Israele – Palestina: timori per un’escalation di terrore
13 Ottobre 2023
La notizia dell’attacco ad Israele all’alba dello scorso 7 ottobre ha colto tutti di sorpresa, risvegliandoci con notizie che nessuno vorrebbe mai ascoltare.Quanto era “prevedibile” un’azione di questo tipo? Quali risvolti prenderà ora e come si colloca l’Europa in questo scenario? Ne abbiamo parlato con Daniele Rocchi, giornalista dell’agenzia di stampa SIR ed esperto dell’area mediorientale. Vi proponiamo l’intervista, facente riferimento allo stato delle cose nella mattinata del 9 ottobre.
Daniele, quest’escalation bellica era attesa? C’erano stati nelle settimane precedenti dei segnali che potevano far prevedere un’improvvisa degenerazione della situazione tra Israele e Palestina?Quella messa in atto è un’aggressione militare che alza l’asticella della “qualità” del conflitto tra Hamas e Israele; non è un semplice attacco terroristico ma è un attacco di guerra concertato, preparato nei mesi e credo che Israele non avesse avuto avvisaglie, in quanto sarebbe intervenuto per prevenire un’eventuale e tale attacco. Si parla di numeri importanti: migliaia di razzi, arrivi con deltaplani, moto, suv, probabilmente anche via mare. Conoscendo l’attenzione che Israele ha alla sua sicurezza del suo popolo e delle sue frontiere, mi lascia pensare che ci siano state delle falle.Aggiungo inoltre che un tale attacco non può essere stato concertato da Hamas senza l’appoggio e il consenso di altri, che sono l’asse della resistenza individuabile nell’Iran e nella formazione politico – militare terroristica di Hezbollah, in Libano.Preparare un simile attacco prevede un’azione di intelligence, di preparazione di materiale, di formazione dei militanti… Stiamo parlando quindi non di un “semplice” lancio di razzi, come ne abbiamo visti tanti negli anni, ma di un’aggressione militare vera e propria. Si tratta di una guerra vera e propria ed è lecito pensare ad un possibile allargamento.
Allo stato attuale, quali sono le prospettive di sviluppo?Hezbollah, che si trova al confine nord di Israele, ha già fatto sapere che attaccherà solo se attaccato: credo che a nessuno convenga aprire un nuovo fronte militare. Credo piuttosto che sarà una cosa lunga.Stamattina le agenzie e i media israeliani, ma anche il Washington Post, parlano di una possibile campagna militare terrestre: questo significherebbe aprirsi ad un bilancio di morti che potrebbe superare di gran lunga quello che abbiamo oggi (Israele conta 700 vittime, compresi 260 giovani uccisi al rave party, oltre 2000 feriti; mai nella storia del Paese si sono registrate tante vittime in una sola ondata di violenza).Il mito della sicurezza di Israele è caduto: il 7 ottobre è un po’ l’11 settembre d’Israele.A Gaza ci sono stati 436 morti, 400 miliziani penetrati in Israele uccisi dall’esercito; contiamo anche 123.000 sfollati nella Striscia, 73.000 hanno trovato rifugio nelle scuole…Ci sono poi 130 ostaggi che potranno essere usati – ed è probabile venga fatto – sia come merce di scambio per i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, sia come scudi umani. Sono convinto che saranno dislocati in varie zone di Gaza, perché all’esercito israeliano risulterà più difficile ritrovarli in una guerra casa per casa. Ci saranno morti su morti.Quella della Striscia di Gaza è una terra difficile, dove non ci sono servizi igienici, manca tutto e le rovine si accatastano a quelle di precedenti campagne e bombardamenti militari, la gente vive un po’ alla giornata. Oltre il 50% della popolazione è minorenne. La popolazione è tenuta sotto controllo stretto da Hamas, dalla Jihad islamica, e questo attacco probabilmente ha rivitalizzato anche una certa identità palestinese che Hamas vorrà estendere anche nella Cisgiordania. Hamas torna ad essere un baluardo dell’identità palestinese, laddove al-Fatah e il presidente Abu Mazen sono considerati dai palestinesi corrotti.È una crisi che si avvita sia nell’ambito del conflitto israelo – palestinese, sia all’interno del conflitto intra-palestinese.
