“Mi pensi? Ma quanto mi pensi?”
23 Agosto 2023
Alcune di esse hanno resistito caparbiamente per decenni, simili a soldati giapponesi dimenticati da tutti alla fine della seconda guerra mondiale in qualche sperduta isola dell’Oceano. Ma ora anche per loro è il destino è irrimediabilmente segnato ed è prossimo il momento in cui avverrà quella che con (brutto) termine tecnico viene definita “dismissione”.Parliamo delle cabine telefoniche che ancora sopravvivono nel territorio della nostra provincia e sulle cui porte sono stati impietosamente posti gli avvisi dell’imminente rimozione.Merita allora accantonare per un momento i problemi del Paese (che tanto si ripresenteranno immutati anche la prossima settimana…) e spendere i caratteri di questo editoriale non troppo impegnato per dire un riconoscente “grazie” ed un nostalgico “addio” ad un fenomeno sociale che ha segnato l’esistenza di quei Millenials che vivevano ignari di essere la “generazione Y”.Ed è commovente ripensare alle tante ore passate in quei parallelepipedi di vetro e lamiera per far sentire la propria voce ed aggiornare sulla propria vita familiari ed amici ma anche per quel dialogo con amori geograficamente più o meno lontani per cui era meglio non utilizzare il telefono di casa. La speranza era innanzitutto quella di non trovare già occupata la “propria” cabina considerato che ciascuno ne aveva una preferita, scelta secondo criteri personali assolutamente irrazionali agli occhi del resto del mondo (il secondo step era costituito dal sopravvivere al verso di apertura delle porte, collaudato avvalendosi dell’esperienza di qualche contorsionista circense…)”Mi ami? Quanto mi ami? Mi pensi? Ma quanto mi pensi?” sono stati le frasi del tormentone della pubblicità della Sip di oltre 30 anni fa rimasto nella memoria collettiva dei ragazzi e delle ragazze che alla fine di quegli anni Ottanta vivevano la loro adolescenza avendo come musica di sottofondo il suono metallico dei gettoni che l’apparecchio (nome omen!) inghiottiva ad una velocità che avrebbe fatto impallidire la Ferrari di Alboreto sulle piste della Formula Uno.Uno dei misteri meglio custoditi in Italia è sempre stata l’impossibilità per decenni di ricevere le telefonate nelle cabine (a differenza di quanto si scopriva essere la normalità ad esempio per le cugine poste nelle strade francesi…). Chiaramente il solito esperto asseriva convinto che facendo precedere il numero da un codice segreto, noto solo ai vertici della SIP, l’impossibile sarebbe divenuto possibile consentendo di ricevere fra quelle pareti vetrate comunicazioni dai telefoni fissi di tutta Italia.Ogni cabina, poi, diveniva il luogo deputato all’incontro di gruppi più o meno numerosi trasformandosi nel tempio laico della socialità: “ci vediamo alle cabine” era la parola d’ordine che indicava il punto di partenza per le serate “fuori porta” ed anche per quelle iniziate con le migliori intenzioni e poi trascorse a parlare per ore ed ore dinanzi a quelle postazioni obbligando gli estranei che volevano usufruirne a movimenti innaturali per saltare quegli ostacoli umani. Nelle cabine si parlava, davanti alle cabine si parlava, delle cabine si parlava e le conversazioni duravano a lungo ma sempre e solo se non era possibile farlo di persona…I tempi sono cambiati, come era naturale che avvenisse, senza necessità di giudicare se il dopo sia stato meglio del prima: è avvenuto perchè doveva avvenire.Inizialmente sono spariti i gettoni, sostituiti dalle schede telefoniche prepagate, ed anche le cabine si sono evolute permettendo persino di inviare un’email! L’arrivo e la diffusione degli smartphone hanno però segnato inevitabilmente il punto di non ritorno. Il traffico telefonico generato al loro interno ha raggiunto quasi livello 0 e sono arrivate le prime dismissioni: si sono salvate quelle postazioni situate in luoghi strategici (ad esempio nelle vicinanze delle stazioni ferroviarie o nelle località di villeggiatura marina o alpina) ma molto spesso passavano settimane senza che qualcuno ne varcasse la soglia. Ora le nuove “dismissioni” lasceranno tanti spazi vuoti nelle nostre città. In altri Paesi si è scelto di utilizzarle come arredo urbano nei modi più svariati magari come serra o come libreria… Speriamo che la possibilità di una seconda vita venga loro concessa anche alle nostre latitudini. Ed allora, magari, scoprendole negli angoli nascosti di qualche piazza o in una via secondaria, racconteremo ai nostri nipoti la loro storia: preventivando già sin d’ora, però, di sentirci rispondere, come Guccini ci ha avvertito, “Mi piaccion le fiabe, raccontane altre…”.
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