Gorizia: “cerniera” tra Est ed Ovest nella “Cultura dell’Incontro”

All’interno delle celebrazioni per i Santi Patroni di Gorizia, Ilario e Taziano, è stato proposto nella serata di venerdì 10 marzo un momento di incontro, approfondimento e riflessione insieme al cardinale Matteo Zuppi, vescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana.Il dialogo, insieme a Mauro Ungaro – direttore di Voce Isontina e presidente della Federazione Italiana Settimanali Cattolici – ha ripreso quella che è stata la tematica portante delle celebrazioni patronali 2023: “La cultura dell’incontro – Kultura sre?anja”, incentrandosi in particolare su quelli che sono i tre temi portanti della “Cultura del dialogo” contenuta nell’enciclica “Fratelli tutti” di papa Francesco: ospitalità, dialogo, impegno.La serata, ospitata presso il Kulturni dom di Gorizia e con animazione musicale curata dal Centro Sloveno di educazione musicale “Emil Komel”, si è aperta con il saluto dell’arcivescovo Redaelli il quale, ringraziando il cardinale, ha sottolineato come la sua presenza in città e i suoi spunti di riflessione potranno certamente “aiutare nell’ottica del cammino che tutti insieme stiamo compiendo verso Nova Gorica – Gorizia Capitale europea della Cultura 2025”.Successivamente anche il saluto del sindaco della cittadina, Rodolfo Ziberna, il quale ringraziando il presidente della CEI per la sua presenza e preziosa testimonianza, ha portato anche il suo ringraziamento a coloro che testimoniano e portano alto in nome di Gorizia, ricordati e ringraziati annualmente con il Premio Santi Ilario e Taziano Città di Gorizia.Un saluto è stato quindi offerto anche dal “padrone di casa”, Igor Komel, tanto in lingua italiana quanto in lingua slovena, ricordando come il Kulturni dom si caratterizzi proprio per essere “Casa della Cultura” ma anche “Casa della Convivenza” tra italiani, sloveni e friulani che vivono e condividono il territorio goriziano “Il dna di questa serata e queste celebrazioni patronali – ha commentato Komel -,”La cultura dell’incontro”, ha lo stesso dna che caratterizza il Kulturni dom”.È così incominciato il dialogo tra il cardinale Zuppi e Mauro Ungaro, aperto con una breve presentazione biografica del presidente della CEI, uomo che ha vissuto la giovinezza all’interno degli anni delle grandi rivoluzioni che hanno caratterizzato la fine degli anni ’60, ordinato sacerdote nel 1981, ha mosso i “primi passi” come viceparroco a Roma, accanto a monsignor Vincenzo Paglia. Nel 2000 l’incarico ad assistente spirituale per la Comunità Sant’Egidio – realtà che conosceva e frequentava già da tempo -, quindi la nomina nel 2012 a vescovo ausiliario di Roma, nel 2015 l’incarico episcopale a Bologna e, nel 2020, l’elezione a cardinale. Dal 2022 l’incarico alla presidenza della CEI. In tutto questo percorso, sempre una grande attenzione e presenza in quelle che papa Francesco chiama “le periferie”.

