Un libro per il secolo dalla ricostruzione della parrocchiale

Cento anni! Intere generazioni di genti che hanno vissuto la loro fede con piccoli gesti (un segno di croce sul desco, nei campi davanti ai buoi…) e oggetti sacri affissi in casa. Ma la casa non era tutto, seppur tirata a lucido, con i paioli di rame scintillanti sugli acquai di pietra. C’era anche la Casa di Dio, dove l’uomo sentiva il divino, avvertito anche oggi nella chiesa di San Lorenzo Isontino che il 10 agosto ha compiuto cento anni dalla ricostruzione. L’evento è stato ricordato con la pubblicazione del libro “La chiesa di San Lorenzo Martire”, di pregevole veste grafica, apprezzato per la rigorosità dei riferimenti storici, frutto di minuziose ricerche di Giovanni Marega (Vanni) che, dal patrimonio dei vari Archivi di Stato, ha attinto date, eventi e personaggi. Mercoledì 9 agosto, in chiesa, dopo i saluti di don Bruno al sindaco, alle autorità e ai presenti, è iniziata la cerimonia di presentazione del libro, di alto profilo culturale oltre che religioso, in una cornice impreziosita dalla maestosità dell’altare maggiore e affinata dai componenti della Coral don Nino Bearzot. Come overture, il canto “Sin ca duc in chista glesia”, seguito da un’introduzione di don Bruno sui tre altari: l’altare maggiore dedicato a San Lorenzo, i laterali alla Madonna, donna di fede e di servizio, e a Sant’Antonio modello da imitare. Nell’intermezzo i canti: “Porta regale”, “Ave Maria” di Arcadelt e “Laudate Nomen Domini”. A seguire gli interventi di Vanni, Bruno Razza e Feliciano Medeot. “C’era un silenzio come d’attesa…”, questa, in versi, era l’atmosfera all’entrata di Vanni che, padroneggiando l’assetto storico e cronologico della chiesa, ne ha tratteggiato con abilità il lungo excursus: “Colpita più volte il 4 giugno 1915, con il crollo delle volte del soffitto, la perdita degli affreschi dei Quattro Evangelisti e la “Gloria di San Lorenzo”, la chiesa resterà abbandonata per otto anni, fino al 1923, quando fu consacrata nella giornata di venerdì 10 agosto, ricorrenza del Santo Patrono, San Lorenzo Martire. Il relatore ha precisato che non ci sono notizie a ricordo di tale giorno, se non riprese dal periodico cattolico “Idea del Popolo” da cui si evince: “Finalmente la nostra chiesa è ricostruita. Ai festeggiamenti di venerdì ha partecipato l’intero paese. Un lieto scampanio destava nei cuori una sensazione di religiosità, con le case pavesate a festa, il campanile rivestito di verde e imbandierato… un’esplosione di gloria, di ringraziamento”. Dopo di lui Bruno Razza, rigoroso nell’elencare i conteggi relativi alle spese erogate per i vari lavori di manutenzione della chiesa, per salvaguardarne l’integrità, far sentire tutti a proprio agio e “tignila cont”. Ha riportato con precisione ogni intervento, iniziando dal 1929 con l’arrivo dell’organo, uno dei migliori della diocesi, fino ai giorni nostri, con un’attenta carrellata manutentiva e un elenco puntuale delle opere compiute, anche con la generosità dei fedeli. Infine Feliciano Medeot che, come curatore, ha coordinato e revisionato i testi, l’apparato grafico e iconografico. Un’esposizione fatta a braccio, in un friulano forbito che ha qualificato le peculiarità della chiesa e citato l’impegno di artisti e studiosi impegnati nel restauro. Dopo l’applauso, i ringraziamenti di don Bruno e il canto sublime del Magnificat in friulano. Giovedì 10 agosto festa del patrono, la messa presieduta dall’Arcivescovo Carlo, con l’omelia dal pulpito, che ha illustrato le persecuzioni nell’impero romano, dove i cristiani, pur obbedienti alle leggi, non accettavano di considerare l’imperatore come un dio: ecco il fiorire di tanti martiri! Per indebolire la religione cristiana, bastava colpirne i capi e i soldi. Il 6 agosto del 258, furono uccisi il papa Sisto II e 4 diaconi e il 10 l’arcidiacono Lorenzo, a cui venne chiesto di consegnare le ricchezze della Chiesa e lui portò i suoi “poveri”, definendoli tesori eterni. Tradire i poveri, ha continuato il vescovo, sarebbe tradire Lorenzo che, per la carità e la fedeltà al Signore, ha dato la vita. Ha definito, con le parole del papa, la Chiesa come Madre, in cui c’è spazio per tutti e nessuno è inutile, auspicando che anche la nostra Comunità possa essere attenta ai poveri e ai “foresti”. Inaspettato, ma efficace, il gesto di Monsignor Carlo che è salito sul campanile, suonando le campane. La Coral ha eseguito per la prima volta nell’occasione la Messe Eucaristiche di Gabriele Saro, composta per voci bianche per il centenario della Società Filologica Friulana e ora completata in versione polifonica.