La società civile sta portando avanti una forte azione di advocacy

Il tema dei ricongiungimenti familiari continua ad essere “caldo” sul nostro territorio.Non solo per l’accoglienza straordinaria che in questo momento alcuni Comuni isontini, con la collaborazione anche della Chiesa e della Caritas diocesana, stanno mettendo in atto, ma anche per il dibattito politico e sociale riguardante le nuove normative in materia che potrebbero andare a regolarizzare proprio i ricongiungimenti familiari, recentemente discusse in Regione.Cercando di fare il punto della situazione sul momento attuale non solo nel nostro Paese ma volgendo lo sguardo anche in Europa e, non da ultimo, tentando di formulare anche alcune ipotesi sui possibili sviluppi futuri, abbiamo dato la parola al dottor Oliviero Forti, responsabile Politiche migratorie e Protezione internazionale di Caritas Italiana.

Come emerso tanto dagli ultimi sviluppi, quanto dagli articoli che abbiamo avuto modo di ospitare sul nostro settimanale, ci troviamo in questo momento davanti a due esigenze: da un lato quella dei Comuni, che vedono necessaria una regolamentazione dei flussi, dei costi di gestione, dell’ospitalità a queste persone migranti. Dall’altro lato l’esigenza delle comunità, in particolar modo quelle cristiane, che non vogliono rimanere indifferenti davanti a questi individui in stato di bisogno.Come è possibile coordinare, far convivere queste due esigenze sul lato pratico? Quale strada intraprendere (o proseguire, se siamo su quella giusta)?Sul fronte delle politiche migratorie, l’Italia si è trovata storicamente a fare i conti con la totale assenza di una programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro che ha determinato, nel tempo, una diffusa situazione di irregolarità e quindi di precarietà che rallenta e talvolta inibisce i necessari percorsi di integrazione. Ne sia testimonianza il fatto che la maggior parte dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro Paese, ha potuto ottenere un permesso di soggiorno grazie ad una procedura di regolarizzazione.Nei fatti, dunque, le vie di ingresso legale nel nostro paese sono sostanzialmente chiuse e questo alimenta flussi irregolari, sia via terra che via mare, e il ricorso strumentale alla richiesta di protezione internazionale.Gli effetti di questo corto circuito sono particolarmente visibili sui territori dove si gioca la difficile partita dell’accoglienza e dell’integrazione dei cittadini stranieri.L’approccio emergenziale che passa attraverso la gestione dei Cas (Centri di Accoglienza straordinaria), strutture nate per far fronte ad una emergenza che ormai possiamo considerare normalità, restituisce un’immagine dell’immigrazione distante dalla realtà e dai bisogni dei beneficiari e delle comunità chiamate ad accoglierli.I Centri di Accoglienza Straordinaria sono il paradigma di questa anomalia in quanto rappresentano l’incapacità di pianificare un’immigrazione ordinata e legale, in assenza della quale è necessario predisporre misure emergenziali che, in quanto tali, vengono assunte senza alcun coinvolgimento dei territori. In questo modo l’immigrazione viene subita piuttosto che accompagnata con il necessario contributo delle comunità.

I ricongiungimenti familiari sono in questo momento un tema molto sentito e proprio poche settimane fa il nostro Consiglio regionale si è espresso a riguardo.Qual è la situazione sui ricongiungimenti nel nostro Paese in questo momento? Ce ne sono molti e chi ne fa maggiormente richiesta?Nel nostro paese, come anche in Europa, a fronte di politiche di ingresso per motivi di lavoro sempre più restrittive, la principale modalità per entrare regolarmente è quella del ricongiungimento familiare.In Italia nel 2021 oltre la metà dei permessi di soggiorno sono stati appunto per ricongiungimento familiare e solo il 27% per motivi di lavoro.Pur riconoscendo l’indubbio valore ed importanza della coesione familiare, soprattutto per rafforzare i percorsi di integrazione, è tuttavia necessario sottolineare come questo trend sia disfunzionale al mercato del lavoro.La richiesta di manodopera straniera, soprattutto in alcuni settori produttivi, rimane sostanzialmente insoddisfatta e ciò, tra le altre cose, alimenta il nero in quanto i datori di lavoro sono portati ad attingere al mercato irregolare rappresentato soprattutto da chi non ha avuto la possibilità di fare ingresso in maniera legale nel nostro paese.