OspitalitàPer iniziare a parlare di “Ospitalità”, prendendo spunto appunto dagli elementi contenuti nella “Fratelli tutti”, Ungaro è partito da una tematica quanto mai attuale: la recente tragedia del mare avvenuta lungo la costa calabra. “Il Mare Nostrum ormai è diventato il Mare dell’Indifferenza, come dice papa Francesco. Com’è possibile affrontare il tema dell’immigrazione, come attuare legalità e accoglienza, come possiamo considerare il migrante non un problema di Polizia ma un essere umano?”Nella sua risposta il cardinale Zuppi è partito proprio da Gorizia e dal luogo che ha ospitato la serata, il Kulturni dom: “l’arcivescovo, il sindaco e il padrone di casa hanno espresso parole che hanno con sé anche tanta storia: parlare di una “Casa della Cultura”, di incontro, di una cultura che unisce, di diversità che sono una ricchezza, non è ancora così scontato e apre a molte possibilità in luoghi dove, a volte, la memoria è ancora piena di ferite; invece trova così la sua vera comprensione, vero testamento di chi ci affida la pace. Voi siete davvero capaci di questa cultura, con una consapevolezza maturata dalla sofferenza. Avete tanta sapienza da questo punto di vista, qualcosa che penso possa unire anche Est e Ovest, e credo che ne abbiamo un enorme bisogno: aiutateci e aiutate a ricostruire un legame importantissimo. È vero che il Mediterraneo unisce Nord e Sud – o così dovrebbe – ma c’è anche l’Est – Ovest e molto passa da qui: siete una “cerniera” e questo aiuta a comprendere quella cultura unica che in realtà ne contiene tante e che non significa diventare tutti uguali – questo, all’opposto, accade quando non siamo insieme -“.”Per quanto riguarda l’immigrazione – ha proseguito Zuppi – qui lo sapete molto bene: le frontiere sono sempre state motivo di passaggio e tanti legami e osmosi vanno al di là dei confini.L’immigrazione è una possibilità enorme, se riusciamo ad uscire un po’ dai massimalismi. Si tratta di riuscire a creare un piano che guardi al futuro e abbiamo enorme bisogno di costruire assieme il nostro domani. Il problema non è “porta aperta” o “porta chiusa”, il problema è essere responsabili di quello che avviene, di scegliere un modo umano, vero, intelligente, funzionante, non casuale e toccato dalla contingenza di gestire il tutto.Costruiamo un “noi” in cui l’”io” non si perde ma finalmente trova un “noi” un po’ più grande di sé”.Cogliendo proprio quest’ultimo rilevante spunto, il direttore di Voce Isontina ha domandato al cardinale se oggi ci sia “speranza per un “noi” europeo, in un’Europa che, negli ultimi anni, sembra essere diventata brava ad alzare muri. “Penso che se non c’è un “noi” europeo tradiamo quelle migliaia di persone che stanno a Redipuglia, nei cimiteri qui vicino e nelle foibe; li tradiamo perché il loro testamento è “restate uniti”. Per quanto riguarda l’Europa quindi direi che abbiamo fatto tutto da soli, semmai l’immigrazione ha rivelato le debolezze e gli egoismi. Penso quindi che dovremo “metterci sotto” seriamente per farla crescere, non soltanto per motivi economici ma per pensarci insieme, per fare qualcosa che sappia comunicare un valore”.

DialogoIl colloquio si è quindi orientato sulla tematica del “Dialogo”, quello che papa Francesco definisce come la capacità di “avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto” e che sta alla base di ogni incontro. “Come fare a camminare insieme, con le nostre differenze, in una società che ha fatto dell’individualismo quasi un dogma e perché abbiamo tanta paura dell’altro, del diverso?” ha chiesto il direttore del settimanale diocesano.”Abbiamo paura forse perché l’individualismo ci ha davvero indeboliti – la risposta del cardinale – Oggi rimango colpito da quanti ragazzi non escano di casa e di quanto il Covid abbia impostato tantissime fragilità. Penso che dobbiamo aiutarli molto e il vero aiuto che possiamo dare è una vita bella, piena di significato, una vita in cui ci sono tante cose importanti e vere da fare. Più “viviamo” noi, più aiutiamo gli altri a non aver paura. A maggior ragione costruire una Cultura, come dicevamo all’inizio: è quella che vince la paura.Noi oggi abbiamo questa responsabilità: ricostruire la fraternità. L’abbiamo capito, l’abbiamo vissuto, portiamo dentro le cicatrici. Dobbiamo farlo per vincere la paura, affinché non si trasmetta e non diventi altro”.Si è parlato anche di Covid nel corso della serata: un tempo di altruismo di cui è stato messo tutto da parte e posto nel dimenticatoio? “Speriamo abbia insegnato qualcosa – il commento del cardinale – anche se non è detto che lo abbiamo imparato… Ha ragione papa Francesco quando dice di fare attenzione perché potremmo uscirne peggiori: se uno non cambia, non capisce nemmeno con queste vicende, non so cosa sia possibile fare. Io credo che ci abbia insegnato qualcosa e comunque sia la pandemia della guerra ce lo ricorda ancora…Sono abbastanza ottimista ma penso che non dobbiamo perdere l’opportunità: credo che davvero viviamo un momento molto importante, che ci richiede grande consapevolezza e una determinazione”.

