Dove vai Gorizia?

Dopo aver ospitato, sullo scorso numero di Voce Isontina, don Nicola Ban e don Fulvio Marcioni, il nostro percorso all’interno delle comunità goriziane e sulle prospettive per la città prosegue ora con don Carlo Bol¤ina, vicario episcopale per i fedeli di Lingua slovena e responsabile della parrocchia di Sant’Andrea, e don Moris Tonso,  responsabile dell’unità pastorale Lucinico – Mossa – Madonnina e decano del Decanato di Cormòns – Gradisca.

Don Moris, don Carlo, come stanno vivendo le comunità questo periodo di pandemia?don Moris: Anche le comunità in cui presto servizio, alla fine risentono delle problematiche di cui si sente parlare a livello più ampio. Al primo posto c’è indubbiamente la questione sociale, con i rapporti e le relazioni messi a dura prova; coloro che sono maggiormente colpiti sono le fasce più “fragili”: bambini, ragazzi, anziani; ma anche adolescenti e giovani. Segue la questione del lavoro, che per alcuni si è tradotta in una vera e propria crisi con tutte le relative conseguenze; e poi una sempre più diffusa incertezza generale che non aiuta a guardare con positività il futuro. Avverto anche una certa contraddizione: da una parte c’è questo bisogno di socialità, soprattutto quando vengono a mancare alcuni tradizionali e sentiti momenti d’incontro, ma dall’altra non so quanto realmente avvertiamo la necessità di ritrovarci assieme offline. Complici, forse, anche i canali social, fondamentali in questo momento; ma dall’altra non fanno che alimentare, soprattutto tra i giovani, la relazione virtuale che non può sostituire in tutto la relazione reale, l’univa vera espressione della vita dell’uomo. Insomma, alcuni problemi che c’erano prima, anche come Chiesa, a mio avviso questo Covid non ci ha aiutato granché a superarli come speravamo in un primo momento; anzi, forse alcuni si sono ulteriormente accentuati. Devo comunque dire che le comunità in cui vivo cercano il più possibile di far fronte a queste difficoltà e limiti imposti dalla pandemia. don Carlo: Sebbene il territorio della nostra diocesi non sia vasto, è però molto eterogeneo e multiforme. Credo di poter applicare la stessa osservazione alla vita delle comunità di cui faccio parte: in alcune la vita comunitaria procede secondo la prassi abituale, in altre la maggiore incidenza delle positività a livello locale e individuale ha rallentato, se non perfino arretrato le attività. Ci sono comunque dei denominatori comuni: una certa paura latente, più manifesta nella popolazione ultraottantenne; uno spirito individualistico e senso comune di disorientamento e inibizione; un calo di presenza all’assemblea festiva (più marcata nelle piccole comunità, meno nelle più estese); però, contemporaneamente, non posso negare la nascita di un nuovo modo di rapportarsi e destreggiarsi, ormai appreso e accolto. Dopo le titubanze iniziali, oggi chiunque entra in assemblea (che sia liturgica o di formazione o informazione o…) ha acquisito le nuove modalità di accesso: come una volta si entrava in chiesa e ci si scopriva il capo (maschi), si faceva il segno della croce immergendo la mano nell’acquasantiera e si (ahimè) salutava ad alta voce i presenti, così oggi si entra scaglionati, si controlla la mascherina, ci si igienizza le mani, si prende posto e, casomai, ci si saluta con un cenno. Ciò è ormai un modo ordinario di presenza comunitaria. Purtroppo, e lo dico con giusta amarezza, la pandemia ha “contratto matrimonio” con l’indifferenza: lo stato di emergenza è diventato un’attenuante (o perfino una scusante) per l’assenza, altrimenti non riesco a comprendere la mancanza di timori nella calca sulle piste sciistiche, nelle masse che si spostano all’interno dei Centri commerciali, nei luoghi di varia ristorazione, interni ed esterni ecc., mentre entrare in chiesa si ha paura. Però, qualche altra novità positiva c’è. Il Covid 19 ci ha fatto capire che i social sono disumani e alienanti, ma contemporaneamente sono un buon strumento per tacconare i vuoti, quando cioè le presenze fisiche sono impossibili. E a proposito dei mass-media: anche nelle nostre comunità è sorto un qui pro quo: qualsiasi celebrazione trasmessa dalla TV o dalla radio o da altri strumenti non è partecipazione viva ed attiva alla liturgia. Non me ne voglia nessuno, ma quello è come stare in teatro: si gode, si esce dalla platea entusiasti ed arricchiti, ma non si è attori. Invece nella liturgia o si è attori (di diverso grado) o non si è coinvolti. La messa seguita alla TV assolve dal precetto festivo? Puro moralismo che la Chiesa dovrebbe depennare.

