“Un’Italia… senza…”
28 Febbraio 2024
Senza. Un’Italia senza cittadini, senza medici di base, senza fedeli, senza più figli. Questo, il vuoto desolante evocato da monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia, pubblicato nella sezione numero quattro del documento preparatorio alla 50ma Settimana sociale dei cattolici in Italia. Una settimana straordinaria che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio al cospetto del Santo Padre. Si è svolto nella serata di venerdì – presso Palazzo De Bassa – l’incontro “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. Una tavola rotonda alla quale hanno inoltre preso parte Marco Girardo – direttore dell’Avvenire – e monsignor Michele Tomasi – vescovo di Treviso nonché membro del comitato organizzatore della settimana sociale. Un tema che “riguarda anche le imprese” ha rimarcato il vicepresidente della Camera di commercio Massimiliano Ciarrocchi. Che riferendosi all’Assemblea pubblica di Confindustria cui aveva preso parte nel settembre 2022, ha voluto ricordare l’intervento di Papa Francesco, per il quale “l’Italia ha una forte vocazione comunitaria e territoriale”, dove l’impresa rappresenta “parte integrante della comunità”. Un’impresa in grado di contribuire al benessere comune, originando quell’”iperconnessione che permette alla società di crescere”. Seguendo questo schema dovrebbe delinearsi una società matura, che non sia più “società dei “senza””, quanto piuttosto spazio in cui l’impresa venga vissuta nella pienezza assoluta di comunità.
“Il tema è cruciale”, è intervenuto Girardo, che ricordando il saggio di Masha Gessen ha sottolineato l’importanza di recuperare la memoria: “la memoria è futuro”. Stiamo attraversando un cambiamento epocale, dove “la parola “democrazia” non è più scontata. Come si diceva, è stata riconquistata in maniera anche tragica nella stessa Italia”, ma oggi sembra destinata a trascolorare. Un anno – il 2024 – nel quale 3 miliardi di persone saranno chiamate alle urne, “in una fase in cui la democrazia non gode di buona salute”. Dopo quella che Samuel Huntington ha definito “terza fase di globalizzazione nel mondo”, durante la quale i Paesi sono passati da 32 a 130, dagli anni Dieci di questo secolo attraversiamo una nuova fase di declino. “Ci sono più autocrazie e regimi dittatoriali di quanti non ce ne fossero 30 anni fa – ribadisce Girardo – La democrazia non sta bene”. Il rischio è “una democrazia senza popolo”, che sfoci da una rappresentanza “che non rappresenta il Paese”, dove a vincere drammaticamente sarà l’inaccettabile “partito dell’astensione”.
Nel momento in cui viene meno il delicato equilibrio di poteri e la trasparenza – come attraverso la recentissima revisione della legge 185 sull’esportazione di armi – rimane in qualche maniera in vita il desiderio di riunirsi in comunità. “Prima ancora di essere una forma di governo la democrazia è la forma di un desiderio profondamente umano”, spiega monsignor Tomasi riprendendo il documento preparatorio. Un desiderio che va via via calando nella società, per cedere il passo a una più comoda chiusura, un ritrarsi dalle responsabilità che il mondo tenta d’imporre ormai invano.
In proposito, Girardo ha citato un articolo apparso sul Corriere Sera scritto da Sabino Cassese, secondo cui “sono spariti i grandi organismi che avvicinano governanti e governati”, rimpiazzati da una forma di “personalizzazione della politica”. Un’epoca di smarrimento dove l’attitudine a governare non avviene più “per passione, ma per mestiere”, con politici che vanno incontro “alle pulsioni popolari”. In tutta risposta, il 50% dei giovani fra 18 e 34 anni non esercita il voto. Un dato preoccupante, che attesta come un giovane su due non dimostri alcun interesse per le elezioni.
La speranza di monsignor Tomasi è dimostrare ai giovani come “partecipando alla vita della collettività ci si possa prendere cura del proprio mondo”. Riallacciandosi al termine “partecipare”, Girardo ritiene possa rappresentare un “allenamento alla vita democratica attraverso il voto”, citando poi la definizione di “democrazia” data dal presidente Mattarella, nell’accezione di “ascolto dell’altro” oltre che “tutela della minoranza”. Questione che tuttavia reca con sé il rischio “dell’arroccamento sui diritti”, in quanto “estraniandosi dalla democrazia la spinta a formare una diversità identitaria determina separazione e risentimento”.
Mentre secondo monsignor Tomasi “solo chi è radicato in una storia e in un contesto ha la possibilità di essere accogliente”. Fondamentale diviene allora la capacità di “ascoltare e accogliere la diversità”, come affermato dallo stesso Papa Francesco. Dal canto suo, Girardo evidenzia come il villaggio globale si traduca in una dimensione locale. Dove l’informazione è svilita da un Paese “tv-centrico” e dalla terribile crisi dei giornali. Perché al drastico calo dei lettori fa da contraltare un 55% di italiani per i quali la tv rappresenta “l’unica fonte d’informazione”, subito seguita dalle fonti online in crescita del 38%. Il dato allarmante riguarda i giovani fra i 18 e 35 anni, che nel 70% dei casi utilizzano come unica fonte d’informazione i social media – tipologia d’informazione non controllata, spesso in balia dell’I.A. – con un elevato rischio di fake news. Un tempo che soffre “di un’informazione né liquida né gassosa”, osserva monsignor Tomasi, per il quale oggi il solo antidoto sembra essere il dialogo e il “fiorire alla luce”. Che è un consentire all’altro di “raggiungere la propria fioritura personale” secondo i dettami del Concilio Vaticano II, laddove “portare alla pienezza dell’umano è un dovere del cristiano”.
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