Spostando lo sguardo anche a livello internazionale, qual è la situazione in Europa? È possibile fare un parallelo tra la situazione in Italia sui ricongiungimenti e tra qualche altro Stato europeo, per meglio comprendere la dinamica?La norma fondamentale sul ricongiungimento familiare a livello comunitario è rappresentata dalla direttiva 2003/86/CE che prova a coniugare la necessità del controllo delle frontiere esterne con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare.In Italia, tale direttiva si è limitata ad apportare qualche lieve modifica intervenendo su disposizioni già di fatto esistenti. Il vero limite sta nel fatto che la possibilità di ricongiungimento di parte dei membri della propria famiglia si configura come un’applicazione premiativa, poiché si fonda sulla costante necessità di dimostrare il possesso delle condizioni per accedervi e queste stesse condizioni sono interpretate arbitrariamente dai diversi attori istituzionali nei diversi contesti territoriali.Evidentemente questo scoraggia e rallenta le procedure di ricongiungimento con inevitabili ricadute negative sui percorsi di inclusione.

Guardando alla situazione politica internazionale in questo momento (guerra in Ucraina, situazione socio – politica in Afghanistan, Pakistan, situazione in Siria…) cosa crede potrebbe succedere nel prossimo periodo in Europa e in particolare nel nostro Paese?Se prevede una crescita dei flussi migratori e delle richieste di ricongiungimento, saremo in grado di far fronte a tali richieste o rischiamo un collasso? Quale eventuale soluzione?L’Europa ha conosciuto negli ultimi cento anni varie fasi in cui le migrazioni l’hanno attraversata più o meno massicciamente. Eventi bellici, crisi economiche ed energetiche sono state la causa di una accentuata mobilità che più di recente ha assunto dimensioni importanti in concomitanza con avvenimenti di carattere internazionale.Le primavere arabe, il ritorno dei talebani in Afghanistan e in ultimo la guerra in Ucraina, hanno spinto milioni di persone a cercare rifugio nei paesi Ue. Circa le conseguenze di questi spostamenti massivi è necessario fare una puntualizzazione.La migrazione ucraina si configura come temporanea, ovvero caratterizzata da una dinamica di breve medio periodo: appena le condizioni lo consentiranno, gli ucraini rientreranno numerosi nel proprio paese.Questo avrà inevitabilmente dei riflessi sulle richieste di ricongiungimento familiare che saranno decisamente ridotte e quindi poco incisive sull’andamento generale dei ricongiungimenti familiari.Al contrario le altre migrazioni sono tendenzialmente di lungo periodo e quindi attiveranno delle procedure di ricongiungimento familiare che al momento, però, si presumono in numero pari o di poco superiore a quelle attualmente in essere.

Quale ruolo rivestono in questo momento le varie Organizzazioni internazionali nel campo dei ricongiungimenti e degli ingressi “sicuri”? Quale futuro le attende?Il dibattito sul tema dei ricongiungimenti familiari è decisamente poco frequentato a livello nazionale e internazionale, oscurato dalla costante narrazione emergenziale sull’immigrazione di cui i processi di inclusione, evidentemente, non possono essere parte integrante.Si tratta di un deficit che contribuisce al disinvestimento su un aspetto cruciale delle migrazioni, con una inevitabile ricaduta negativa anche i termini di attenzione al tema da parte dell’opinione pubblica. Viceversa, la società civile, da parte sua, sta portando avanti una forte azione di advocacy rispetto alla necessità di rafforzare i percorsi legali d’ingresso, nelle sue molteplici declinazioni.Per questo motivo la Caritas Italiana, con il prezioso contributo delle Caritas diocesane, sta promuovendo ed attuando programmi di ammissioni umanitarie, corridoi lavorativi ed universitari con l’intento di presentare modelli di percorsi legali e sicuri d’ingresso dove trova ampio spazio il ricongiungimento familiare.Con riferimento ai rifugiati, costretti a separarsi dalla famiglia a causa di sfollamenti forzati, come nel caso di persecuzioni e guerre, il ricongiungimento familiare è spesso l’unico modo per garantire il rispetto del diritto all’unità familiare.Molti sono costretti a fare la difficile scelta di lasciare la propria famiglia per cercare protezione in un altro paese.Il riconoscimento del ricongiungimento familiare come mezzo per facilitare una migrazione sicura, ordinata e regolare, diventa per questo un obiettivo non più rinviabile.