Padre Bommarco: il ricordo a 100 anni dalla nascita

Buon giorno a tutti, lepo pozdravljeni vse skupaj.

La mattina del 6 febbraio 1983 Gorizia si era svegliata sotto una leggera coltre di neve che si sarebbe dissolta in poche ore. Si respirava un clima di forte trepidazione e attesa, già dal primo pomeriggio la Chiesa Metropolitana era affollata. Si attendeva da un momento all’altro l’arrivo del nuovo Arcivescovo, che era entrato nei confini territoriali e aveva voluto precedere la sua entrata ufficiale visitando la Basilica Madre di Aquileia. Era stato consacrato un mese prima, il 6 gennaio 1983, insieme ad altri quindici nuovi vescovi nella Basilica di San Pietro in Vaticano, per le mani di papa Giovanni Paolo II. Migliaia di fedeli avevano raggiunto Roma, avevano partecipato alla consacrazione episcopale e la mattina successiva, nella Basilica dei Santi Apostoli, avevano incontrato per la prima volta Monsignor Antonio Vitale Bommarco, o meglio, come amava sentirsi chiamare, Padre Antonio Vitale Bommarco.

Essendo vissuto nella sua casa, in via Arcivescovado, praticamente dal suo arrivo a Gorizia fino al 1988 e avendo mantenuto uno stretto rapporto in tutto il periodo successivo, vorrei sottolineare anzitutto alcuni brevi tratti della sua prorompente umanità. Nato a Cherso, come oggi esattamente 100 anni fa, aveva tenuto sempre nel cuore l’isola natìa, dalla quale era partito in giovanissima età – ben prima degli avvenimenti legati alla seconda guerra mondiale – per frequentare il seminario francescano di Camposampiero. Giunto a Gorizia, aveva sempre sottolineato le sue origini, coinvolgendo i suoi collaboratori almeno in tre dinamiche per lui fondamentali:

il rapporto strettissimo con i suoi familiari, i numerosi fratelli e sorelle, i mai dimenticati e assai amati nipoti, era l’occasione per condividere anche con i nuovi conoscenti goriziani ricordi di gioventù, mai tuttavia con accenti di nostalgia, quanto di conoscenza delle situazioni e delle esigenze del presente.

Il pensiero alla natura di Cherso, i sassi dai quali faticosamente nascevano l’ulivo e la vite, era talmente forte da averlo spinto a costruire, praticamente con le sue stesse mani, la “kuciza”, una piccola casetta di pietre collocata in una specie di paradiso, in un’insenatura raggiungibile soltanto con mezz’ora di barca. Quella casetta isolata dal mondo era il suo personale “Vaticano” per un mese, durante l’estate. Con padre Renato Gatti, i segretari e i collaboratori che si sono succeduti a Gorizia, trascorreva quel periodo godendosi un luogo senza luce elettrica e senza telefoni, mangiando il pesce pescato ogni giorno e bevendo dell’acqua piovana filtrata attraverso un ingegnioso sistema da lui stesso inventato. Era lì che ritrovava forze ed energie per riprendere ogni autunno il suo percorso episcopale, era lì che cercava l’ispirazione per le sue azioni e lettere pastorali.

In terzo luogo il “chersino” padre Bommarco aveva svolto un ruolo straordinariamente importante con i compatrioti che erano stati costretti a lasciare la propria terra e le proprie case dopo la seconda guerra mondiale, quel mondo degli esuli istriani e dalmati del quale si sentiva fortemente parte. Da questo punto di vista aveva voluto essere sempre vicino alla sofferenza di chi aveva perso tutto e che era stato costretto a ricostruire la propria vita in luoghi sconosciuti, superando anche una forte diffidenza da parte degli stessi italiani. Nel contempo, soprattutto nella delicata situazione di Gorizia, aveva sollecitato il superamento di antichi rancori e moltiplicato i suoi sforzi – non senza forti difficoltà iniziali – per contribuire a creare buone relazioni tra le diverse componenti linguistiche e culturali che caratterizzano la nostra drammatica e affascinante città.

Un altro aspetto che vorrei rimarcare è un’autentica “religione dell’amicizia”. Chi aveva la fortuna di superare il peraltro fragile ostacolo di un carattere piuttosto forte e di una dinamica molto essenziale e pratica delle relazioni, scopriva in padre Bommarco una sorprendente capacità di intessere relazioni e un profondo desiderio di far parte delle sue amicizie. Per l’Arcivescovado transitavano donne e uomini provenienti da tutto il mondo – familiari, religiose e religiosi francescani, spesso provenienti dai vari Continenti, amici di gioventù, tutti invitati a mensa, anche per raccontare le loro storie di vita e di missione. Sarebbe troppo lungo ricordare tutti, forse quello che mi è rimasto maggiormente nel cuore era il volto di un francescano novantenne cinese, che ci parlava delle percosse subite in prigione e del suo metodo di “convertire” i carcerieri rispondendo con il sorriso amorevole nei confronti del carnefice dopo ogni atto di violenza subito.