ImpegnoCi si è avviati quindi alla tematica dell’”Impegno”. “Come possiamo considerare i “cinque pani e due pesci” non come una quantità ridotta ma come un qualcosa già sufficiente per iniziare ad impegnarci?” la sollecitazione di Ungaro. Secondo il cardinale non dobbiamo pensare che ci serva “chissà che cosa, che magari non avremo mai. Non ci sono alibi: quel poco che si ha, quello che sembra senza senso, in verità è tutto quello che serve”.Zuppi stato quindi invitato alla riflessione con una provocazione: “non c’è il rischio che come credenti – laici e sacerdoti – siamo spesso come i vecchietti che osservano i cantieri (gli “umarell” in gergo bolognese), che osservano e non si coinvolgono?” “Anche in questo ci ragguaglia il Vangelo, dove non sono previsti gli “umarell” e da questo punto di vista papa Francesco è un esempio bellissimo: ha 86 anni ma tanta voglia di capire, sentire, cambiare, fare altre cose, cercare risposte. Ci dà un bellissimo esempio nel guardare al futuro e continuare a sognare – a occhi aperti e di giorno -, nonché di entrare nella realtà e non essere, come Chiesa, un “museo””.Non è mancato poi un riferimento al cammino sinodale che proprio la Chiesa sta compiendo: citando Giovanni XXIII Ungaro ha suggerito “se l’inizio del cammino sinodale ci ha fatto vedere l’”aurora”, come procedere per “vedere i primi raggi del sole sorgente”?””Il cammino sinodale procede con una certa lentezza ma non possiamo scegliere: o facciamo questo o diventiamo una minoranza non creativa, piena di paure e di ossessioni. La sinodalità è un camminare insieme, la questione è “come?”.Il rischio oggi è che il parroco diventi un semplice officiante ma il rapporto con la comunità è un’altra cosa e la comunità rispetto a sé stessa è ancora un’altra cosa. Dobbiamo pensare a come saranno le comunità, come si penseranno, come si aiuteranno, come useremo la corresponsabilità. È la bellezza di essere una famiglia, in cui tutti noi abbiamo tanto da dare, da ricevere, una realtà in cui nessuno fa l’umarell.In questo penso che la Chiesa debba essere più comunione; è una grande sfida. Abbiamo insistito a lungo sul concetto che le famiglie dovevano essere delle piccole Chiese: credo che ora vada rovesciato il concetto e che la Chiesa debba essere una famiglia”.Si è pensato poi all’”Impegno” anche come impegno politico. Se un giovane dicesse al cardinale di sentire vocazione in quest’ambito, “lo indirizzerei verso dove c’è più sofferenza – ha espresso Zuppi -; gli farei leggere qualche paragrafo della “Fratelli Tutti” e lo inviterei a risolvere le cause di quella sofferenza che dobbiamo amare”.”Quali sono le linee guida e lo spirito che potrebbero aiutare la risoluzione dei conflitti odierni? Cosa può fare ognuno di noi per vincere la sensazione di irrilevanza e poter incidere in modo significativo nella costruzione della Pace?” la sollecitazione conclusiva di Mauro Ungaro al cardinale. “Innanzitutto essendo uomini, artigiani di Pace, dentro di noi e verso chi abbiamo vicino – la sua risposta -. La Pace, in primo luogo, riguarda noi. Di fronte poi ai grandi conflitti, in primo luogo dobbiamo farci guidare dalla preghiera, che è la prima opera, che ci aiuta a credere che la Pace è possibile e a sentirne l’urgenza, a viverne la passione. La preghiera ci fa far nostro quel dolore, quelle lacrime, quella disperazione e diventa vicinanza alla sofferenza portata dalle guerre. La guerra la capiamo proprio partendo da quelli che ne pagano le conseguenze, guardando negli occhi chi ha perso tutto.C’è poi la consapevolezza che, se siamo in tanti a chiedere la Pace, spingeremo affinché prima o poi qualcuno la costruirà, la vorrà: con tanti artigiani di Pace, forse ci sarà anche qualcuno che farà l’architetto”.