Le strade dei “Profeti di Pace”

La Città dell’uomo APS di Gorizia, nata lo scorso anno da un gruppo di persone che hanno a cuore promuovere e diffondere una cultura politica della partecipazione e di impegno, sta proponendo in queste settimane un ciclo di incontri, con ospiti esperti e di prestigio, dedicato ai “Profeti di pace”. I primi due incontri hanno indagato le figure di Carlo Urbani e David Sassoli.

Il medico che curava  il mondo
Sono passati 20 anni da quando il dottor Carlo Urbani isolò il virus della Sars e perse la vita nel fermare la pandemia che aveva già raggiunto 30 Paesi. Morì a Bangkok a 47 anni il 29 marzo 2003 e da allora il mondo intero lo celebra. Ma solo oggi, dopo che anche noi abbiamo toccato con mano cosa significhi una pandemia, capiamo fino in fondo quanto l’umanità sia in debito con il medico marchigiano che salvò il pianeta.
La città dell’Uomo APS Gorizia lo ha voluto indicare tra i “Profeti di pace” che meritano di essere raccontati come fari di umanità, insieme all’ambasciatore in Congo Luca Attanasio e al giornalista e politico David Sassoli: i tre eventi dedicati ai tre personaggi aprono la strada a una “carrellata” di altri ritratti che continuerà i mesi prossimi.
Abbiamo iniziato con Carlo Urbani, narrato il 17 novembre scorso nel municipio di Gradisca dalla giornalista di “Avvenire” Lucia Bellaspiga, in dialogo con il dottor Antonio Perciaccante Medico all’ospedale di Gorizia. Nel marzo di quest’anno Bellaspiga ha dedicato alla figura dell’infettivologo il libro “Carlo Urbani, il medico che curava il mondo” (Ed. Àncora), in occasione del ventennale della scomparsa.
Urbani era giunto ai vertici della Sanità mondiale: viveva con la moglie e i tre bambini in Vietnam, dove l’OMS lo aveva inviato a coordinare le politiche sanitarie contro le malattie parassitarie per l’intero Sud-Est asiatico.
All’esordio dello sconosciuto coronavirus (cugino stretto del nostro Covid ma dieci volte più mortale) nell’ospedale di Hanoi, Urbani scese in trincea in assoluta solitudine, isolò il virus, curò i medici e gli infermieri che via via si ammalavano e morivano, organizzò i meccanismi di difesa per tutto il mondo, facendo immediatamente il tracciamento delle persone contagiate.
“Scappiamo in Italia”, gli aveva chiesto la moglie Giuliana all’insorgere del contagio, preoccupata come madre di tre bambini. “Se di fronte alla malattia il medico scappa, chi resta?”, le rispose Urbani, che fin da giovane studente di Medicina si era “chinato” su ogni persona ammalata con l’atteggiamento del samaritano. “Il medico deve prima di tutto prescrivere se stesso”, ripeteva come presidente nazionale di Medici senza Frontiere, spronando i colleghi a non esercitare la professione da dietro una scrivania ma a essere missionari dove “povertà e malattia si generano a vicenda” e l’orrore delle guerre “fanno della dignità umana un sanguinante misero fardello”. Per questo aveva accettato di lasciare le Marche e la vita agiata per lavorare prima in Africa, poi nella Cambogia terrorizzata dai Khmer Rossi, infine in Estremo Oriente.
Due le sue forze: l’amore per una famiglia che lo seguiva ovunque e la preghiera.
“Se c’è un mutilato – scrisse andando a Oslo a ritirare il Premio Nobel per la Pace per Medici senza Frontiere – gli occhi del chirurgo sono sulle ferite, ma quello sguardo poi va alzato”, perché il medico si fa megafono per chi non ha voce contro le profonde ingiustizie che regolano il mondo.
Dieci anni fa, nel decennale della morte di Urbani, Lucia Bellaspiga intervistò Ilaria Capua, virologa di fama mondiale riconosciuta tra i primi 50 ricercatori, la quale pronunciò parole oggi amaramente profetiche: “Non si può abbassare la guardia, nuove pandemie potranno sempre arrivare, e saper reagire con immediatezza significa salvare milioni di vite, come successe con la Sars. Ciò che contraddistingue Urbani è un coraggio che, associato alla competenza, è diventato una miscela dalle conseguenze indimenticabili: in futuro dovremo applicare esattamente ciò che ha fatto lui”. Come sappiamo, il nuovo Covid fu denunciato al mondo con grande ritardo e quando ormai la corsa del virus era inarrestabile.

