Piccole cose fanno “Perfect days”
23 Gennaio 2024
A chi verrebbe in mente di dedicare un film lungo 123 minuti alla vita abitudinaria di un uomo comune, addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo?
Lo ha girato il regista Wim Wenders, sulla scia di un progetto sociale di rinnovamento urbano, con il quale i migliori architetti della megalopoli hanno trasformato in opere di design le toilettes del quartiere di Shibuya.
È molto giapponese il pensiero che anche un bagno pubblico, dove le differenze anagrafiche e sociali vengono meno, possa essere bello: ha a che vedere con il senso nipponico del bene comune.
Il maestro tedesco vi ha sentito, in potenza, il battito di una storia con un cuore di verità, tanto sobria e solida nel suo ricorsivo movimento, da centrare il punto focale: il mistero sempreverde della vita che, a coglierlo, si rivela nella ripetizione più ordinaria, sublimandola.
Il 60enne Hirayama, incline al silenzio di una serena solitudine, conduce una vita semplice, ordinatamente ritmata: si alza all’alba, sistema il tatami, attende alla cura di sé, innaffia le piante, infila la tuta di operatore del Tokyo Toilet.
Come esce di casa, alza lo sguardo al cielo e sorride. Sale sul furgone e si reca al lavoro.
Nel tragitto ascolta, da antiquate audiocassette, le hit del migliore repertorio classico e rock americano anni ’60-’70, mentre il cielo sopra Tokyo si fa chiaro sulle note di Perfect day, la canzone di Lou Reed citata nel titolo del film, di cui accarezza l’anima.
Seguono le sanificazioni meticolose dei bagni pubblici, le interazioni sempre empatiche con il prossimo, un pranzo frugale e contemplativo, le istantanee scattate alla luce che filtra tra le fronde degli alberi, il relax dopo il lavoro e un boccone al chiosco, prima di immergersi nella lettura e addormentarsi, in pace. L’indomani si ricomincia.
Giorni perfetti? Lo sono, nel senso di “compiuti”. Identici nella sequenza, diversi per risonanza.
Attraversati rimanendo presente a sé stesso, al mondo, al momento, perché, con le parole di Hirayama, “Adesso è adesso, un’altra volta è un’altra volta”. Ricetta antica, per gioire della vita che si ha. Il protagonista non la quantifica né la proietta lontano; la vive e realizza “adesso”, meditandola, amandola. Scrutando i fasci di luce sfuggente tra le foglie, metafora della sorgente vitale nelle sue infinite, libere, differenti manifestazioni. Epifania di momenti unici nella routine.
Come non affezionarsi a Hirayama? Sorride al giorno ancor prima che si apra, cercando il bianco che balena in mezzo al nero, scegliendo con cura la colonna sonora delle sue giornate, a renderle speciali.
Si coltiva tenendo gli occhi bene aperti, usando gentilezza, anche verso sé stesso e un passato le cui ferite in parte dolgono ancora, come s’intuisce dal dialogo con la nipote e la sorella. Persino il lavoro non gli pesa come una condanna né lo frustra per l’umiltà della mansione; esegue le pulizie alla perfezione, concentrato sul compito, con dignità.
Lo interpreta magnificamente, con un’espressività che entra sotto pelle, Koji Yakusho, premiato a Cannes come miglior attore.
Nell’esistenza in apparenza miserevole, monotona e incolore di Hirayama, gli spettatori sono introdotti lentamente, ripetutamente, amabilmente. Trovandovi ciò che, per la disattenzione con cui cavalchiamo il quotidiano, abbiamo perduto: il contatto con la vita e la sincerità di un vissuto che, ad occhi capaci di meraviglia, si accende di luce inattesa.
In fondo, è la prospettiva a orientare la postura esistenziale: come stiamo al mondo dipende da dove, su che cosa e come posiamo lo sguardo.
La vita, se fatta di attenzione, può trasformarsi in poesia. Eccesso di ottimismo? Non secondo Wim Wenders. Perfect days, candidato all’Oscar come miglior film internazionale (sezione Giappone), dal 4 gennaio è al cinema.
Annarita Cecchin
(foto www.imdb.com)
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