Ermagora e Fortunato celebrati in Sant’Eufemia

Solenne concelebrazione eucaristica a Grado per la solennità dei Santi Patroni Ermacora vescovo e Fortunato diacono. Un momento per la comunità gradese, in comunione con quella di Aquileia, con le arcidiocesi sorelle di Gorizia e Udine e con l’intera regione, per ricordare il sacrificio dei due martiri aquileiesi. Ma anche per ritrovarsi nelle comuni radici cristiane dell’Isola. Le note della Missa Pontificalis (prima) di monsignor Lorenzo Perosi, eseguita a tre voci dalla Corale Santa Cecilia diretta dal maestro Annello Boemo, hanno scandito la Santa Messa delle 18.30 in un clima torrido che non ha scoraggiato, in ogni caso, i numerosi fedeli a partecipare alla funzione. Gradesi ma anche molti turisti che, presenti sull’Isola, si sono uniti in preghiera assieme ai locali. Un repertorio musicale di tutto rispetto, tra tradizione e contemporaneità. Non sono stati dimenticati l’Inno ai Patroni e l’Inno alla Chiesa, scritti da don Luigi Pontel su melodie popolari, una delle quali è proprio l’inno alla Madonna di Monte Santo, quasi a suggellare un’unione di fede nell’intera arcidiocesi, dal santuario mariano che ha unito per secoli quattro lingue e vari dialetti al santuario lagunare di Barbana e alla millenarie basiliche di Grado e Aquileia. A presiedere il rito l’arciprete parroco di Grado e Fossalon, monsignor Michele Centomo. Per l’occasione, oltre alla presenza come concelebrante di don Michele Baggi, attualmente in servizio a Budapest, in Ungheria, anche Wellington José de Castro, sacerdote studente a Roma e attualmente ospite del monastero di Santa Maria di Barbana. Presenti anche alcuni monaci del monastero lagunare in rappresentanza dell’intera comunità monastica. “Oggi ricordiamo due martiri che hanno perduto la vita: per il mondo sono irrilevanti, improduttivi, la loro vita è stolta, senza significato! Eppure, dopo quasi duemila anni ne celebriamo il trionfo, perché la loro vita, agli occhi del mondo “odiata”, è invece degna. È il paradosso continuo del Cristianesimo, di cui il Vangelo è pieno”, ha ricordato il sacerdote durante l’omelia. “Chiedo a me e a voi: ha ancora senso festeggiare i nostri patroni, oggi, in una civiltà telematica, così avanzata? Non ha il sapore di una cosa antica, sorpassata? E significato quale ha per noi oggi? Tutto questo avrà un futuro dopo di noi oppure è destinato a finire, come purtroppo farebbe intendere, e mi auguro sinceramente il contrario, il fatto che ormai sono sempre meno le famiglie che testimoniano i valori cristiani ai loro figli?”, si è domandato l’arciprete.”Si, ha ancora un significato celebrare la festa dei nostri patroni, perché sono i nostri Padri, coloro che ci hanno generato alla fede, quella genuina, non quella degli orpelli o dei tradizionalismi, ma quella dell’incontro con l’Amore, con Dio, che ci è Padre e Madre. Il loro patrocinio è stato sempre invocato per tenere la nostra cittadina al riparo dai flagelli e dalle calamità che lungo i secoli l’hanno colpita, pensiamo al tempo più acerbo della pandemia, quando qui, nella basilica chiusa, abbiamo celebrato per diversi mesi e, alla fine di ogni celebrazione, rivolgevamo la preghiera alla Vergine Maria e ai nostri patroni, perché come avevano liberato i nostri padri da altri flagelli e calamità, liberassero anche noi oggi dalla pandemia”, così monsignor Centomo. “La festa dei patroni è un momento privilegiato, bello, per guardare alla città e riflettere sul suo presente e soprattutto sul suo futuro”. E, ctando la seconda lettera ai Corinzi di San Paolo di Tarso, capitolo 4 versetto 7, “abbiamo un tesoro in vasi di creta”, ha sottolineato come “il nostro tesoro” debba essere amare “la nostra cittadina, come parte di noi stessi, come un patrimonio prezioso ricevuto dai padri e che siamo tenuti a tramandare alle nuove generazioni; facciamo che la sua convivenza sia serena, membri di una stessa famiglia, dove siano bandite divisioni familiari, sociali, culturali che turbano la pace; amiamo questa città, custodiamola, soprattutto i bambini come la pupilla dei nostri occhi, come la più grande ricchezza della città. Che le nostre case non conoscano l’angoscia della disoccupazione e dell’indigenza, ma siano sempre case di operosi lavoratori che si guadagnano con il sudore della propria fronte”, ha concluso il parroco. Prima della Liturgia Eucaristica la parrocchia ha ricevuto la visita di sua beatitudine monsignor Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. L’arciprete monsignor Centomo, dopo una breve visita accompagnati da Matteo Marchesan e dal vicario parrocchiale, don Nadir Pigato, ha donato al patriarca una croce pettorale patriarchina con le otto beatitudini. Un particolare ricordo di Grado che lega ancora, dopo secoli, la sede lagunare con la Terra Santa.