Uomo, giornalista, cittadino d’Europa
Un’Europa che innova, che protegge, che sia “faro grazie al suo modello democratico”.
È il “sogno europeo” che David Sassoli (1956-2022) consegna a leader politici e cittadini del vecchio continente nel suo ultimo discorso, pronunciato a Bruxelles il 16 dicembre 2021.
Di lì a meno di un mese il presidente del Parlamento Ue avrebbe terminato il suo cammino terreno, lasciando una ricca eredità culturale, professionale e politica ora raccolta nel volume David Sassoli, la forza di un sogno. Uomo, giornalista, cittadino d’Europa (Ed. In Dialogo).
Il libro, firmato da Gianni Borsa, corrispondente da Bruxelles per l’agenzia Sir, è stato presentato dall’autore venerdì 24 novembre a Romans d’Isonzo, durante una serata-dibattito promossa dall’associazione “Città dell’uomo” di Gorizia.
Sassoli – ha argomentato Borsa – aveva un chiaro convincimento: l’Ue doveva rimanere un “cantiere”, una organizzazione sovranazionale capace di adeguarsi ai tempi per affrontare le nuove sfide continuamente proposte dalla storia (innovazione); una “casa comune” che si attrezza per rispondere ai bisogni concreti e alle reali esigenze dei cittadini, delle famiglie, della società civile, delle imprese e del mondo del lavoro (protezione).
Non da ultimo, una istituzione aperta al mondo, attore sulla scena mondiale, che fonda la sua forza e la sua credibilità sulla democrazia, la tutela dei diritti umani, la cooperazione economica volta allo sviluppo, la promozione del dialogo tra le nazioni (appunto l’Europa faro di democrazia).
Nei suoi dodici anni da europarlamentare e nei due anni e mezzo alla guida dell’istituzione con sede a Strasburgo, Sassoli non ha mai smesso di invocare e promuovere le riforme necessarie per rafforzare l’Unione europea; di coltivare e condividere il progetto di un’Europa più giusta, attenta a chi è maggiormente nel bisogno, in grado di affrontare ogni nuovo fronte che si spalanca dinanzi a noi. In questo senso occorre ricordare che la presidenza Sassoli si apre a metà 2019 ed è dunque profondamente segnata dalla pandemia e dalle sue ricadute sanitarie, sociali, economiche, occupazionali, da affrontare sia all’interno dei Ventisette sia su scala globale. Borsa ritiene che nella fase alla guida dell’Euroassemblea si riscontri “il punto più alto del pensiero e dell’attività di David Sassoli. Un periodo in cui ha portato, con limpida coerenza, il suo bagaglio di vita familiare e professionale, il suo patrimonio spirituale e culturale, nel ruolo di presidente, e con essi ha innervato le relazioni interpersonali, le scelte politiche, i discorsi pubblici. Confermando così gli elementi portanti di un’esistenza vissuta in pienezza”.


Raccontare i monoteismi e la cura della casa comune

La maggior parte degli abitanti del pianeta si dichiarano credenti, e questo dovrebbe spingere le religioni ad entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità” (Laudato si’, n. 201).
Un’opera collettiva, che illumina il rapporto, sempre più necessario, fra la cura della casa comune e le fedi religiose: questo è l’obiettivo del libro L’ecologia dell’anima.
I valori ambientali dei monoteismi europei. Ebraismo, Cristianesimo, Islam, che verrà presentato sui canali social dell’Azione Cattolica diocesana il prossimo 11 dicembre alle 20.30.
Durante la serata interverranno alcuni degli autori, ovvero la curatrice Antonella Castelnuovo, presidente dell’Istituto di Psicologia Interculturale ETS, Anna Coen, già dirigente della Scuola ebraica di Roma, Antonio Cuciniello, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Raimonda Morani, pedagogista e ricercatrice INDIRE, ed Elisa Battistella, docente di Religione Cattolica dell’Arcidiocesi di Gorizia.
Pubblicato dalla casa editrice Celid, il testo raccoglie gli interventi effettuati durante il convegno Monoteismi, Educazione Civica e Ambientale, Identità, che si è svolto a Roma il 19 ottobre 2022. Accanto ai contributi di carattere teorico, che inquadrano la tutela dell’ambiente in relazione ai tre monoteismi e al loro contesto sociale, sono presenti vari spunti operativi, inerenti alla visione ecologica delle tre fedi abramitiche in ambito scolastico, insieme a un’interessante appendice, che fotografa la conoscenza religiosa dei nostri bambini e ragazzi.
Un valore aggiunto del volume, inoltre, è la pluralità sia religiosa che professionale degli autori, dimostrando che l’ambiente rappresenta un fertile terreno di dialogo fra le fedi e i diversi ambiti del sapere.
In un contesto come quello odierno, caratterizzato da polarizzazioni e conflitti sempre più accesi e potenzialmente distruttivi, quest’opera dimostra quanto sia importante mettere al centro la cura della casa comune, per sognare un futuro più giusto per le nuove generazioni.