Chi è l’uomo perché te ne curi?

La domanda del salmo 8 ricorre in tutti i periodi di grandi cambiamenti, con particolare intensità nel cambio d’epoca in cui ci troviamo, quando, smarrite certezze e riferimenti, la crisi antropologica diventa il crocevia di tutte le altre crisi, a livello sociale, economico, politico, culturale, ambientale. In gioco è lo stesso statuto dell’umano, attraversato da “una vera e propria ’babele’ delle opzioni morali, spesso non solo diverse ma persino incoordinabili fra di loro” (M. Cangiotti).Umano, post-umano, trans-umano: posizioni teoriche complesse e variegate, che sottendono  discussioni altrettanto complesse su temi divisivi quali la fluidità di genere, la gestazione per altri, le manipolazioni genetiche, il riconoscimento di diritti soggettivi agli animali, il suicidio assistito, quest’ultimo tornato alla ribalta anche nella nostra regione in seguito alla richiesta avanzata da una donna di Trieste, affetta da sclerosi multipla e in attesa “da mesi della risposta alla sua richiesta di verifica delle condizioni per l’accesso al suicidio assistito”. Il problema coinvolge tutte le Regioni, dato che l’associazione Luca Coscioni, dopo la sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 che ha sancito la non punibilità di Cappato per aver agevolato il suicidio del DJ Fabo, ha avviato raccolte di firme nelle regioni per il disegno di legge popolare “Liberi subito”, “al fine di garantire la necessaria assistenza sanitaria alle persone che intendono accedere al suicidio medicalmente assistito”. Si tratta di un tentativo per aggirare la mancata approvazione di una legge nazionale, nonostante i dubbi sulla competenza delle Regioni a legiferare in materia, visto che, come afferma l’avvocato Paolo Bontempi sul settimanale diocesano di Faenza: “la legge regionale non può disciplinare le modalità attuative di un diritto al suicidio assistito, laddove la legge nazionale è chiarissima nell’affermare che non esiste un diritto al suicidio assistito, perché ciò equivale a ipotizzare una legge regionale che, a parte il dubbio sulla competenza della Regione in simili materie, si pone in contrasto coi principi fondamentali dell’ordinamento”. Nella nostra Regione, diversamente da altre che stanno già affrontando il tema, la discussione sulla proposta di iniziativa popolare sostenuta da oltre 5.000 firme e su un’analoga mozione di un esponente di minoranza è stata rinviata a novembre. Secondo il presidente Massimiliano Fedriga, “non è una questione che si può semplificare in poche parole”.Aldilà dei complessi aspetti giuridici, qual è la visione antropologica sottesa alla richiesta di legittimare il suicidio assistito? Lo dice chiaramente Marco Cappato: “diritto alla autodeterminazione individuale”. Lo stesso principio invocato per l’aborto, per l’identità di genere, per l’eutanasia (disegno di legge non approvato). Altrettanto chiara la mozione Bullian nel nostro Consiglio Regionale: “L’Aula si impegni a garantire che ogni persona sia libera di scegliere senza condizionamenti esterni se esercitare o meno il diritto di ricorrere al suicidio medicalmente assistito”. L’idea che possa esistere un soggetto completamente libero da condizionamenti esterni, oltre a essere del tutto irrealistica, esprime una concezione atomistica di estremo individualismo, con perdita di ogni legame sociale. È l’idea dell’astratto homo oeconomicus delle teorie liberiste, le cui scelte non sono condizionate dall’ambiente in cui si trova. Pone qualche interrogativo il fatto che aderiscano a tale visione non solo i radicali, ma anche partiti di sinistra, la cui eredità storica dovrebbe piuttosto consistere in una concezione comunitaria (se non più collettivistica).Fin dai tempi della Costituente, tra le opposte visioni dei liberali e dei social-comunisti si è posta la mediazione del personalismo cristiano, che ispira tutta la Costituzione: non più l’individuo come atomo isolato, ma la persona in comunità, interdipendente e intessuta di relazioni solidali. In quest’ottica, qualsiasi scelta avviene in un contesto relazionale con un processo cooperativo, inevitabilmente condizionato dalla cultura, dalle competenze, dai legami di tutti i soggetti coinvolti. Anche la Corte Costituzionale ribadisce “che la presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici. Resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato”. Nessun diritto al suicidio assistito emerge quindi dalla sentenza della Consulta, e nessun obbligo per i medici di dare esecuzione a eventuali richieste.                                                         