Verso Firenze
6 Novembre 2015
Il tema principale “In Gesù Cristo un nuovo umanesimo” verrà declinato attraverso cinque verbi, cinque vie (uscire, abitare, annunciare, educare e trasfigurare) che vanno percorse nel loro intrecciarsi. Senza uscire non si può né annunciare, né educare e né trasfigurare, per cui uscire è la condizione, mentre il trasfigurare è il di più che rende diversa ogni nostra azione. Educare e abitare sono i due modi con cui noi possiamo esprimere concretamente nella nostra vita la dimensione della Grazia, e l’annuncio è in qualche modo la conseguenza. Se noi riusciamo ad abitare ed educare in maniera trasfigurata, uscendo dai nostri schemi e nostri territori, allora anche l’annuncio sarà più efficace.Mi sono chiesta varie volte in questi mesi cosa mi aspetto veramente dall’incontro di Firenze. Durante i momenti di preparazione svolti a livello triveneto a Zelarino e Mestre ho avuto modo di incontrare persone che erano state già protagoniste dieci anni fa nel convegno di Verona come delegati: molti erano delusi perché non avevano visto concretizzarsi al termine del convegno i temi affrontati. Alcuni di loro, nelle loro testimonianze, hanno descritto una Chiesa che ne esce “quasi sconfitta”, che non sa dove raccogliere le forze per parlare ai propri fedeli, ai giovani, alle coppie che si formano, alle famiglie che si sfasciano. Io mi auguro che ciò non avvenga stavolta ma che ci possa essere davvero un apporto concreto nell’individuare le linee per l’azione pastorale in quello che sarà il futuro per la Chiesa in Italia; che si sappia accogliere ed ascoltare prima di tutto il grido di aiuto e le proposte delle nuove generazioni che non riusciamo più ad attrarre, ma che in realtà sono alla ricerca di persone che li guidino, che li sappiano ascoltare, porre le basi per il loro futuro.Mi aspetto che dai lavori emerga ciò che oggi realmente è la Chiesa Italiana nelle nostre Diocesi, con i suoi pregi e le sue difficoltà. Vorrei che la Chiesa trovi il coraggio di entrare nelle sfide del nostro tempo: sociali, culturali, proprio per coltivare precisamente la nostra umanità.Solo così riusciremo veramente a comprendere come muoverci nei diversi ambiti della vita delle persone che abitano le nostre comunità parrocchiali e valorizzare la famiglia, indiscutibile fulcro della nostra società.Siamo troppo abituati a guardarci in faccia solo tra di noi, dimenticando spesso che dobbiamo sforzarci di vivere nel nostro tempo. Spero di vedere una Chiesa sempre più accogliente, dove per accoglienza verso coloro che esprimono un bisogno; accanto ai bisognosi di aiuto materiale noi spesso dimentichiamo quanti guardano alla Chiesa richiedendo un ascolto e un accompagnamento in un percorso di formazione cristiana che li abbracci a tutto tondo. E questo nell’educare i figli, nel prepararli ai sacramenti, nel sostenerli nei momenti tristi o della malattia, nello stare a fianco quando ce ne è bisogno, magari nelle semplici e banali faccende quotidiane…Non possiamo di certo sperare che questo Convegno sia la panacea dei nostri mali.Ciò che credo, però, non debba essere consentito è di ritrovarci per piangerci addosso, perché ciò non porterebbe a nulla: questo atteggiamento non si addice ai veri testimoni del Cristo Risorto, che ci chiama a celebrare la vita, a trasmettere l’entusiasmo della fede. Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino, alla guida dell’organismo che ha curato la preparazione dell’evento fiorentino in un’intervista sottolineava come Firenze sia davvero “segno dei tempi”, nel quale la Chiesa Italiana si ritrova con i Vescovi e con il Papa ed è chiamata a una incisiva conversione pastorale che sa tanto di vera riforma e dunque di cambiamento, non fatto solo di discorsi teorici, anche se molto interessanti e coinvolgenti, ma di fatti, segni, proposte concrete che definiscano poche ma essenziali scelte da attuare insieme dopo il Convegno, con un percorso che investa tutta la gente dentro e fuori le chiese.È forse questo l’augurio più vero che dobbiamo fare a questo convegno e a tutti coloro che vi parteciperanno per la buona riuscita. A noi delegati spetterà il compito di portare la testimonianza nella nostra diocesi, nelle nostre parrocchie: non si tratterà, semplicemente, di comunicare i risultati dei lavori quanto di portare un seme di speranza per un futuro della Chiesa italiana positivo e accogliente. La speranza che trasforma ogni credente in testimone capace di far sì che la fede in Cristo diventi viva e che la nostra Chiesa generi forme di partecipazione attiva con un occhio sempre aperto sul mondo e sull’uomo.
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