Accoglienza globalizzata

È sin troppo ormai palese che nel dibattito sui fenomeni migratori la grande assente nel nostro Paese è la Politica.Quella Politica con la P maiuscola che, come ricordava Paolo VI, se correttamente intesa e vissuta, rappresenta la più alta forma di carità.C’è un altra politica che riempie le pagine dei giornali e gli schermi televisivi ma che quando tratta l’argomento “immigrati” è incapace di andare oltre gli slogans e le dichiarazioni retoriche; dimostrando tutta la propria incapacità ad affrontare nel concreto una realtà con cui, volente o nolente, anche l’Italia deve confrontarsi. Nella sua quotidianità ma anche nel suo futuro prossimo o remoto. E questa è una delle conseguenze della mancanza di stabilità che ha segnato la sorte degli inquilini di Palazzo Chigi negli ultimi decenni: la questione immigrazione può spostare un numero consistente di voti a cui nessuno vuole rinunciare. Nemmeno coloro che per formazione e cultura dovrebbero considerare l’accoglienza elemento fondamentale del proprio DNA politico. Tali atteggiamenti pilateschi lasciano libero il campo a chi, per proprio tornaconto personale economico o elettorale, continua ad alimentare la paura ed il sospetto verso quanti rischiano la propria vita per fuggire da situazioni di guerra, violenza e fame. Non stupisce quindi che sia diventato ormai un dogma il sillogismo immigrato = musulmano = terrorista. Con un conseguente rifiuto all’accoglienza sempre più diffuso. Anche nelle nostre comunità cristiane. L’unica via seriamente percorribile è quella di un’accoglienza diffusa ma non indiscriminata, capace di assicurare la legalità e la tutela dei cittadini senza per questo dover ricorrere al blocco delle frontiere. Il peso economico e sociale dell’ospitalità non può essere fatto gravare solo sulle spalle di singole comunità o singoli Paesi. È necessario un “a me importa!” globalizzato in grado di abbattere i muri della diffidenza verso chi professa un’altra religione, parla un’altra lingua, proviene da un’altra cultura. Un cammino non semplice come dimostrano la difficoltà di attuazione dei progetti di re-distribuzione degli immigrati a livello europeo ma anche, per non andare troppo lontano, in ambito regionale o provinciale. Una strada certamente in salita ma l’unica percorribile. Che ci piaccia o meno.