Pittori del Settecento tra Venezia e Impero
4 Gennaio 2024
L’arte non conosce frontiere. Semmai fa di un limite amministrativo, geografico, politico un luogo di incontro e di contaminazioni. “Pittori del Settecento tra Venezia e Impero”, mostra promossa dai Civici Musei di Udine e dai Musei Provinciali di Gorizia, curata da Liliana Cargnelutti, Vania Gransinigh e Alessandro Quinzi, ne offre un’affascinante testimonianza. L’esposizione, allestita su due sedi – Castello di Udine e Palazzo Attems Petzenstein a Gorizia, fino al 7 aprile 2024 – mette in luce l’osmosi tra aree storicamente riconducibili a differenti entità statali: quello che oggi è il Friuli Venezia Giulia fu, sino al 1797, anno della caduta della Serenissima Repubblica di San Marco, terra contesa tra Venezia e l’Impero asburgico, che dominava il Goriziano, Trieste e la contigua Slovenia. Lingue, tradizioni, visioni diverse, ma non per gli artisti e la loro arte.
Palazzo Attems Petzenstein è cornice perfetta per accogliere le testimonianze del ’700 artistico nella Contea di Gorizia. Per ornare il salone di questo suo palazzo il conte Sigismondo Attems Petzenstein si affidò ad Antonio Paroli, che vi collocò gli “Dei dell’Olimpo” “Alessandro Magno taglia il nodo gordiano” e “Teodorico uccide Odoacre a Ravenna”. Per la pala d’altare della cappella di famiglia il conte coinvolse il veronese Giambettino Cignaroli, artista di fama europea, al quale l’imperatore Giuseppe II avrebbe offerto la direzione dell’Accademia di Vienna.
Il percorso espositivo si arricchisce degli artisti operanti a Lubiana e Vienna, segno tangibile dei vivaci rapporti con il Ducato di Carniola e la capitale dell’Impero, e di autori minori, attivi lungo il confine con la Serenissima. Una menzione a parte merita Francesco Chiarottini, autore degli affreschi in due sale del palazzo, aggiornati sulle novità romane di Piranesi, che alla fine del secolo si affermò nelle terre imperiali per poi lavorare nel Friuli veneto.
Con le botteghe di Antonio Paroli e Johann Michael Lichtenreit riprese vigore la tradizione pittorica goriziana, traghettata nell’Ottocento da Francesco Caucig. Ne seguirà le orme Giuseppe Tominz (1790-1866), prima di cedere idealmente il testimone ad Antonio Rotta (1828-1903), la cui vicenda biografica si chiuderà a Venezia.
Una delle 13 sale del percorso espositivo è tutta al femminile ed è collegata ad uno storico evento: la visita in città dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo VI. Nel 1728, l’annuncio dell’arrivo dell’Augusto Ospite calamitò a Gorizia artisti dai territori veneti, come l’udinese Francesco Pavona o la veneziana Rosalba Carriera “prima pittrice de l’Europa”. Il loro virtuosismo nell’arte del pastello avrebbe sollecitato il gusto e la passione collezionistica del conte Livio Lantieri, che si avvalse di Pavona per ornare la sua stanza nel castello di Riffembergo con 35 ritratti di Santi.
A Gorizia Rosalba conobbe Felicita Sartori, che l’avrebbe seguita a Venezia, diventandone l’allieva prediletta e, sempre a Gorizia, pose le basi per il soggiorno viennese del 1730, quando entrò nelle grazie dell’imperatrice vedova Guglielmina Amalia.
Nel volgere del secolo maturò un nuovo indirizzo artistico, quello neoclassico, antitetico agli eccessi del Barocco e del Rococò. Ne è rappresentante d’eccezione il goriziano Francesco Caucig, affascinato dalle vestigia dell’antico. Grazie al sostegno dei Cobenzl, Caucig si affermò a Vienna, dove fu professore e presidente dell’Accademia, nonché direttore della fabbrica imperiale di porcellane.
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