Alla luce di ciò, dal vostro particolare “osservatorio” sulla città e sulla società, quali ritenete dovrebbero essere le priorità per la futura amministrazione comunale? Don Carlo, quali anche le necessità della minoranza slovena presente in città che crede dovrebbero avere particolare attenzione?don Carlo: La domanda richiama alla mia memoria il racconto evangelico del giovane ricco: cosa devo fare per avere una vita perfetta? Cosa dovrebbe fare un’Amministrazione comunale per essere perfetta? Visto che Gesù propone il decalogo, mi permetto di fare altrettanto.Coloro che prendono posto nel Consiglio Comunale e sui banchi degli assessori, Sindaco/a in testa, devono rendersi conto di essere in servizio ed a servizio. L’Enciclopedia Treccani pone al primo posto questa definizione del termine servizio: “In senso astratto, rapporto di soggezione o sudditanza; in partic., in epoca feudale, l’obbligo del vassallo di rendere tutti i servigi che fossero compatibili con la sua qualità di uomo libero. Nell’uso moderno questo sign. sopravvive nei seguenti casi: a. Col sign. di dedizione, impegno incondizionato nei confronti di un ideale, una fede, una comunità di persone”. Priorità assoluta: rendersi conto di impegnarsi in modo incondizionato a favore di una comunità di persone. Incondizionato! Poi si parla di comunità di persone: a me fa male, molto male (e lo dico da oriundo, sono un “giustino”, nato al San Giusto) la divisione tra città e periferia. Qualche esempio? Festa dei patroni della Città, che poi sono i patroni della municipalità: in questi ultimi anni noi siamo esclusi (già prima della pandemia); feste di Natale: città illuminata a giorno (se le luminarie funzionano), mentre gli addobbi della nostra piazza – materiali, cura e costi – sono a carico della parrocchia (e delle Associazioni locali); la Piazza Grande, in Centro, doveva essere rifatta dopo che la pavimentazione è saltata, ed è stata rifatta. A Sant’Andrea la piazza è rimasta uno scivolo sul bagnato e gelato, un barlume nell’illuminazione mai riparata (è durata meno di un anno), una scommessa di incolumità agli incroci, un’attesa di passaggi pedonali più visibili ai fruitori delle strade e di sicurezza per i pedoni. Pensa: una domenica d’inverno ho intravisto una fedele che arrivava in chiesa con in mano la luce dello smartphone, per il buio che c’era! Quindi, priorità prima: avere la veduta e l’attenzione ampie, non miopi sul centro cittadino. Un tanto a nome della frazione in cui dimoro. E aggiungo, dall’osservatorio sud della città, il problema scuola. Bene (o benino) la scuola d’infanzia, ma del tutto inadeguata la scuola primaria. C’è la possibilità di creare “l’angolo scolastico”, con due edifici esistenti e pronti all’uso, ma… La città? La città ha bisogno di un nuovo progetto commerciale e in relazione ad esso un nuovo progetto urbanistico. Ho amici e conoscenti, miei ospiti, dall’Italia e dall’Estero, che vengono a farmi visita. Li porto a fare un giro turistico nella “Nizza austriaca”. E cosa vedono o leggono? Saracinesche abbassate, portoni con le scritte vendesi, facciate fatiscenti. La nostra città, per il bacino che si ritrova, non sarà mai sede di grandi industrie, di grandi attività produttive, ma grazie alla sua collocazione sarà sempre un incrocio di genti e popoli, quindi ha bisogno di luoghi di ospitalità (bar, ristoranti, alloggi), di offerta (negozi, botteghe…), di cultura, formazione e scienza. Ma, certo, bisogna cambiare mentalità: al bando il prima noi, poi gli altri. O mettiamo gli ospiti (turisti, studenti, fruitori delle grandi kermesse) al primo posto o il posto ce lo scaviamo nella fossa.Comunità slovena? A me basterebbe che i consiglieri ed assessori comunali, Sindaco/a in testa, ritenessero le lingue e le culture una ricchezza e non una zavorra o un attacco alla Nazione. L’uso di due o tre (più giusto ancora) lingue ovunque, in pubblico ed in privato, è segno di una cultura suepriore, di un luogo con quoziente intellettivo molto elevato. Ed a Gorizia è così? Segnaletica stradale e storica compresa!don Moris: Non è facile per me rispondere a queste domande inerenti la realtà di Gorizia, in quanto mi trovo qui, tra l’altro in “zona periferica”, da soli 3 anni, di cui 2 