Una personalità così forte e coinvolgente non poteva non lasciare molti segni concreti del suo più che quindicinale passaggio attraverso la storia dell’Arcidiocesi. E’ impossibile ricordare tutto ciò che ha realizzato. Mi limito a segnalare alcune realtà, così come mi vengono in mente, senza alcuna pretesa di offrire un quadro completo.

Era giunto a Gorizia dopo l’episcopato di mons. Pietro Cocolin, uomo di questa terra che aveva saputo accogliere un immenso affetto da parte dei fedeli – chi ha vissuto in quel tempo non può non ricordare questa piazza davanti al Sacro Cuore gremita all’inverosimile in occasione del funerale – e dopo un anno in cui la Chiesa Goriziana era stata retta dal vicario capitolare mons. Luigi Ristits. Padre Bommarco si inserì nel nuovo contesto ben consapevole del ruolo del predecessore, ma anche della necessità di affrontare da subito alcuni problemi molto concreti.

Comprese da subito l’importanza di studiare la lingua slovena e già nei primi mesi raggiunse i frati di Ptujska Gora, nel nord della Slovenia, per poter almeno imparare a leggere i testi. Il risultato non fu eccezionale, è difficile imparare una nuova lingua a sessant’anni, ma fu apprezzato da tutti, contribuendo, almeno in parte, a rasserenare i rapporti fra le diverse componenti del clero e del mondo sloveno, friulano e italiano del territorio.

Dotato di una fede granitica, incentrata su un’autentica passione nei confronti della figura del Cristo e su un vero e proprio innamoramento spirituale per la madre di Gesù Maria, voleva essere molto fedele al dettato del Concilio Vaticano II. La sua intelligenza portata più alla pratica che alla teoria, lo aveva ben presto sollecitato a inviare a Roma i seminaristi più disponibili, in modo da potersi assicurare la vicinanza di collaboratori preparati anche dal punto di vista biblico, teologico e storico.

Nei primi anni del suo episcopato, aveva previsto, quasi in forma profetica, che il destino della città sarebbe stato determinato dalle giovani generazioni. Da questo punto di vista, aveva realizzato due obiettivi che oggi, a distanza di trent’anni, sembrano ancora quasi miracolosi.

Il primo era la destinazione del vecchio Seminario Minore di Via Alviano. E’ un enorme struttura che occupa la collinetta vicina al Castello. Era stato del tutto dismesso da pochissimi anni, un luogo dove potevano abitare centinaia di persone, era rimasto dimora di una decina di seminaristi, trasferiti già nel 1977 nella nuova struttura di via Seminario. Cosa fare di quel maniero, ormai destinato a diventare un rudere e un grande peso per le finanze dell’Arcidiocesi. Padre Bommarco riuscì a far comprendere quanto fosse necessario investire non in finanze ma in prospettiva di crescita e di umanità. Ed è per questo che oggi abbiamo l’Università di Udine a Gorizia, dopo qualche anno accompagnata dalla presenza di quella di Udine. La realtà universitaria è stata decisiva e continua a esserlo, una ventata di gioventù, di scienza e sapienza nel cuore di una città che a quel tempo doveva assolutamente riscoprire la sua dimensione internazionale.

Il secondo grande obiettivo fu la realizzazione del Liceo Linguistico Europeo Paolino di Aquileia, insieme alla scuola Media Carlo Michele d’Attems. Erano gli anni della dissoluzione della Jugoslavia e ci si avvicinava ai grandi eventi del 1989 e per quanto ci riguarda soprattutto del 1991, con la proclamazione dell’indipendenza della Slovenia e la conseguente moltiplicazione delle relazioni sul confine. L’intuizione di Padre Bommarco era quella di permettere alla Chiesa di offrire alla comunità sociale un luogo di formazione di giovani, in grado di affrontare le nuove sfide che si andavano prospettando. Oggi molti ex studenti lavorano in diversi gangli vitali dell’Unione Europea e degli altri Continenti, portando la loro conoscenza delle lingue e delle culture in diversi punti dove si decidono le sorti del globo. Per realizzare questo ambizioso obiettivo – in quel tempo era l’unico liceo linguistico a Gorizia – padre Bommarco aveva cercato come preside una figura storica di stimatissimo insegnante di filosofia al liceo scientifico, don Luigi Pontel e aveva per così dire “rapito” ottimi professori per garantire una preparazione efficace, ma anche la realizzazione di una straordinaria comunità educante.

