Catechista, voce del verbo testimoniare
14 Settembre 2022
Accolti dalla parrocchia di San Canzian d’Isonzo, i catechisti della diocesi si sono ritrovati nelle sere dal 5 al 7 settembre per il XXIII Laboratorio Formativo dal titolo “Catechisti, testimoni coraggiosi e credibili”. A far da cornice, i momenti di preghiera proposti da don Francesco Fragiacomo presso la chiesa parrocchiale dei Santi Martiri Canziani. È stata una preghiera in compagnia di alcuni santi: i santi Canziani, il venerabile Egidio Bullesi, il beato Carlo Acutis . Sono testimoni che veneriamo e che in mille modi diversi ci rimandano a Gesù Cristo, unico Signore e Mediatore tra Dio e l’uomo.”Fatti non parole… in ascolto delle prassi”. La prima serata si è caratterizzata dal racconto di tre esperienze. La catechista Adele Unterweger di Trieste con esperienza trentennale, ha messo in evidenza come il catechista possa essere un esempio nel cammino di fede per giovani e adulti in un cambio d’epoca come il nostro.Invece, Vanessa Rieffe Marcon, originaria del Brasile, ha iniziato a soli 16 anni a fare la catechista in una realtà molto diversa da quella italiana. Vanessa, dopo la laurea, ha raccontato di aver lavorato come impiegata in banca. Sentendosi demotivata, decide di dare una svolta alla sua vita. Si laurea in pedagogia e, dopo aver abbandonato il lavoro, partecipa a una scuola di missione a Roma per un anno: mattina formazione, pomeriggio servizio caritas ed evangelizzazione. La missione la porta in vari luoghi del modo. A Barcellona conosce suo marito, un italiano che vive in Spagna per lavoro. Insieme decidono di venir ad abitare a Campoformido (Ud). Dal loro matrimonio nascono tre figli. La sua tenacia e forte fede porta il marito ad avvicinarsi alla comunità parrocchiale fino a diventarne un appartenente attivo. Vanessa è da poco insegnante di religione. Impegno assunto dopo una laurea, presso ISSR di Udine. Nonostante i tre figli e i molti impegni non ha mai abbandonato la sua vocazione a essere catechista, servizio che svolge nella diocesi di Udine. Anzi ha narrato come la presenza dei figli abbia aiutato a creare un rapporto più familiare con i bambini e i loro genitori.Infine, Elena Scarparolo catechista proveniente da una parrocchia della periferia di Vicenza.La sua testimonianza si è concentrata sullo scorso anno. La pandemia ha portato tutti i catechisti a rinunciare al servizio. Come fare? L’incontro sincero e chiaro con i genitori dei bambini e ragazzi del catechismo e la richiesta di aiuto con la presenza e il supporto hanno reso possibile ciò che sembrava impossibile. Momenti di formazione per genitori e nonni, l’angolo di preghiera creato in chiesa, piccole dinamiche e attività da farsi in famiglia a casa, hanno reso fecondo l’intero anno. Dall’esperienza non solo si è potuto preparare ai sacramenti, ma sono nate l’animazione all’Eucarestia domenicale, la formazione di un piccolo coro, l’attivazione dell’oratorio parrocchiale, ma soprattutto l’accompagnamento dei genitori fatto di relazioni vere e autentiche.Le tre testimonianze hanno creato in tutti i presenti una nuova sinergia nel collaborare, emersa nella seconda parte del laboratorio di studio, quando i partecipanti divisi in gruppi sono stati invitati a riflettere su quanto ascoltato per poi confrontarsi con i relatori.”Catechisti, testimoni della fede”. Il giovane salesiano don Stefano Pegorin, direttore dell’opera La Viarte, dialoga apertamente con i catechisti, raccolti nella loro seconda giornata del laboratorio di formazione. Il suo contributo prende avvio con i ricordi della sua vita di infanzia, con la propria famiglia, per poi proseguire con riferimento ai primi approcci al mondo dei salesiani in età adolescenziale, per giungere fino alla sua vocazione sacerdotale, che ha avuto il coraggio di accettare come una proposta da vivere, come