segnati dal Covid. La mia è senz’altro una visione limitata; riporto pertanto un pensiero a partire da questa mia breve esperienza e da quanto sento dire tra le persone.Credo che da una parte diventi fondamentale salvaguardare e difendere le importanti realtà di cui la città già dispone; penso in particolare ai diversi servizi pubblici: istruzione, sanità, cultura, ambiente, commercio, ecc. Dall’altra, bisogna sempre guardare avanti cercando di promuovere e sviluppare ulteriormente questi ambiti, ovviamente attraverso un piano di iniziative concrete e attuabili. A mio avviso, un grosso problema prioritario è la questione della denatalità e quindi del calo demografico; come ben sappiamo, è una questione che non riguarda soltanto Gorizia, ma questo non deve portarci alla rassegnazione. Se non ci sono nascite, prima o poi un paese “muore”. Papa Francesco parla di “tragedia dell’inverno demografico” che “va contro le nostre famiglie, la nostra patria e il nostro futuro”. Oltre al sostegno concreto alle famiglie in formazione, pensando a Gorizia sarebbe già importante favorire la loro residenza all’interno della città, limitando trasferimenti in altri paesi. Legato a questo, forse, c’è anche l’altro problema delle case vuote. Trovandomi molto spesso a girare in bicicletta, vedo che ci sono tantissime case disabitate, sfitte, in vendita; forse, anche qui bisognerebbe pensare ad un nuovo piano di politiche pubbliche per superare questa situazione. Da questo punto di vista, un ruolo importante può essere dato sicuramente dai diversi immigrati che, con il giusto inserimento ed integrazione, costituiscono una vera e propria ricchezza, naturalmente non solo per questo; ma non possiamo fare affidamento solo su di loro. Inoltre, mi pare anche che molti di essi sono qui di pas saggio più che per stabilizzarsi.

Gorizia è una città che desidera guardare ai giovani, arrivare a loro. Cosa suggerireste, anche avendo avuto modo di confrontarvi direttamente con la cittadinanza più giovane? Quali i bisogni emergenti dei ragazzi?don Moris: Pensando ai ragazzi e ai giovani, la prima cosa che mi viene in mente è la scuola; sicuramente è un ambito prioritario della loro vita e dei loro interessi da come sento quando mi intrattengo con loro. Credo che la scuola e l’università di Gorizia offrano una buona qualità educativa e d’istruzione; nello specifico, non mi pare che ci siano particolari situazioni di disagio come magari si avverte in altre realtà. C’è purtroppo la tendenza da parte dei giovani, anche questa abbastanza generalizzata, di andare via in altre università già una volta ultimate le scuole superiori. Forse anche questo è uno dei risultati della globalizzazione e indubbiamente rappresenta anche una ricchezza per la formazione di un ragazzo. Tuttavia, come già prima accennavo, questa tendenza porta ad un inevitabile allontanamento dalla città delle fasce più giovani che rappresentano una vera e propria risorsa per il territorio. Sarebbe importante riflettere e interrogarci tutti quanti sulle motivazioni di questa scelta; se è una questione di educazione famigliare, o della stessa formazione scolastica, o una mera questione di mentalità attualmente diffusa e condivisa. Investire e potenziare ulteriormente il modo universitario e del lavoro diventa sicuramente un modo per farsi più vicini ai giovani e ai loro bisogni. Oltre a questo aspetto, diventa importante continuare ad offrire loro anche dei luoghi ricreativi ed accoglienti, capaci di salvaguardare sempre la loro crescita ed educazione. A questo proposito, i “nostri” oratori possono giocare un ruolo importante, magari potenziando ulteriormente la collaborazione con il Comune. In questi ultimi mesi, proprio in città sono arrivati altri salesiani, “esperti” nell’educazione giovanile; la comunità salesiana si è trasferita al “San Luigi” e questo contribuirà senz’altro, nel tempo, a rilanciare ulteriormente la struttura quale polo e punto di rifermento sicuro per tutti i bambini, ragazzi e giovani di Gorizia. Da questo punto di vista, un ruolo importante nel passato è stato ricoperto anche dalla “Stella Mattutina” con la presenza dei gesuiti; l’augurio che possa continuare ad essere un luogo di formazione ed orientamento per