Mons. Miniussi a 25 anni dalla morte
5 Dicembre 2022
La poesia, in versi e in prosa, racconta che il tempo cancella. Ogni essere umano è un mondo, ma il ricordo va a chi ha dato, in positivo e, ahinoi, in negativo. In negativo, non solo qui, schiere di strade sono dedicate a luoghi e persone di macello, gente già osannata, ora vituperata, con tentativi di cancellarne la memoria. Uno dei sacerdoti che ci sono stati accanto è don Umberto Miniussi, poi mons. Forse il titolo cui più teneva era quello di “Sior Decan”. Decano fu, dal pugno di ferro e dal cuore di velluto. Pur rispettando la forma, non amava le esteriorità. A un cappellano, che era andato a invitarlo a celebrare la “messa grande” in una grossa parrocchia, con tanto di monsignore, che lo pregava di indossare mitria e la veste rossa, rispose: lo avesse accettato in nero, bene, o restava a casa!Umile quel tanto che bastava, era obbediente; anche quando obbedì “obtorto collo”, di malavoglia.Di lui, ciò che racconta più di tutto sono gli “avvisi in chiesa” in 40 degli anni d’attività pastorale (1942-1982), eloquenti solo coi numeri. Dentro c’è la vita di San Vito al Torre, Visco, con puntate altrove. Il grosso è nei quaderni, perlopiù scritti a matita, ma inseriti ci sono materiali scrittorii di ogni sorte: cartoline, dorsi di buste, fascette per riviste, biglietti usati, tessere del pane (si era anche in guerra)… Scriveva su tutto, fin su frammenti di carta. Tirchione? neanche per idea. Prima di tutto “a ognuno il suo”, ed era generoso, soprattutto in segreto con chi aveva bisogno. Il suo fisico spirava solennità e decisione: quattro dita sopra l’uno e novanta e carattere da vendere. Mediatori i suoi scritti, si potrebbe stendere “Il diario (bis …) di un curato di campagna”.I soldi: render conto alla lira, riconoscere il lavoro per la chiesa. In un capodanno, fra una bicchierata per i cantori di San Vito, disse che avrebbero meritato di più, se i campi della Chiesa avessero reso in maniera decente …Là fu ostaggio del fatto che la parrocchia era stata riconosciuta solo nell’ecclesiastico e non nel civile, dunque niente congrua, ma non volle voltare la faccia ai poveri. Fece miracoli lo stesso, per la chiesa e per la gente che, merito proprio e merito di lui, accolse, nel dopoguerra, ragazzi poveri della Carnia. Per i ragazzi, impostò il ricreatorio, poi terminato da don Elio Stafuzza.Non c’era aspetto di vita paesana che trascurasse: martellante l’impegno per un asilo infantile,A Visco, nel 1953 (8 dicembre) l’insediamento a parroco e decano, cum anulo (un’ametista) et bireta, il “quadrato”. Subito il programma: “lodare e servire Dio per salvare le nostre anime”, poi messa per i morti del paese e per i soldati che non fecero ritorno.A Visco, come altrove, sacche di miseria e disoccupazione: il Comune mandava il “fante” a raccogliere offerte e generi per i disoccupati. Parte subito con il lavoro in tutte le fasce sociali e d’ età. Riunioni; rimette in vita la confraternita del Rosario, manda per le case una Madonna Pellegrina, fa di tutto per far vivere la chiesetta di S. Anna. Teatro per giovani e bambini (era un regista eccellente), tanta carità, e tanta cultura, dai corsi di economia domestica alle conversazioni (una patetica del dott. Giobatta Gaspardis su San Pio X, che aveva conosciuto personalmente).Lungo sarebbe l’elenco di quello che fece: pellegrinaggi che erano anche gite e visite di cultura; costante attenzione a bambini, a vecchi e malati; istituzione della festa dei nonni (non feste degli anziani; ma preghiera e comunità). Far vivere le tradizioni che avevano senso e, pian piano, eliminare quelle che discriminavano: fece finire la proprietà di banchi di chiesa. Rinuncia a parte del beneficio per un ricreatorio e più campi sportivi. Amore per la storia: ordinato l’archivio e restaurata la chiesa, dai quadri alle suppellettili. Rinunciò a ogni compenso pei funerali, non senza una delle sue battute: “Cumò, viodêt di no murimi, par via che al funerâl l’è a gratis!”.Sollecitava la partecipazione economica dei fedeli alle imprese e li ringraziava per “il cuore d’oro”. Aveva sempre robuste risposte, ma notava l’avarizia di qualcuno, così raccomandò di non mettere fra le offerte domenicali i pezzi da cinque lire, invitò a tenerli da conto, perché “monete da collezione”.A 25 anni dalla morte, parlano le sue opere e la sua decisione nel reggere la Chiesa locale in maniera esemplare e a 360 gradi.
Notizie Correlate