“Esprimere in nome di Chi si fa del bene” – Speciale Uniti nel dono

Come cristiani e come comunità siamo chiamati ad operare, anche attraverso l’aiuto dei nostri sacerdoti, per lasciare dei segni concreti: essere attenti, prendersi cura, darsi da fare; parole ma soprattutto gesti che dovrebbero fare parte del nostro quotidiano.
In diocesi sono numerosi gli esempi di fedeli e comunità che, in modi diversi, hanno dimostrato di essere attenti e coesi nei confronti delle criticità presenti sul proprio territorio e hanno deciso, insieme, di fare qualcosa per dare risposte che, in quel momento o ancora ora, mancano.
Azioni che, in molti casi, non sarebbero possibili senza l’aiuto derivante dalle offerte di Uniti nel dono.
Don Gilberto Dudine ci racconta di alcuni segni, una vera presa di coscienza, da parte della comunità di Gradisca d’Isonzo, della quale è parroco.

Don Gilberto, la tua parrocchia e la tua comunità dallo scorso inverno stanno vivendo un’esperienza di solidarietà (e di emergenza) particolare. Un’esperienza che è sorta proprio da un’attenzione nata tra le persone che animano la realtà parrocchiale. Ce la puoi raccontare brevemente?

Lo scorso anno dal 10 novembre al 31 marzo abbiamo vissuto un’esperienza importante di carità con l’apertura -era la prima volta per la nostra comunità- di un dormitorio a bassa soglia per i migranti in attesa di entrare al Cara di Gradisca.
Una giornata significativa, non scelta ad hoc ma offertaci dalla contingenza del momento, ovvero il primo giorno di “grande freddo”, per cui ci siamo sentiti di dare una risposta concreta all’esigenza di questi ragazzi. La Chiesa celebra il 10 novembre la memoria di San Leone Magno Papa, un Papa Magno cioè grande perché ha saputo guidare e traghettare la Chiesa tra la fine dell’Impero Romano di Occidente e l’inizio del Medioevo con le invasioni barbariche. San Leone viene ricordato nella storia della Chiesa perché ha saputo guardare lontano e ha intravisto nelle invasioni dei barbari una nuova strada di accoglienza e di inclusione (sono termini nostri moderni ma ricalcano anche l’esperienza di quell’epoca) piuttosto che di repulsione e di chiusura.
Pertanto la nostra di oggi è la stessa sfida che ebbe a vivere San Leone Magno, che cosa fare di fronte a questi popoli che migrano dal sud del mondo verso l’Europa?
Una domanda che non è solo di Gradisca ma di tutti. Che cosa fare? Come rispondere a queste esigenze? L’opinione pubblica e la politica sta facendo molta, molta difficoltà nel dare risposte concrete, e questo crea molte divisioni.
Anche nella Chiesa non è da meno, la discussione c’è e molto spesso divide.
Piccole comunità come la nostra non possono risolvere certo un problema mondiale ma possono essere una goccia nel mare della solidarietà, un sorriso tra la mestizia di chi lascia tutto per seguire o inseguire quello che il futuro gli riserva.
la situazione contingente non poteva lasciarci indifferenti, dovevamo rispondere con il Vangelo, dovevamo essere buon Samaritano a parti invertite. Mi spiego, il Vangelo mette in evidenza che il Samaritano era uno straniero che soccorre l’uomo incappato nei briganti e lasciato mezzo morto sul ciglio della strada, il sacerdote e il levita passano oltre mentre lui, lo straniero, il Samaritano si ferma a curare le piaghe del malcapitato.
Oggi il sacerdote e il levita, il cristiano soccorrono il Samaritano, lo straniero che a sua volta ha bisogno di essere accolto e curato, e lo facciamo proprio perché il Vangelo ce lo chiede.
Siamo cristiani veri solo se il Vangelo entra nella vita, non una teoria o un insieme di verità di Fede ma un vissuto di Amore in nome i Gesù.

Lungo i mesi di accoglienza, qual è stata la risposta della comunità?
Come si è messa a disposizione?

Diverse persone si sono messe a disposizione, non solo della comunità parrocchiale di Gradisca ma anche dei paesi vicini fino a Monfalcone, Staranzano o Aquileia, e non solo della comunità cristiana ma anche di associazioni laiche che volentieri hanno condiviso con noi il peso di questa esperienza.
Tutti sotto il cappello della Chiesa uniti per fare del bene.
Ho usato la parola peso perché non è facile gestire un dormitorio.
Oltre ai tre turni: accoglienza, notte e colazione pulizia, c’è tutta una logistica dietro per il buon funzionamento del centro, e questo spetta al parroco con l’aiuto della Caritas diocesana.
Diverse persone, anche da lontano non hanno fatto mancare la loro vicinanza con delle offerte in denaro per il funzionamento del centro.
Evidentemente tutto ha un costo, lo sappiamo molto bene, ma fin ora la generosità dei volontari e delle offerte ci hanno aiutato ad andare avanti e a superare le difficoltà.
Dobbiamo però fare un ulteriore passo in avanti: trovare il modo anche di annunciare il Vangelo, di dire a questi ragazzi perché lo stiamo facendo e in nome di chi lo stiamo facendo, affinché sia chiaro che è in nome dell’Amore.
Questa secondo me è la sfida più grande, non solo fare del bene ma dire, esprimere in nome di Chi e per conto di Chi lo stiamo facendo.

“Forti” anche di quanto vissuto lo scorso autunno/inverno, come affrontate ora la nuova stagione di aiuto?

L’estate (dal 1° aprile al 17 ottobre) non ci ha risparmiato la fatica di essere vicino a questi ragazzi che dormivano sul sagrato della Chiesa portando loro cibo, coperte pulite, dando di tanto in tanto la possibilità di una doccia calda o del bagno, oltre alla pulizia quotidiana del sagrato e delle aiuole (usate per… vi lascio immaginare) vicino alla Chiesa.
Il nuovo incedere dell’inverno, dal 18 ottobre festa di San Luca, colui che ha scritto il Vangelo della misericordia, ci ha fatto nuovamente aprire il dormitorio visto il calo delle temperature.
L’esperienza si sta ripetendo, una parte di volontari sono cambiati, ne sono arrivati di nuovi le istituzioni plaudono alla nostra iniziativa ma si limitano a batterci le mani, affermando che di più non possono fare. E noi possiamo fare di più?
Con l’aiuto di Dio e il bene offerto dai tanti volontari per il momento “teniamo botta” come si dice dalle nostre parti, sosteneteci con la preghiera e se qualche volta tendiamo la mano è perché abbiamo bisogno anche di qualcosa di pratico. Dio ricompensi chi dona con gioia.