Quando muore una donna…

Quando una notizia è così deflagrante come l’omicidio di Senago della povera Giulia Tramontano, incinta di sette mesi, per mano del proprio fidanzato Alessandro Impagnatiello occupato in una doppia relazione con un’altra ragazza, tutta l’opinione pubblica si è unita unanime al medesimo cordoglio.Seppur nella tragicità dell’accaduto, questo è un grande risultato per nulla scontato quando si trattano casi di femminicidio ove, solitamente, imboccata da informazioni palesate o supposte come “lei voleva la separazione” o “lei aveva un altro”, la società si divide fra chi piange la vittima e chi concede al carnefice tutte le attenuanti perché “era tanto una brava persona”.Quando infatti muore una donna per mano del proprio compagno, ed è capitato purtroppo anche nella nostra Regione, il linguaggio dei media suggerisce sempre una certa corresponsabilità della vittima che, in qualche maniera, è causa della propria morte e, così, anche la Comunità che si ritrova ad interrogarsi sull’accaduto finisce per chiudere un occhio per quel marito o fidanzato sfortunato.Questo ragionamento perverso ove la vittima ne esce colpevolizzata è prassi quando si parla di donne chiamate in qualche maniera ad essere moralmente ed eticamente perfette per non essere considerate ree del proprio delitto: è un po’ come il ripetuto schema del “te lo sei andata a cercare” quando una donna si veste con la minigonna e poi incorre in uno stupro.Persiste ancora lo zoccolo duro di una certa solidarietà maschile, e ipocrisia femminile, che se una donna si fa istigatrice (fisicamente o psicologicamente) poi non è colpa dell’uomo se arriva a gesti estremi, una sorta di immedesimazione che induce l’opinione pubblica a pensare che l’uomo a volte “sbaglia, ma se fosse successo a me non so anch’io cosa avrei fatto…” e così la pena collettiva viene attenuata, solidarizzata, se non induce proprio all’astensione del giudizio.Nel caso invece di Senago tutti sembrano fare a gara nello scagliarsi contro l’omicida rassicurati dalle informazioni apprese dai media che hanno raccontato di un mostro e della sua mostruosità. Ma cosa sarebbe successo se quel figlio in grembo fosse stato di un altro uomo o se Alessandro fosse stato descritto come un “ragazzo d’oro” anziché come sbruffone e manipolatore?In altre parole, il giudizio collettivo di condanna forte e unanime sarebbe stato invariato per il sol fatto che è morta una giovane donna oppure sarebbe prevalsa l’altra faccia dell’opinione pubblica con la propria contraddittoria solidarietà verso gli altrui limiti? (non ispirata certa da caritatevole accoglienza ma da implicita auto-confessione di ritenere “capitabile” reati su donne che se le vanno a cercare?).Che a rispondere sia l’altro femminicidio accaduto nella medesima giornata di Senago però a Roma dove, un giovane fidanzato, in piena crisi di gelosia, ha sparato e ucciso la propria compagna perché voleva lasciarlo e riavvicinarsi all’ex marito. I media hanno anche detto che non accettava quell’abbandono e con questa umanizzazione della sua debolezza siamo certi ora potrà trovare dei simpatizzanti. Stessi epiloghi, stessa società, stessi media, diverse narrazioni.