La responsabilità cui è chiamata Gorizia
23 Marzo 2022
Una ventina di giorni fa ho avuto il dono di partecipare a un incontro a Firenze, durato cinque giorni, di 60 vescovi rappresentanti le Chiese delle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo: dai Balcani, alla Turchia, al Medio Oriente, all’Africa del nord, fino alla Spagna e alla Francia e naturalmente l’Italia. In contemporanea si è svolto nella stessa città toscana l’incontro di altrettanti sindaci, sempre di nazioni bagnate dal Mar Mediterraneo. Gli ultimi due giorni ci si è trovati insieme, vescovi e sindaci, e si è firmata una dichiarazione comune, la “Carta di Firenze”, molto interessante e impegnativa.Ma non vorrei fermarmi su di essa, quanto piuttosto raccontarvi una piccola esperienza personale che può essere importante per la celebrazione che stiamo vivendo. Ho partecipato all’evento di Firenze in quanto presidente di Caritas italiana, ma la cosa che mi ha colpito è che nei diversi scambi avuti con molti vescovi e alcuni sindaci ciò che interessava di volta in volta il mio interlocutore era certo la Caritas, ma soprattutto (e talvolta esclusivamente) Gorizia, il suo essere posta sul confine tra il mondo latino e il mondo slavo, il suo essersi trovata al centro di due conflitti mondiali, il suo essere collocata in un territorio diviso dalla guerra, il suo percorso di riconciliazione con la città vicina. Devo riconoscere che c’è un interesse verso la nostra città, anche al di fuori dell’Italia e della vicina Slovenia, più ampio di quello che immaginavo o che forse tutti i goriziani – un po’ sempre autocritici e portati alla svalutazione della propria città… – pensano.Questa esperienza mi ha portato a riflettere sul prossimo appuntamento del 2025 e a riprendere l’intuizione che ho cercato di esprimere lo scorso anno semplicemente invertendo i termini: non tanto Nova Gorica e Gorizia insieme “capitale europea della cultura”, ma “capitale della cultura europea”. Se per cultura non intendiamo solo l’insieme delle espressioni letterarie, storiche, artistiche, ecc. che caratterizzano un popolo o anche più popoli uniti da particolari legami, ma i valori (o, a volte, purtroppo, anche i disvalori) che determinano il pensare, il sentire, il valutare, l’agire di quella porzione di umanità, allora l’essere “capitale” di tutto questo, l’essere cioè senza alcuna pretesa di grandezza, però con molta verità, chiamati a rappresentare il segno di ciò che è la cultura europea, allora la responsabilità della nostra città unitamente a Nova Gorica è molto grande.Una responsabilità accresciuta dal drammatico momento storico che stiamo vivendo in Europa e che tutti ci preoccupa, ci rattrista, ci interroga e ci spinge ad agire, almeno garantendo con generosità accoglienza a chi fugge dalla guerra. Vorrei ribadire in questa occasione il ringraziamento mio personale e della nostra Chiesa diocesana a quanti, singolarmente o comunitariamente, anche nella nostra città si sono immediatamente attivati per aiutare chi è vittima di questa tragedia. Abbiamo sperimentato anche in un passato recente la capacità di Gorizia di essere luogo di accoglienza: è successo negli anni Novanta del secolo scorso con gli uomini e le donne in fuga dall’Albania o dai paesi della ex-Jugoslavia ed in tempi più recenti con chi è giunto in riva all’Isonzo, in un viaggio iniziato in Africa o in Asia. Oggi questa disponibilità si ripete e non può sorprendere chi sa guardare a fondo nel cuore dei goriziani.Tornando al prossimo appuntamento del 2025, è necessario domandarci che cosa possiamo fare in concreto per corrispondere alla responsabilità che ci è stata data? Mi permetto di offrire con semplicità alcuni suggerimenti. Il primo è quello di riflettere con pacatezza e profondità sulla situazione che stiamo vivendo, senza eludere alcune domande fondamentali. Anzitutto: come è possibile nel XXI secolo che nel mondo, ma in particolare nel cuore dell’Europa, si ricorra ancora alla guerra per risolvere controversie, tensioni, contrapposizione di interessi, ecc.? Come è possibile fare affidamento sul presunto diritto del più forte, decidere di aggredire un popolo, non rispettare il complesso di norme che il diritto internazionale ha elaborato soprattutto dopo la seconda guerra mondiale per garantire a tutti pace e giustizia? Come è possibile che ci sia guerra tra popoli che hanno una radice comune in molti valori della cultura, della spiritualità e soprattutto condividono la stessa fede cristiana, venerando gli stessi martiri, come i nostri patroni che oggi celebriamo, e ascoltando lo stesso Vangelo come quello appena proclamato che invita a seguire Cristo nel dono della vita? Vorrei che affrontassimo queste domande non in astratto, ma a partire anche dalla dolorosa esperienza di Gorizia del secolo scorso. Non è giusto dimenticare il