i giovani come da programma.don Carlo: Ora, permettetemi di essere vecchio, di spostare i miei occhi dal volto alla nuca e guardare a ritroso. Ricordate i sogni ed i progetti del defunto sen. Bratina e di molti intellettuali della Città alla fine dello scorso millennio? Creare una rete universitaria, con la presenza e la partecipazione di Atenei o almeno Facoltà ed Istituti che hanno sede in diversi Paesi? La vocazione di Gorizia è UNIRE, non dividere. E allora dare una nuova, fortissima scossa alla realtà accademica, con la realizzazione di tutta l’infrastruttura necessaria per lo studio, lo svago e la tela delle amicizie dei giovani. Ma anche dei Campus per gli adolescenti (le scuole superiori). Il Monastero delle Madri Orsoline: c’è sito migliore per un Collegio del mondo unito (su esempio di altri nel mondo, vedi Duino)? Ad esempio un College of music! Il vecchio Ospedale: Ritornare alla visone europeistica del passato e coniugarlo con il fratello di Šempeter (che poi non è fratello, ma figlio, costruito all’epoca come contrapposizione dell’ospedale “taliano, fascista” – purtroppo questa era la concezione della classe dirigente d’allora!) E in  queste due strutture correlate e condivise creare una scuola ad alto livello professionale per i futuri medici ed operatori sanitari.Abbiamo già dimenticato il Convito infermieristico delle Suore della Provvidenza che era un fiore all’occhiello per tutta l’Italia?

Nei prossimi anni Gorizia dovrà affrontare la grande “sfida”, insieme a Nova Gorica, verso la Capitale della Cultura europea. Cosa ne pensate a riguardo? Cosa cogliere ma anche cosa offrire con quest’opportunità?don Carlo: Sarò sincero: non ho esultato alla notizia della nomina. Non siamo pronti. Intendo nella metalità, nello spirito, nella politica. Soltanto quando spariranno dal nostro lessico i due pronomi personali NOI e LORO potremo ritenerci pronti. Ma, per non essere considerato pessimista o distruttivo, auspico dei progetti comuni che frantumino le rivalità tra le due realtà (io non parlo di due città, la città è una, con due facce della stessa medaglia. I Goriziani questo lo sappiamo, gli altri inizino a scoprirlo). L’ appellativo “Città della cultura” avrà senso soltanto se seguirà tre percorsi susseguenti: il periodo della progettazione, il periodo della celebrazione e, dal 2026 in poi, il periodo della realizzazione. Se il 31 dicembre 2025 abbasseremo il sipario e diremo: è stato bello!, non avremo capito e acquisito nulla della cultura, perchè la cultura non si fa e si distrugge, ma si vive. E dopo il 2025 la vita continuerà… spero.don Moris: Anzitutto mi permetto di dire che deve essere un motivo di sano orgoglio per tutti quanti noi; un’occasione che ci porti ad avere ancora più stima e ammirazione per la città in cui viviamo assieme a Nova Gorica. Essere Capitale Europea della Cultura rappresenta sicuramente una grande opportunità per Gorizia per valorizzare ulteriormente la sua posizione e il suo ruolo all’interno del territorio in cui è inserita imparando a credere sempre di più nelle sue risorse e potenzialità. Sicuramente una parte importante è la sua storia, se pensiamo soprattutto al secolo scorso, ma non solo; il suo essere “sul confine”, crocevia di diversi popoli, culture ed etnie, rappresenta indubbiamente un riferimento a cui guardare ed imparare per la crescita della civiltà europea. A mio avviso diventa pertanto un’occasione per farsi conoscere, per attirare le persone, per far arrivare gente in città e, perché no, anche per attuare o portare a compimento eventuali interventi atti a qualificare ulteriormente il territorio goriziano. È anche un’opportunità per avvicinarsi e collaborare ulteriormente con la vicina Slovenia, per imparare dalle cose belle e positive che Gorizia e Nova Gorica offrono, attraverso un confronto e scambio reciproco.

Per finire, dovendo descrivere ora Gorizia attraverso un’immagine, quale sarebbe?don Moris: La prima immagine che mi viene in mente è quella di una quercia, una robusta e solida pianta secolare che affonda in profondità le sue radici. Una quercia dalle foglie verdi che, se ben curata, può ancora fiorire a dare buoni frutti per l’avvenire.don Carlo: Vangelo di Luca, capitolo 9, versetto 62.