Il partito dell’astensionismo

Domenica 2 e lunedì 3 aprile si voterà per il rinnovo del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia e di alcuni consigli comunali (fra cui, nel territorio dell’Arcidiocesi, quelli di Fiumicello Villa Vicentina e Fogliano Redipuglia)Il rischio concreto è che anche dalle nostre parti avvenga quanto già visto a metà febbraio in Lombardia e Lazio quando 6 elettori su 10 hanno scelto di non varcare la soglia del proprio seggio elettorale. Una tendenza – quella della fuga dalle urne – che pare ormai segnare un inarrestabile sviluppo accompagnando la sempre più spiccata disaffezione degli italiani verso le scelte politiche. Le motivazioni possono essere tante.Indubbiamente si è fatta strada la sensazione di “non contare” e che il proprio voto non possa in alcun caso mutare la situazione economica e sociale né tantomeno influire positivamente sulla propria (difficile) quotidianità. Un “tradimento” delle aspettative generato anche dalle ridondanti promesse colme di demagogia e populismo distribuite in campagna elettorale dalle forze politiche che in questi anni si sono succedute alla guida del Paese e rimaste poi, come avrebbe cantato Mina, “parole, parole, parole”.Questo sentimento rileva ancora maggiormente nelle elezioni regionali che, come ha di recente ribadito l’analista politico Lorenzo Pregliasco, si collocano in un limbo “a metà tra le comunali e le nazionali”: interessano un Ente non così prossimo al cittadino come i Comuni ma non assumono nemmeno la rilevanza riconosciuta a quelle che portano alla scelta di deputati e senatori. Venuta meno (per una scelta politica ancora incomprensibile…) la realtà dei Consigli provinciali – gradino intermedio fondamentale per chi dal limitato ambito comunale voleva farsi conoscere/conoscere sul/il territorio prima di tentate il salto verso l’assise regionale – i candidati devono, poi, presentarsi da perfetti sconosciuti o quasi in un ambito che va ben al di là di quello in cui sino a quel momento hanno operato. Obbligati, per di più da regole di equilibrismi interni alle coalizioni, a non intralciare – almeno apertamente – la corsa dei “colleghi” dello stesso partito nella stessa circoscrizione pescando consensi in quello che si immagina l’altrui bacino di voti certi.E così il cittadino elettore non vede nemmeno il motivo la fatica di cercare in fondo al cassetto il certificato elettorale.Quello del voto – anche se non obbligo giuridico – rimane però un “dovere civico” fondamentale attraverso cui ciascuno partecipa alla vita del Paese: non sono parole retoriche ma una possibilità che ci siamo abituati a considerare scontata dimenticando le lotte di chi si è battuto a lungo per ottenerla, a prezzo anche della propria vita.E così, quando a trionfare è il “Partito dell’astensionismo”, ad uscire sconfitta dalle urne è proprio la democrazia.