Il paziente inguaribile non è mai incurabile

È stato davvero molto partecipato e ha riscosso notevole interesse, l’incontro organizzato giovedì scorso presso l’oratorio San Michele di Monfalcone dalla Commissione della Pastorale della Salute diocesana sul tema “Suicidio assistito o malati da assistere?”.
A dialogare con il vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, presidente anche della commissione della Conferenza episcopale triveneta che si occupa di questo ambito pastorale è stato don Franco Gismano, direttore dello Studio Teologico Interdiocesano.
Il titolo della serata rimanda ad un documento che i vescovi della nostra regione avevano preparato lo scorso ottobre, come riflessione, in risposta alla proposta di legge avanzata da alcune regioni del Nordest che volevano permettere il suicidio assistito per i malati che ne facevano richiesta.
Tanti sono gli interrogativi etici che la malattia, il dolore, la morte… pongono all’uomo che vive una situazione di fragilità e di vulnerabilità: questioni che interpellano ognuno di noi sul senso della vita.Una precarietà che ci accomuna tutti, che ci pone davanti il nostro essere limitati e non autosufficienti, bisognosi di aiuto, e che richiede a chi si avvicina e si approssima a queste situazioni umane, un senso di rispetto e di delicatezza per le tante storie di dolore che le avvolgono.
Mons. Trevisi si è posto la domanda del perché una persona chieda l’eutanasia: dietro questa richiesta – ha osservato – c’è sempre la paura della sofferenza, della solitudine, del non sentirsi più efficiente. Ne emerge una richiesta disperata di aiuto che porta a voler rivendicare da noi stessi, il diritto di decidere quando morire.
A chi si trova a vivere questi stati d’animo bisogna accostarsi con affetto, con uno spirito di condivisione, senza giudicare, senza dare risposte insensate: entriamo in un “terreno sacro” e siamo chiamati, comunque, a prenderci cura di chi abbiamo difronte.
Un’alternativa alla scelta del suicidio assistito può essere rappresentata dalle cure palliative, un insieme di interventi terapeutici e assistenziali rivolti sia alla persona ammalata che al suo nucleo familiare, per migliorare il più possibile la qualità della vita del malato terminale dal punto di vista umano e spirituale.
E poi c’è la strada dell’assistenza domiciliare con l’ascolto e l’accompagnamento del paziente in relazioni di qualità, con una rete di alleanze terapeutiche nella fatica del discernimento.
Il paziente inguaribile non è mai incurabile.
Monsignor Trevisi ha ricordato che questo è un compito che non spetta solo al sistema sanitario ma interpella ognuno di noi e le nostre comunità parrocchiali.
“Di chi ti prendi cura?” è la domanda che dovremmo farci, perché ad ognuno di noi sono affidati dei fratelli vulnerabili che hanno bisogno di essere accuditi in un rapporto di vicinanza, di prossimità, sull’esempio di Gesù che si è fatto carico dei nostri dolori e si è fatto carne assumendo la fragilità umana.
Procurare la morte non può mai diventare una “prestazione sanitaria” ed ugualmente il decidere della propria morte non può diventare un modo di pensare diffuso che crea una cultura: è necessario mettere in atto tutta la nostra umanità per accompagnare e assistere la solitudine del malato e per restituirgli il significato dell’esistenza che spesso la malattia e la sofferenza fa smarrire.

Paolo Zuccon