Un capitolo a sé merita il rapporto con Aquileia, la “chiesa madre”, percepita fin da subito come il punto di riferimento storico, teologico e pastorale dell’intera Arcidiocesi. La gestione di una simile struttura che, oltre a essere la “casa” della comunità parrocchiale di Aquileia, è un centro di riferimento di livello mondiale – si pensi che attualmente si riscontrano quasi 300mila visitatori all’anno – è particolarmente delicata e difficile, richiedendo investimenti ordinari e straordinari di alto livello. Anche in questo caso, non senza difficoltà e incomprensioni, padre Bommarco riuscì a trovare, con un pizzico di fortuna, la quadra. Con l’aiuto dei più stretti collaboratori, scoprì che l’arcivescovo Borgia Sedej aveva istituito nel 1909, all’indomani della scoperta dei meravigliosi mosaici teodoriani dell’inizio del IV secolo, una Fondazione denominata Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia, proprio per garantire nel miglior modo possibile la salvaguardia di questo eccezionale sito religioso, archeologico e storico, dal 1998 annoverato tra i siti UNESCO. Comprese che sarebbe stato sufficiente nominare un nuovo consiglio di amministrazione per rivitalizzare quella istituzione. Ed è così che da quarant’anni la parrocchia può svolgere tutte le proprie ordinarie attività liturgiche nella Basilica, mentre la cura strutturale degli ambienti, l’accoglienza e la promozione spirituale e turistica sono affidate alla So.Co.B.A. che intesse le indispensabili relazioni con il Ministero dei beni culturali, con la Regione, il Comune di Aquileia e la Fondazione che unisce i vari enti che concorrono a rendere Aquileia un ambiente sempre più attrattivo e affascinante per visitatori da tutto il mondo.

Un’altra realtà che ha coinvolto padre Bommarco è stata l’attenzione nei confronti delle persone maggiormente in difficoltà. Gli anni ’90 sono caratterizzati dalle tremende guerre balcaniche, con il conseguente arrivo di molti profughi, soprattutto dalla Bosnia, ospitati nelle caserme di Cervignano e accolti in diverse strutture di Gorizia. Con l’aiuto di don Ruggero Dipiazza, a quel tempo referente della Caritas diocesana, era stato intensificato un rapporto con il mondo balcanico particolarmente significativo, anche con la creazione di ponti fra le chiese e numerose raccolte di aiuti nei confronti delle persone più colpite.

Da non dimenticare naturalmente anche la dimensione missionaria. Nonostante una salute spesso vacillante, soprattutto a causa delle vicende accadute in gioventù, quando se l’era cavata per miracolo – sì, lui riteneva proprio per miracolo ottenuto dalla fede di uno zio che lo aveva costretto a bere dell’acqua scaturita dalla tomba dei martiri di Concordia Sagittaria – padre Bommarco aveva voluto – e avrebbe voluto farlo più spesso – visitare le missioni di Gorizia in Costa d’Avorio. Erano state avviate nel decennio precedente alla sua venuta dall’intuizione di mons. Cocolin e dall’instancabile lavoro di don Giuseppe Baldas. Per Bommarco Bouaké e Kossou non erano soltanto città e villaggi in cui inviare i sacerdoti fidei donum, ma anche l’occasione per costruire significativi rapporti tra chiese geograficamente lontane, ma spiritualmente vicine. Non era ancora giunto il tempo delle grandi migrazioni degli inizi del nuovo millennio e l’aver avuto la possibilità di conoscere così da vicino una realtà di quello che un tempo si chiamava “il terzo mondo” ha indubbiamente dato ai goriziani la possibilità di capire le radici della povertà che affligge il mondo e di prepararsi all’avvento delle nuove attuali problematiche.