Nel Rapporto 2019 intitolato “Il pericolo delle leggi sul suicidio assistito”, il Consiglio nazionale USA sulle disabilità afferma: “Quando il suicidio assistito è legalizzato, diventa subito il trattamento più economico. La coercizione diretta non è necessaria. Se gli assicuratori negano, o anche semplicemente ritardano, l’approvazione di costose cure di sostentamento vitale, i pazienti possono essere guidati verso l’accelerazione della loro morte”. Vengono riportati diversi casi di pazienti oncologici cui il medico curante aveva prescritto la chemioterapia: lo Stato ha risposto che i costi della chemioterapia sarebbero stati a loro carico, mentre il suicidio assistito era gratis. Un’ulteriore serie di casi (tutti con nome e cognome) riguarda errori medici: persone con prognosi di pochi mesi di vita, convinte dal proprio medico a desistere dalla richiesta di suicidio assistito, dopo molti anni sono ancora vive. Una donna, 11 anni dopo aver ricevuto l’avviso che le restavano 6 mesi di vita, ha detto: “Sono così felice di essere viva! Se il mio dottore avesse creduto nel suicidio assistito, ora sarei morta. Il suicidio assistito dovrebbe essere illegale”.Ci sono poi i casi di soggetti gravemente depressi a cui viene accordato il suicidio assistito senza neppure consultare uno psicologo. Il dottor Herbert Hendin, esperto internazionale nella prevenzione del suicidio, ha proposto questa testimonianza al Congresso americano: “Una richiesta di suicidio assistito presenta aspetti ambivalenti come quasi sempre accade nei soggetti che vogliono suicidarsi. Il dottore deve riconoscere questa ambivalenza, al pari dell’ansia e della depressione. I pazienti che richiedono l’eutanasia solitamente chiedono di essere aiutati ad alleviare la sofferenza fisica e mentale. Se incontrano un medico compassionevole in grado di aiutarli, la maggior parte dei pazienti non vuole più morire e diventa grata del tempo che gli rimane da vivere. Le scoperte fatte negli ultimi 20 anni nel campo delle cure palliative dimostrano che trattando in modo compassionevole e umano i pazienti si può evitare di legalizzare l’eutanasia”.Nei Paesi UE dove l’eutanasia è stata legalizzata da più tempo il numero dei casi continua ad aumentare, non solo a fronte di patologie irreversibili: in Olanda sono quadruplicati in un ventennio (più di 18 al giorno nel 2021), costituendo il 4,1% di tutti i decessi; in Belgio, in 16 anni, sono decuplicati e il 4,8% riguarda negli ultimi anni pazienti con malattie del sistema nervoso. In totale, nei Paesi UE dov’è legale (anche Lussemburgo, e, dal 2021-22 Spagna e Austria), l’eutanasia ha riguardato poco più di 93.000 persone (Fonte SIR). In Belgio e in Olanda è prevista anche per bambini e neonati, a dimostrazione di quanto tenda ad espandersi l’ideologia di una supposta qualità della vita, visto che per i bambini non si può invocare l’autodeterminazione.Afferma l’antropologa Carmen Bilotta: “Ed ecco il paradosso: l’imperativo della salute ad ogni costo, anziché provocare una maggiore sicurezza, si sta trasformando in fonte di una nuova insicurezza, che rischia di identificare la felicità con la salute, la dignità della vita con la qualità della vita.D’altra parte, gli interrogativi sui significati di esperienze cruciali come il dolore, la malattia, la morte, rischiano di rimanere irrisolti, se le risposte si affidano soltanto alla scienza biomedica o alla tecnica. Diventa allora quanto mai importante, in particolare per chi svolge una professione di cura, la riflessione antropologica, premessa necessaria a qualsiasi riflessione bioetica.Chiedersi chi è veramente l’uomo appare indispensabile per cogliere il bisogno di senso che egli manifesta universalmente nell’affrontare il vivere e il morire, la sofferenza e la cura”.

(Foto ANSA/SIR)