Testimoni e portatori di condivisione e reciproco aiuto

Si sono due Santuari a San Giovanni Rotondo: uno nuovo, grande, tondo, futuristico nella struttura e di marmo e legno lucido chiaro arredato, e uno vecchio, povero, piccolo, angolo di un convento, appoggiato ad una chiesa più ampia e di più recente costruzione.Io non ho avuto dubbi sul dove raccogliermi e mi sono rannicchiata ai bordi di un banco del secondo Santuario, intima dimora dove fino alla metà del ’900 si recavano le figlie spirituali per pregare (ricordiamoci che erano gli anni delle grandi guerre con gli uomini in trincea).Tutto lì intorno riconduce a povertà ed essenzialità: le panche di legno scuro e rugoso, pietre vecchie e robuste, il Crocifisso, la Santa Madre e l’Angelo Michele. Un lumino nella fitta foresta garganica che chiamano “umbra” perché è così ombrosa e densa di piante che fra le foglie non passa un filo di luce.Si narra che lì, su quel cucuzzolo di terra appena collinare alle spalle di una Manfredonia oggi cantiere industriale, fu accompagnato per respirare “aria buona” afflitto com’era dai tanti malanni e che, nonostante tutto, non rinunciò a fare visita al Santuario vicino, a Monte Sant’Angelo, scavato nella roccia bianca calcarea e dedicato proprio a San Michele Arcangelo.Restò tre ore nell’umido della caverna e gli salì un gran febbrone che le donne lo accorsero e accolsero nelle loro povere dimore per una colazione calda.Tutto a San Giovanni Rotondo parla di mutuo aiuto in un’Italia poverissima, di darsi forza con quel poco che si aveva offrendo preghiera, devozione e un tozzo di pane. L’ atmosfera è quella della penitenza e nel presupposto del peccato e del necessario pentimento, sembra quasi surreale che in anni dove mangiare ordinariamente era un lusso, le genti rispettavano fedelmente l’impegno del digiuno per donarlo a Dio, loro unico vero conforto in un’Italia che moriva di guerre, stenti e malattie.Non c’è niente al di fuori della devozione forte, unica e necessaria.Il vecchio Santuario potrebbe assomigliare ad una qualunque chiesetta bucolica dei nostri paesi, di quelle che difficilmente visitiamo perché piccole, modeste o nascoste fra la terra dura estiva che riposa in attesa di essere riseminata. Nella sua stanzetta ancora intatta, tantissimi i biglietti e le fotografie anche recenti di chi è stato trafitto dal dolore per un figlio o un familiare, a comprova che i lutti e le croci umane sono una costante di tutti i tempi. Custodite come reliquia le sedute (piccole seggiole di vimini o poltroncine di pelle marrone) dove in processione le donne si abbandonavano alla Confessione della loro pena nella speranza dell’intercessione per una grazia o della forza di una preghiera o del sollievo dell’amore. E se è l’amore quello che cercavano e che cerchiamo tutti noi ieri come oggi, quello che ha trasformato sedie povere e pietre inermi in luoghi di promessa e di santità, allora tutte le nostre chiese sono il posto giusto per iniziare ad esserne testimoni e portatori di condivisione e reciproco aiuto.