Estate: tempo dei bambini e dei ragazzi

Estate: per i più piccoli tempo di svago, di giochi, di giornate trascorse all’aperto e di emozioni da vivere in prima persona. Ma come poter dare a questo tempo anche una dimensione che sia di crescita personale? Come poter “aggiungere agli ingredienti” dell’estate anche valori e opportunità? Ne abbiamo parlato con la sociologa Gabriella Burba.

Estate: tempo dei bambini e dei ragazzi. Da un punto di vista pedagogico e sociologico, che valore ha il tempo del riposo per questa fascia d’età?Paradossalmente dovrebbe essere il tempo dedicato a scholé (da cui deriva il termine scuola) che per i greci era il tempo libero da lavori manuali, dedicato ai propri interessi, allo svago, alla coltivazione del pensiero. I latini l’hanno definito otium, concetto peraltro molto lontano dal nostro “stare in panciolle”: Cicerone affermava che, nel suo otium, scriveva orazioni. Perciò questo tempo “libero”, nel senso che permette appunto la libertà di scegliere come impiegarlo, è fondamentale per bambini e ragazzi, aprendo loro la possibilità di esplorare il mondo, di costruire relazioni diverse da quelle abituali con i compagni di scuola, di allargare lo sguardo, di pensare e inventare qualcosa di nuovo. E anche di annoiarsi, situazione generalmente ritenuta negativa che, invece, stimola fantasia e creatività, se, come purtroppo oggi succede, i genitori non riempiono ogni minuto di vita dei loro figli con impegni programmati in spazi e tempi gestiti sempre dagli adulti.

Soprattutto ora, nel post pandemia, che significato e valore assume lo “svago” estivo, dove i bambini e ragazzi possono vivere socialmente “a modo loro”, senza la formalità che è necessaria nel tempo della scuola?L’augurio è che davvero possano riscoprire una socialità di gioco libero, di scambio con i coetanei, di movimento nella natura in contesti non totalmente organizzati dagli adulti! Molteplici indagini propongono dati inquietanti sul disagio espresso soprattutto dagli adolescenti tramite diversi sintomi: depressione, crisi di panico, disturbi alimentari, autolesionismo, vandalismo, ritiro sociale, suicidi. Nei primi due anni di pandemia, secondo i dati dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, il numero di tentati suicidi fra i giovani è aumentato del 75% rispetto al biennio precedente, con un’età media intorno ai 15 anni. Si parla di pandemia nella pandemia, ma in realtà quest’ultima ha soltanto fatto da detonatore a problemi latenti, derivati in gran parte da modelli educativi inadeguati e dalla forte pressione sociale che crea ansia da prestazione e paura del fallimento: se gli unici fini della vita sono soldi, successo, popolarità, il rischio di crisi da vuoto esistenziale è molto alto. Significativo il titolo dell’ultimo libro dello psicoterapeuta Matteo Lancini, “Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta”, che ben mette in luce l’ingiunzione paradossale rivolta ai figli: “Si assiste a una sparizione dei bisogni dell’altro, da cui deriva la richiesta alle nuove generazioni di assolvere un compito che li costringe a sentire di essere sé stessi, mentre crescono assecondando l’adulto. I bisogni della mamma, del papà e dell’insegnante sovrastano e sovradeterminano le esigenze, i bisogni, l’espressività reali del bambino e dell’adolescente”. Ecco allora che poter fare esperienze “a modo loro”, in contesti diversi dalla famiglia e dalla scuola, contribuisce alla scoperta delle proprie aspirazioni, allo sviluppo dell’autonomia e della fiducia in sé e negli altri. 

Come adulti invece, come si può essere presenti in questi momenti, fungendo da guida ma dando spazi? Cosa cercare di trasmettere in questo tempo di “sosta”?L’atteggiamento di base è quello proposto dal Sinodo: ascoltare, decodificando anche i silenzi, i non detti, per far emergere aspettative, interrogativi, interessi e passioni, che i ragazzi spesso non esplicitano neppure a sé stessi, nel tentativo di adeguarsi alle aspettative sociali, alle immagini ritenute vincenti su Internet e i social. Una guida adulta lascia spazi, anche gli spazi dell’errore, ma opera per restituire ai ragazzi la “legge della parola”, per far loro scoprire, nel confronto reciproco, le regole della convivenza civile, la bellezza dello stare insieme, la comprensione di sé, degli altri e del mondo. Una recentissima ricerca, condotta da Demopolis per l’impresa sociale “con i bambini”, evidenzia la difficoltà di dialogo fra genitori e figli adolescenti: il 54% dei ragazzi pensa che gli adulti non li capiscano, ma lo pensa anche il 45% dei genitori intervistati. In una società dal cambiamento accelerato, dominata dalle nuove tecnologie, il gap generazionale si è allargato. Il tempo di “sosta” estivo potrebbe favorire il recupero di un dialogo basato sull’ascolto reale e non sulle aspettative dell’adulto, chiamato a mettere in discussione punti di vista e atteggiamenti spesso frutto di condizionamenti estemporanei e privi di solidità valoriale.

A tal proposito, nei centri estivi i responsabili stessi (animatori) spesso sono loro stessi ancora dei ragazzi giovani. Che opportunità di crescita per entrambe le parti (bambini/ragazzini da un lato, educatori dall’altro)?Un’opportunità grande per entrambi. I ragazzini si relazionano più facilmente con animatori giovani, diversi dalle figure dei genitori e degli insegnanti, giovani ancora simili per vari aspetti, ma già modelli cui ispirarsi, anche nei possibili conflitti, che sono fonti di crescita. In fondo si tratta di sostituti di fratelli o sorelle maggiori, di cui i figli unici, ormai in maggioranza, non hanno più esperienza. Per i giovani animatori è una tappa molto importante di maturazione tramite l’assunzione di responsabilità e l’acquisizione di competenze per la vita. Un’esperienza di servizio educativo promuove l’interiorizzazione di una visione del mondo orientata alla solidarietà e alla collaborazione: “Fratelli tutti”, figli di un “Padre nostro”.

Infine, nell’era degli smartphone che vede i più giovani spesso “a testa bassa” sugli schermi anche se sono in compagnia, che significato e occasione in tal senso rappresenta un momento di convivenza come un centro estivo o un campo estivo, che in qualche modo li “costringe” a stare insieme?Ormai ci sono varie esperienze di campi estivi senza smartphone, con resistenze spesso provenienti più dai genitori che dai loro figli. Ma, anche nei casi in cui le “protesi tecnologiche” non siano escluse, l’esperienza di centri e campi estivi fa “rialzare la testa” a bambini e ragazzi impegnati in attività difficilmente conciliabili con l’uso continuo del cellulare: gioco di movimento, bicicletta, nuoto, camminate in montagna, disegno, canto, cucina…E finalmente uno stare insieme libero da ansie di prestazione, in contesti dove anche le cose che riescono male diventano oggetto di divertimento e di aneddoti: “ti ricordi quella volta che…”. Finalmente di nuovo e soltanto ragazzini, non forzati ad acquisire precocemente atteggiamenti da adulti per competere al meglio. Fra tanti aspetti problematici rivelati dall’inchiesta di Demopolis, incoraggia il fatto che gli adolescenti interpellati (14-17 anni) dichiarano di condividere i loro pensieri soprattutto con gli amici in presenza (79%) piuttosto che in rete (13%) e che il 53% guarda comunque al futuro con ottimismo, mentre nei genitori la quota di ottimisti sul futuro dei figli scende al 24%. Ragazzi fragili e dipendenti dagli smartphone o adulti fragili, disorientati e poveri di speranza?