Guardando allo scacchiere internazionale, quali le posizioni dell’Iran? Quanto può aver influito nell’attacco il dialogo intrapreso con l’Arabia Saudita?L’Iran e Hezbollah sono i principali finanziatori di Hamas nella Striscia. Questa attività di supporto all’azione si è ulteriormente raffinata. Cosa c’è dietro? C’è l’opposizione forte di Hezbollah e dell’Iran – sciiti -, alla normalizzazione che sta avvenendo a partire dagli “Accordi di Abramo” del 2020 tra Israele e l’Arabia Saudita, i Paesi del Golfo, il Marocco…Questi rapporti sono un dato importante, che può cambiare l’assetto degli equilibri all’interno del Medio Oriente, e la loro normalizzazione va in funzione anti – Iran: il grande pensiero di Israele, condiviso con l’Arabia Saudita, è che possa dotarsi di arsenale atomico e quindi è un grande spauracchio. Sostanzialmente Israele normalizza i rapporti con gli altri Paesi perché condividono la stessa paura.Il tentativo di Iran e Hezbollah è di rompere questo piano e tenere indeboliti i Paesi del Golfo insieme ad Israele (va anche ricordato che Arabia Saudita, Emirati… sono tutti sunniti, non darei però a questo conflitto un carattere di religiosità).
Quale la posizione dell’Europa? Il conflitto in corso in Ucraina può aver condizionato in qualche modo l’escalation bellica?L’Europa ha subito condannato, con la massima fermezza, l’attacco di Hamas contro Israele, perché per essa questo non è né una soluzione politica, né un atto di coraggio, è solo terrorismo.L’Europa ha ribadito il diritto di Israele di difendersi e di dargli appoggio; è un appoggio però che ha sempre dato, così come ha sempre sostenuto qualunque forma di negoziato e dialogo che desse a Israele il diritto all’esistenza, dentro confini certi e sicuri, e stesso discorso per i palestinesi; quindi un negoziato di pace per due popoli e due Stati.Questa è la stessa posizione della Santa Sede, per due popoli che convivano uno vicino all’altro, con confini sicuri.Riguardo il conflitto in corso in Ucraina, ho qualche dubbio circa la movimentazione di equilibri.Credo piuttosto che la guerra in Ucraina abbia avuto un effetto negativo sul conflitto israelo – palestinese, che era di per sé già residuale sulle agende delle Cancellerie del mondo. Ora quest’attacco riporta l’attenzione al centro, soprattutto delle Agende politiche e diplomatiche della comunità internazionale. Se si dovesse derubricare questo attacco militare, lasciando Hamas e Israele a vedersela tra loro, sarà un’occasione persa e un ulteriore rischio per quella regione.
La pace: un’utopia o ci sono spazi di dialogo? Quale ruolo per le religioni nel processo di distensione?Quando si parla di pace nel conflitto israelo – palestinese o in Medio Oriente (ricordiamo che ci sono fronti aperti in Libano, in Siria, in Iraq…) non si parla mai di Pace propriamente ma si parla sempre e soltanto di negoziati, che non sempre portano alla pace; portano a dei compromessi, ad un cessate il fuoco, a situazioni che “gelano” quelle di guerra. Gli unici che parlano di pace, in ogni situazione e senza esitare, sono papa Francesco e la Chiesa.Dare per scontato il tema della Pace in un contesto simile, significa abbassare l’asticella degli accordi, restare in una fase di compromesso che prima o poi riporterà alla guerra.La diplomazia fondamentalmente deve riconoscere un vincitore e un vinto, nel caso di una guerra, e deve dare modo al vinto di uscire senza umiliazioni e al vincitore di non umiliare.Senza questa visione rimangono le braci accese dei conflitti.Parlare di Pace significa impegnarsi per qualcosa di importante, che non sia solo la ricerca di un negoziato o di un compromesso – che servono, ma devono essere visti come propedeutici alla Pace stessa -. Nelle “segrete stanze” c’è bisogno di dialogo, di confronto, a volte anche forte, duro, teso, ma l’importante è che da questo dialogo nascano poi spazi di incontro; senza di questi sarà difficile anche solo sedersi ad un tavolo.
(foto Ansa/Sir)
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