Il mondo dei social
20 Ottobre 2023
Un ragazzo di 23 anni di Bologna, famoso influencer sulla piattaforma di TikTok, si è tolto la vita durante una diretta collegato con i suoi seguaci dove gli stessi, resisi conto della gravità di quanto stava accadendo, hanno allertato le forze dell’ordine che però, arrivando tardi, lo hanno trovato già privo di vita. Una notizia di pochi giorni fa che è stata ripresa da tutti i media come notizia di second’ordine (probabilmente anche a causa dell’estrema attenzione ai fatti di guerra provenienti dal Mondo), ma così non è.Si è detto che il giovane veniva perseguitato da accuse infamanti da chi, pare, volesse minarne la sua popolarità su TikTok per ragioni probabilmente riconducibili a dinamiche commerciali dei competitors.Questa tragedia impone tante riflessioni tra cui quella della regolamentazione e del controllo delle piattaforme social. In tutte infatti esistono codici regolamentari, più o meno stringenti e, addirittura, nei gruppi di condivisione, esistono anche ulteriori restrizioni e istruzioni (accettare le regole di accesso, usare un linguaggio consono, etc), ma il punto vero, però, è chi sia il controllore.Nei gruppi di condivisione, ad esempio, il controllore è il fondatore del gruppo stesso ovvero un privato cittadino che poi eserciterà il potere di dare spazio o privarne a seconda dei propri desiderata. Pensiamo, giusto per citarne i più noti, ai gruppi “Sei di questa città se…”, luoghi di incontro di moltissimi cittadini che macinano followers sino ad arrivare a numeri enormi di seguaci (20.000, 50.000, 1.000.000) a seconda della grandezza della stessa Città o Provincia o Regione.Il potere che il fondatore (in gergo amministratore) dispone è enorme: in campagna elettorale o per commercializzare beni o servizi, il tutto non solo a vantaggio di qualcuno ma anche potenzialmente a svantaggio di qualcun altro (“non pubblico i contenuti di quell’orientamento politico, pensieri, critiche, competitor di un determinato bene, pizzerie, locali etc”).Il tutto è completamente legale perché lo spazio di condivisione è uno spazio privato fatto da adesioni volontarie, una sorta di accesso ad una camera privata dove il proprietario si erige a decisore di chi entra e chi no. Solo quando i “bannati” (gli esclusi) protestano della loro esclusione, allora la comunità scopre che in quella camera l’aria è viziata, non libera come si credeva, ma pilotata o quantomeno filtrata ove i più non ne protestano perché non credono di avere un diritto (o un interesse) a pretendere un luogo neutro di scambi e informazioni.E ovviamente sbagliano.D’altro canto, se questo accade nel “micro” del quotidiano dei social, nel “macro” i gestori delle piattaforme approvano codici comportamentali, cosiddette due diligence, severe (no contenuti razzisti, no omofobi, etc) rimesse per lo più ad algoritmi e quindi a controllori artificiali che solo in caso di violazioni palesi agiscono (e spesso sbagliando). Altrimenti bannano su “segnalazione” che però non pretende mai di chiarire quale sia l’interesse di chi vuole censurare i contenuti di un altro permettendo così forme di oscurantismo interessato e fazioso.Ci sono poi le piattaforme a palese vocazione commerciale (in primis Instagram e TikTok), con conseguente giro di valori milionari in tutto il mondo tra sponsorizzazioni, contenuti inediti, crediti, etc, dove i diritti, il copywrite, la proprietà delle idee non sono in alcun modo tutelati consentendo così l’accaparramento di contenuti altrui senza consentire tutela. O meglio, questa avviene solo raramente e dopo copiose segnalazioni degli utenti (ma è normale che, innanzi ad un illecito, la vittima debba chiedere il supporto di tutti i suoi followers perchè la piattaforma, dato il numero delle proteste, gli garantisca protezione?). Una generale indifferenza, dunque, alla tutela dei diritti commerciali lì dove c’è una terra di nessuno estremamente producente proprio così com’è. Una vetrina data ad espositori senza alcuna responsabilità di chi offre quello spazio.Quello che dunque è il posto più frequentato al mondo, i social, lo scopriamo come il posto meno protetto ove i controllori latitano o peccano loro stessi di faziosità.La legge in tutto questo resta sulla porta spesso impotente e inerme contro colossi sociali, con sedi dall’ardua tracciabilità, mentre purtroppo maturano, tra i selfie e i divertimenti dei più, sciacallaggi, linciaggi mediatici, mode virali pericolose se non gesti così atroci come nel caso di Bologna.
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