Non sempre compreso nelle sue dinamiche molto attive e pratiche, padre Bommarco non si è dimenticato dei sacerdoti diocesani, anche se ha sempre cercato di valorizzare in modo spesso sorprendente il ruolo dei laici nella Chiesa. Ha voluto ristrutturare gli statuti del consiglio presbiterale e di quello pastorale diocesano e ha promosso ovunque i consigli pastorali parrocchiali. Ha promosso e realizzato l’istituzione del diaconato permanente, con l’ordinazione dei primi candidati, tutti sposati, inseriti negli ambiti vitali della vita sociale ed ecclesiale diocesana, nel 1994. Ha cercato più possibile di favorire il dialogo tra tutte le componenti della comunità ecclesiale, anche con iniziative eclatanti come per esempio quelle realizzate durante l’Anno santo della Redenzione (1983-1984), quando propose intere giornate ad Aquileia, una per decanato, da trascorrere nella preghiera, nell’approfondimento teologico ma anche nella festa, tutti seduti sul prato di piazza Patriarcato a mangiare panini sulle coperte e a cantare gioiosamente i canti della nostra terra. Un altro momento straordinario è stato costituito dalla visita di papa Giovanni Paolo II ad Aquileia e Gorizia, nel mese di aprile/maggio 1992, con l’autorevole richiamo del pontefice al ruolo di Gorizia e del suo territorio come luogo di incontro, intersezione e confronto fra l’Est e l’Ovest di Europa.

Per i sacerdoti più anziani, padre Bommarco ha promosso e realizzato la trasformazione della Casa dello Studente di Via Seminario, per un certo tempo anche dimora dei seminaristi teologi goriziani, in Casa del Clero, offrendo così un prezioso servizio infermieristico al clero più anziano o malato. Il luogo è diventato presto, meta assai accogliente di veri e propri pellegrinaggi di fedeli di ex parroci, per portare un po’ di compagnia e di conforto.

Da ultimo, ma non per importanza, è da menzionare il secondo Sinodo della Chiesa dell’Arcidiocesi di Gorizia, tenutosi tra il 1996 e il 1998, con la pubblicazione degli atti sinodali in occasione della Pentecoste del 1999, praticamente l’ultimo atto di padre Bommarco, prima della richiesta di dimissioni per il raggiungimento del 75 anni. L’Arcivescovo non aveva mai nascosto il desiderio di guidare la chiesa goriziana nel III millennio e di accompagnare la celebrazione del Grande Giubileo del 2000, accuratamente preparato negli anni precedenti. Le sue aspettative non si realizzarono e l’annuncio dell’accettazione delle dimissioni lo colse un po’ di sorpresa. Accettò comunque la sostituzione con un po’ di umorismo e con la sua proverbiale disponibilità alla “perfetta letizia” francescana. Il Sinodo fu un lavoro enorme. Circa trecento fedeli – preti e laici – lavorarono insieme per due anni, con un unico scopo, quello di individuare le linee guida dell’attuazione del Concilio Vaticano II nell’Arcidiocesi di Gorizia. Fu un Sinodo essenzialmente pastorale, non a caso incentrato sulle quattro Costituzioni del Concilio. Le indicazioni emerse prospettano la figura di una Chiesa profondamente radicata nel proprio territorio, ma anche capace di dialogare con la cultura contemporanea. Il libro sinodale, significativamente pubblicato in un unico testo bilingue, in sloveno e italiano, contiene proposte cariche di profonda innovazione, soprattutto nei capitali riguardanti la cultura, la carità e il dialogo con il mondo goriziano attuale. Molte di quelle intuizioni sono oggi motivo conduttore dell’attuale pontificato di Papa Francesco, come pure dell’attuale episcopato goriziano di mons. Carlo Maria Redaelli, ma nel 1999 apparivano come sogni forse irrealizzabili, approvati anche da personaggi noti del tempo, come per esempio il Vescovo del Chiapas Samuel Ruiz. Forse sarebbe bene, a 25 anni dalla sua pubblicazione, riprendere alcune delle tracce di quel documento, per individuare antiche e nuove idee per il momento presente.

E’ tempo di chiudere questo elenco. Si potrebbe ancora parlare della fondazione del Monastero Santa Chiara, in piazza sant’Antonio, luogo di intensa e permanente spiritualità, dell’acquisizione e fondazione della Radio Voce Glas, del rilancio dei settimanali diocesani Voce Isontina e Novi Glas, dell’avvio dello “Spirito di Montesanto Sveta Gora” come ambito di riconciliazione e dia azione congiunta tra le chiese di Gorizia e di Koper Capodistria intorno al confine, e di molto altro, ma a questo punto rischierei di essere noioso. Credo in conclusione che in questo giorno, in cui molto opportunamente viene dedicato un piccolo sazio della nostra città a un personaggio importante della nostra storia, ognuno di noi, a livello personale, ecclesiale e sociale, possa ricordare padre Antonio Vitale – i tanti pregi e i difetti che ogni essere umano porta con sé – con un’unica parola: Hvala, Graciis, Grazie!