un viaggio avventuroso al servizio e alla dedizione degli altri, senza tappe prestabilite e priva di una progressione armonica. Nel suo dialogare con i catechisti presenti il giovane sacerdote sottolinea che il compito dei testimoni di fede, che essi siano religiosi o religiose, o laici o catechisti, è quello di “sbriciolare” la propria testimonianza sulla strada, nella vita di ogni giorno, possibilmente in modo non formale e non intenzionale, per essere così più efficace e spontanea. Ecco perché, sottolinea don Stefano, il catechismo deve essere “in-utile”, dove con questo termine si ricomprende il concetto di inutilità intesa come dono, perché un dono non è utile di per sé, ma lo si riceve da qualcuno che ci ama e perciò va accettato per questo. Pone poi l’accento su cosa deve fornire realmente il catechismo, evidenziando che più che un programma da svolgere deve servire ad avere gli occhi puntati sulla vita dei bambini e ragazzi affidati, ad essere attenti a quanto sta “fuori” della pura ora di incontro, alla comunione di vita; solo in questo modo si renderà feconda l’azione di catechesi. Dopo un sereno momento conviviale tra i partecipanti allestito nei curati spazi esterni dell’oratorio e della canonica, la serata prosegue poi con i proficui lavori di gruppo, nei quali attraverso alcune dinamiche hanno avuto modo di riflettere sui quei gesti di bene che hanno ricevuto nella loro vita e che li hanno portati ad essere qui ora per poi capire che il bene genera altro bene.”Il valore pedagogico della testimonianza”. Claudia Simonetto FMA, psicologa ed educatrice professionale, si è soffermata sulla figura dell’adulto, chiedendosi “come possono fare bene i ragazzi se nessuno fa più l’adulto?”. La tesi di fondo è che se parliamo di testimoni coraggiosi e credibili dobbiamo avere come orizzonte l’adulto. Privi di figure di adulti significativi i bambini, i ragazzi, giovani sono orfani. Il catechista deve essere un adulto che aiuta a mettere le cose in chiaro sul senso della vita. Che gli adulti non siano adulti coinvolge tutti indistintamente. Ma chi è l’adulto? “L’adulto è colui che si assume le conseguenze dei suoi atti e delle sue parole”. L’adulto è colui che si distingue a livello generazionale. Per un adolescente: “mi devo distinguere da te, ma se tu fai le stesse cose che faccio io, io che cosa faccio?”. Per un bambino: “se tu pensi di fare per me tutto quello che potrei fare io, io quando imparo?”. Allora, la difficoltà delle nuove generazioni nasce dal fatto che il ruolo dell’adulto a livello educativo rimane vuoto. In questo modo, diventa difficile sentirsi figli. Questo ha notevoli conseguenze nella trasmissione della fede, la quale vive della relazione padre-figlio. Va’ restituita “attrattiva specifica e dignità morale all’ambizione di essere adulti”, perché, poi, va’ di pari passo l’essere un credente adulto. La relatrice, a questo punto, è passata a riflettere dall’adulto all’adulto testimone, domandandosi “perché dovrei essere come te?”. Sottolineando come le strutture, i programmi, i sussidi… vengano dopo i catechisti, ma soprattutto dopo le comunità ecclesiali, e vengano dopo la condivisione di fede delle persone, suor Claudia ha presentato “sette tratti adulti del testimone […] da coltivare per migliorare il nostro essere adulti e da mettere in correlazione con alcune sfide educative”. I sette tratti presi dal cofanetto Via della Resurrezione. 8 parole per rinascere sono: umiltà, fiducia, libertà, leggerezza, perdono, fedeltà, tenerezza. Il dopo cena ha visto i partecipanti impegnati nei lavori di gruppo con il mandato di scegliere uno dei tratti dell’adulto e di pensare a una maniera (parole, gesti, preghiera, canzone, poesia, attività…) per “presentarli” a quanti accompagnano nell’educazione alla/nella fede.
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