Famiglie distrurre dal gioco d’azzardo
17 Giugno 2015
Per non parlare, poi, dell’invasione di pubblicità televisive che spiegano nuovi modi per giocare il buon vecchio lotto o di siti che promettono l’emozione del tavolo verde del casinò; la gamma sempre più ampia di “gratta e vinci” che permettono di mantenerti per 40 anni a 2000 euro al mese o di comprarti la casa dei tuoi sogni. Insomma, negli ultimi anni, sembra che il fulcro della vita delle persone sia tentare, rischiare, la fortuna.E sebbene i giocatori appartengano alle categorie più svariate (anziani, giovani, madri o padri di famiglia), purtroppo, alle prese con questi “giochi”, si iniziano a vedere sempre le stesse persone. Infatti “la ludopatia o Gioco d’Azzardo Patologico (GAP) è un comportamento definito patologico perché il soggetto non riesce più a controllare (evitare) le puntate al gioco” (fonte: materiale divulgativo “Non giocarti la vita, fatti aiutare” a cura delle dott.sse Vidal e Donini del S.O.C. Alcologia e Dipendenze Patologiche dell’A.S.S. n.5 Bassa Friulana), cambia completamente il suo comportamento rincorrendo vincite irrealistiche, fino a far diventare il gioco un bisogno sempre più intenso.Il percorso evolutivo del gioco d’azzardo da ricreativo a patologico, non si evidenzia chiaramente, ma è subdolo, perché cresce in modo inconsapevole nel tempo, arrivando alla totale distruzione della rete relazionale, al depauperamento delle risorse finanziarie.Il gioco d’azzardo, insomma, può trasformarsi in una vera e propria malattia, pericolosa non solo per la persona ma anche per la rete famigliare.Ecco perché l’Azione Cattolica di Cervignano del Friuli, in occasione dell’annuale festa della famiglia, ha deciso di parlare di dipendenza dal gioco d’azzardo. Il gruppo adulti della parrocchia, moderato dal direttore del ricreatorio, Andrea Doncovio, ha incontrato la dott.ssa Vidal del dipartimento di Alcologia e Dipendenze Patologiche dell’ospedale di Palmanova e la collega dott.ssa Francescotto, assieme ad alcuni membri della neo-nata associazione ANOA (Associazione NO Azzardo).L’interessante quanto drammatico percorso che i relatori hanno presentato, ha permesso di approfondire le dinamiche psicologiche che entrano in campo nelle dipendenze, delle emozioni che prova il giocatore, di come il patologico cerchi di negare il problema, di come il giocatore d’azzardo viva un “tempo sospeso tra fortuna e ossessione” e di come questo tempo lo distacchi completamente dalla realtà, dalla vita.L’aspetto più importante che sicuramente è emerso, è il ruolo centrale della famiglia. Nella famiglia, – ha osservato la dott.ssa Francescotto – c’è un insieme di responsabilità se un membro diventa un giocatore patologico: tutti anche involontariamente sono complici. Il giocatore è solo colui che esprime un disagio, una frustrazione famigliare. Ecco perché la terapia che affronta il giocatore che vuole farsi aiutare, non è individuale ma di gruppo e assieme alla sua famiglia.È indispensabile, quindi, per le famiglie coinvolte in questa problematica, farsi sostenere da una rete sociale che intervenga qualora all’interno di esse vengono meno le energie necessarie ad aiutare il famigliare malato.In questo semplice, eppure partecipato, tavolo di confronto, erano presenti anche il parroco don Dario e il consigliere regionale Pietro Paviotti, i quali hanno portato un’importante testimonianza di come due realtà come la parrocchia e le istituzioni, possano davvero fare la differenza per aiutare le persone in difficoltà.L’incontro ha posto i presenti di fronte a infinite riflessioni, dal discorso generale sulle dipendenze, alla legalità o meno di questa massiccia presenza di occasioni di gioco, dal ruolo centrale della famiglia, al fatto che il problema potrebbe essere più vicino a ciascuno di noi di quanto pensiamo. Non tutte le tematiche sono state affrontate per mancanza di tempo: per questo i presenti all’incontro si sono impegnati per proseguire, a breve, il discorso, assieme. Per il bene comune, per il bene della comunità.
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