Il volto femminile della riforma basagliana

Nel ritratto che Franca Ongaro diede di sé forzando l’abituale riservatezza, si legge: “Per molti anni firmavamo Franco e Franca Basaglia. C’era una totale identificazione nell’impresa di Franco. Anche eravamo molto diversi (io sono più rigida) avevamo cose fondamentali in comune. Nella ripartizione dei ruoli la scrittura ero io, quindi mi è difficile dire o riconoscere quello che era dell’uno o dell’altra. Le cose nascevano insieme da un continuo confronto. Per questo ho difficoltà a parlare di Franco senza sentirmi coinvolta in prima persona”.La rivoluzione culturale che, iniziata a Gorizia, portò alla dismissione dei manicomi, non si comprende appieno senza il contributo determinante di Franca Ongaro, al fianco del marito Franco Basaglia nell’elaborazione di un rovesciamento di prospettiva foriero della restituzione di dignità e diritti a quanti, affetti da patologie psichiatriche, ne erano stati brutalmente privati.Lo conferma e illumina il saggio di Annacarla Valeriano “Contro tutti i muri. La vita e il pensiero di Franca Ongaro Basaglia” (ed. Donzelli, 2022), la cui presentazione a Gorizia avrà luogo sabato 16 luglio, alle ore 18.30, nella sede del Pastor Angelicus.L’autrice delinea il profilo di una studiosa caparbia sottraendola al cono d’ombra che l’avvolgeva quale “moglie di”, valorizzandone l’impegno civile nell’abbattimento di muri reali e simbolici, ben oltre il perimetro del frenocomio.Nell’autunno del 1961, allorché il nuovo direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia varcò la soglia del manicomio scoprendovi la disumanità, la moglie Franca gli era accanto, un passo indietro, in profonda consonanza.Lui fantasioso, lei pragmatica, disegnarono insieme il progetto politico del cambiamento, riportando al centro i bisogni dell’individuo e il valore della libertà di ciascuno. Con l’obiettivo che la trasformazione, dall’interno dell’istituzione, investisse la società che “i matti” aveva escluso dalla vita segregandoli in un contenitore antiterapeutico di disturbi psichici, a pochi metri dal valico confinario con la ex Jugoslavia. Fu Franca Ongaro ad introdurre nel lavoro d’équipe l’apporto degli studi sociologici da cui avrebbe mutuato l’esigenza di risalire alle cause sociali della malattia mentale. Lunghe discussioni accompagnarono la gestazione di una riforma partorita con la testa mai staccata dal cuore.Scritta “a quattro mani” dai coniugi Basaglia, a cui si deve, tra gli altri, “Morire di classe” (1969), reportage di denuncia dell’orrore manicomiale che, rendendo visibili negli scatti di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin le reali condizioni degli internati, fece scalpore producendo un movimento d’opinione a sostegno del rinnovamento che avrebbe reso, l’impossibile, possibile.Facendo perno sul lavoro della comunità terapeutica nell’umanizzare l’istituzione e nell’aprirla alla collettività perché ne prendesse coscienza e riaccogliesse in seno vite sino ad allora lasciate scorrere ai margini, senza provare a capirle.Dopo la prematura scomparsa del marito, la Ongaro, da senatrice nel gruppo di Sinistra indipendente, ne continuò l’opera difendendo la legge 180 e occupandosi della sua concreta attuazione; appoggiò le associazioni dei familiari dei malati di mente e concepì strutture alternative ai manicomi che fossero “ad altezza di umanità”.Non da ultimo, si spese in favore delle donne svelando gli stereotipi legati alla malattia mentale femminile e adoperandosi per l’apertura dei primi centri antiviolenza.Sempre dalla parte dei senza voce, a cui ridare libertà di espressione. Come ai tempi dell’avventura di Gorizia, quando Franca e Franco Basaglia condivisero l’arte del prendersi cura riconoscendo nei sofferenti psichici la comune radice umana.