Stiamo per concludere un anno di scuola toccato (o stravolto?) per la seconda volta dalla forza del Covid19, una pandemia che però non possiamo più definire inedita o inattesa. Ma ci siamo mossi male. Sì, c’è stata qualche differenza rispetto alla chiusura completa dell’anno scorso, sia perché nella scuola da fine ottobre hanno funzionato a fisarmonica le attività in presenza, a seconda del riacutizzarsi dei contagi, tenendo conto dei decreti del Ministero della Salute e delle restrizioni ed aperture definite dai Presidenti regionali, sia perché in primavera il graduale ingresso delle regioni in zona gialla e poi in zona bianca ha permesso alla maggior parte degli alunni e degli studenti di ritornare in aula a terminare un anno scolastico complesso.Negli ultimi giorni di lezione, come un tempo era consuetudine, a gruppi sono tornati ad uscire per le nostre cittadine gli studenti accompagnati dai loro insegnanti. Ed un tocco di novità o meglio una vera sorpresa di fine anno, per i bambini della prima classe della scuola primaria di Povegliano Veronese, è stata scoprire il volto, l’intero volto sorridente delle loro maestre, tra le foto del grande tabellone che hanno trovato appeso alla parete della loro aula, mentre per tutto l’anno le avevano viste con la mascherina. Un volto che sorridendo dimostra accoglienza, perché la maschera copre davvero quello che ti dice la realtà e poi, come si chiede su La Repubblica il giornalista Michele Smargiassi, “Un sorriso imbavagliato è davvero un sorriso?”.È certamente positivo ritrovare nei comportamenti di tanti insegnanti motivati ed appassionati la capacità di riprendere il loro ruolo pedagogico, pur nelle difficoltà oggettive in cui lo svolgono, ma la constatazione che tuttora la dispersione scolastica rimane un problema sottostimato, nonostante sappiamo bene che (come ci dicono i dati della media nazionale) 1 ragazzo su 100 lasci la scuola media e 1 ragazzo su 7 abbandoni la scuola superiore, e che pertanto si acuiscono quelle situazioni di disuguaglianza che proprio la scuola, “aperta a tutti” per dettato costituzionale, deve contribuire a colmare. Come osserva Elisabetta Tola, giornalista di Rai3Scienza, le già profonde disuguaglianze esistenti nella scuola, sono state amplificate dalla pandemia, perché al di là della connessione più o meno presente, dall’aver o meno un tablet su cui seguire la Dad, sono estremamente differenti i luoghi, gli ambienti, i contesti familiari in cui le persone fanno scuola stando a casa.”Hanno una strana vita, i miei alunni, da quando è cominciata la Dad.” – scrive l’insegnante e scrittrice Vanessa Ambrosecchio -“Tutto un rimbalzare di neuroni… mentre muta il campo semantico della scuola:l’aula, i banchi, gli spazi tra le persone, gli scambi di battute tra coetanei”. Di fatto “La didattica a distanza è quello che succede quando si toglie alla scuola la concretezza dei corpi, uno spazio reale in cui incontrarsi, scontrarsi, condividere, crescere”. La neuropsichiatra infantile Tiziana Metitieri, dell’Ospedale Mayer di Firenze, sulla mancata o comunque carente integrazione scolastica degli alunni che vivono in stato di disagio sociale o che hanno affrontato recentemente lutti familiari per Covid o che hanno bisogni educativi speciali -che possono tradursi in condotte autolesionistiche- rileva come si tenda a medicalizzare qualsiasi approccio in loro aiuto. Invece “ogni sofferenza deve trovare ascolto nella comunità”, aggiungendo all’approccio pedagogico degli insegnanti gli interventi dei servizi territoriali (“Ma dove sono?”) evitando di ributtare con superficialità sulla Dad, allo scopo di  spettacolarizzare effetti non supportati scientificamente, perfino danni neuronali irreversibili. Eppure le tecnologie di per sé non sono negative e/o positive, ma sono uno strumento nelle mani dell’insegnante, da utilizzare integrando conoscenze di psicologia, di neuroscienza, di pedagogia applicate all’insegnamento/apprendimento.(Pietro Blu Giandonato su podcast di Valigia Blu).Nel ripensare quest’anno scolastico travagliato nella gestione e nell’organizzazione pratica, ancora una volta comprendiamo che “non se ne esce da soli”. Sebbene in altro contesto, è interessante il commento dell’Arcivescovo Gianpiero Palmieri, Vicegerente della Diocesi di Roma: “Finchè ci sei dentro, la crisi ti mostra tutte le sue negatività, ma quando poi spunta l’alba, ti accorgi quanto sia stata utile attraversarla. Ma va attraversata bene: cioè con l’umiltà di chi si riconosce fragile e bisognoso di camminare insieme agli altri”(Osservatore Romano).