passato – anche perché purtroppo ritorna – ma non ci si può limitare solo a tentare di ricostruire le varie responsabilità, le colpe dell’uno o dell’altro, i tragici conteggi delle vittime. Occorre invece affrontare le questioni di fondo. Come europei ho l’impressione che abbiamo archiviato troppo velocemente il ’900, senza domandarci il perché l’Europa, erede della cultura classica e umanistica, della filosofia dei greci, della cultura giuridica dei romani, dei valori del Vangelo sia diventata la culla di nazionalismi, di ideologie distruttive come il razzismo, il nazismo, il fascismo, il comunismo e tante altre, e il grembo generativo di due devastanti guerre mondiali. La nostra città, il nostro territorio che ha ancora le cicatrici evidenti di quei disastri, potrebbe aiutare l’Europa a riprendere una riflessione autentica sul suo passato e sul suo presente.Ma non basta avere maggiore coscienza del passato e dei suoi perché, occorre poi operare concretamente nel presente anche alla luce delle amare esperienze degli scorsi decenni. Gorizia ha percorso più di un passo sulla strada giusta, spesso insieme a Nova Gorica soprattutto dal 1992 in poi, per costruire un itinerario di pace, di riconciliazione, di crescita comune. Un percorso che deve continuare trovando anche modalità nuove. Ho l’impressione che altri ci credano più di noi, per esempio il Presidente della Repubblica, cui ho scritto in occasione della sua rielezione ringraziandolo per la sua attenzione alla nostra città, che ha più volte citato nei suoi interventi in vista dell’appuntamento del 2025, oltre che per la sua visita ad Aquileia (e mi ha risposto con un biglietto autografo proprio un paio di giorni fa). A questo proposito una prima semplice proposta è quella di favorire sempre più la conoscenza, lo scambio e l’agire comune tra le due città e i loro territori e, all’interno di essi, tra le varie culture, lingue e sensibilità. È quello che come comunità cristiana stiamo cercando di fare, anche tra i sacerdoti e i fedeli delle due città e del territorio, nonché mantenendo rapporti cordiali con i vescovi della Slovenia e anche delle altre nazioni vicine. Aggiungo un secondo suggerimento che può apparire forse semplicistico, ma che ritengo invece importante. Molte famiglie di Gorizia e del territorio di antica data, ma anche quelle più recenti, hanno una presenza di persone di diversa lingua, cultura e provenienza. Perché non prendere maggiormente coscienza di questo interessandosi della lingua e della cultura della nonna slovena, piuttosto che dello zio friulano o del papà meridionale o del bisnonno austriaco? Ci sono nelle famiglie goriziane delle potenzialità di sviluppo di una vera cultura europea di pace “dal basso”, che attendono solo di essere attivate.Un’altra pista che già si sta percorrendo e da potenziare ulteriormente è quella dell’azione comune tra le due città. Va bene realizzare delle opere comuni, ma ancora più importante è agire insieme e continuativamente su alcuni ambiti significativi. Ne indico due. Il primo è quello dell’attività assistenziale-caritativa. Ho già ricordato la generosità di Gorizia nella drammatica situazione di questi giorni, ma l’azione a favore dei profughi ucraini potrebbe essere ancora più incisiva se vedesse l’impegno comune di realtà solidaristiche delle due città sia cristiane, sia laiche. Si fa già qualcosa insieme per i poveri e i bisognosi (per esempio, le due Caritas sono in continua relazione e spesso agiscono insieme), ma potremmo fare ancora di più anche oltre l’emergenza attuale e in modo sempre più coordinato ed efficace. Il secondo è l’ambito educativo. Torno all’esperienza di Firenze circa il Mediterraneo come frontiera di pace. Mi pare che in quella sede la proposta più concreta, per altro venuta dai sindaci, sia stata quella di creare una “Università del Mediterraneo” con più sedi nelle città delle diverse sponde del nostro mare, con lo scopo di favorire la conoscenza tra i giovani provenienti da diversi popoli e culture, la loro crescita comune, la loro ricerca a favore di una scienza e di una cultura di pace. Non si potrebbe riprendere in termini europei la vocazione universitaria di Gorizia (con Nova Gorica), che stenta ancora a trovare una sua configurazione matura? Continuiamo ora la celebrazione eucaristica affidando alla preghiera e all’intercessione dei nostri patroni questi propositi di impegno per la cultura e la pace europea. Patroni, Ilario e Taziano, che hanno dato la vita per quello in cui credevano, insegnandoci a non essere uomini e donne che parlano e discettano di pace, ma che pagano di persona impegnandosi concretamente per il bene di tutti. Lo vogliamo fare sentendoci parte di questa bella nostra città e assumendo con coraggio le responsabilità che le spettano.
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