Il sogno ed il progetto: le meditazioni nel Sermòn durante le XL Ore

È stato il diacono don Matteo Marega a guidare quest’anno la riflessione nei Sermòn della Liturgia delle XL Ore nella basilica di Sant’Eufemia a Grado.
Nel primo Sermone, don Matteo ha preso spunto dal brano del Vangelo di Matteo in cui si racconta dell’angelo apparso in sogno a Giuseppe per dissipare il suo timore nel prendere Maria come sposa.
Ha così ricordato che quando “si parla di sogni, si parla di qualcosa di estremamente antico: si evoca una realtà che ha sempre accompagnato l’essere umano fin dalle sue origini”. Certamente non tutti i sogni sono uguali e fra essi ci sono quelli che ci rivelano qualcosa di Dio. Il sogno può essere una fuga dalla realtà per rifugiarsi in un mondo ed uno spazio inesistenti: “ma non nel caso dei sogni in cui è Dio che ci parla”.
Giuseppe vuole ripudiare Maria “eppure nel sonno gli viene detto di non avere paura”: “Dio non soltanto rivela ciò che deve accadere, ma rivela il suo progetto che spesso si contrappone a quello degli uomini”
Il relatore ha poi ricordato alcuni protagonisti della Bibbia i cui sogni hanno trovato spazio nelle pagine del Libro: Samuele, Giuseppe d’Egitto (il “signore dei sogni”), i Magi e lo stesso Giuseppe, sposo di Maria.
Nei loro sogni si rivela “non ciò che avrebbero voluto ma ciò che Dio vuole e sta facendo” e questo avviene perché “il sonno è il momento in cui le nostre
“difese” si abbassano, in cui siamo – per così dire – disponibili a ricevere un messaggio”.
Don Matteo ha quindi invitato i presenti a “riconoscere nella propria vita quelli che sono i sogni che ci raccontiamo per ipnotizzarci, i sogni che ci fanno fuggire dalla realtà perché abbiamo paura”.
“Se ci lasciamo guidare dalla fede, dalla speranza e, soprattutto, dalla carità del Signore, noi non chiederemo più al Signore di realizzare i nostri poveri sogni, ma saremo noi, con la nostra vita, a realizzare i sogni meravigliosi di Dio, i sogni che Dio ha per noi e rivelano il suo progetto”.
Il passo evangelico in cui san Matteo racconta la preghiera di Gesù nel Getsemani, è stato il punto di partenza per il secondo Sermòn. Don Marega ha sottolineato come Gesù si rivolga a Dio chiamandolo “Padre”: “un termine che non solo esprime la relazione profonda che Gesù aveva con Dio, ma ci dice anche qualcosa dell’identità stessa di Dio, un’identità che noi, suoi discepoli, dobbiamo accogliere”.
Gesù porta davanti al volto del Padre tutte le sue preccupazioni, guardando negli occhi la realtà di sofferenza e morte che lo attende: non si vergogna di ammettere la propria paura, la tristezza, l’angoscia… In quel momento Lui “condivide la nostra umanità, la nostra fragilità e prova angoscia e tristezza di fronte al suo destino”.
L’attenzione è stata poi posta su una frase (“Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”) che se letta in maniera superficiale potrebbe essere interpretata male.
Il Padre non vuole la morte violenta del Figlio: quella “è causata dall’ingiustizia e dalla malvagità degli uomini. La volontà di Dio è che si riveli la sua fedeltà all’annuncio del Vangelo e agli uomini”. E questo porta Gesù a sottoporsi alla condanna ed all’esecuzione. Dio non pone l’uomo dinanzi ad un programma che risulta solamente “da riempire e senza neppure fornirgli dei mezzi sicuri per riconoscerlo”, privandolo quindi della sua libertà.
“Dio si attende da noi non che scegliamo questa o quella vita che Egli avrebbe previsto per noi da tutta l’eternità ma che inventiamo – oggi – la nostra risposta alla sua presenza ed alla sua chiamata”.
Uno dei doni della preghiera e dello Spirito Santo è proprio farci cambiare lo sguardo sulle cose permettendoci di “inserire la nostra esperienza in un contesto e in un quadro molto più ampio”.
Alla base della nostra preghiera non può, allora, non esserci l’esclamazione “Sia fatta la Tua volontà”: quando chiediamo questo non dichiariamo di accettare rassegnati che si compia l’inevitabile ma che “si prepari uno spazio per l’attuazione e l’ingresso della volontà di Dio in questo mondo”.
La volontà di Dio, poi, si fa concreta per ogni credente in quella che è “l’ora” di ciascuno, venendo accolta nella contemplazione mentre si cerca di capirla: quanto vissuto viene contemplato “non con gli occhi del mondo o dal personale punto di vista ma viene portato davanti a Dio ed esaminato, disposti alla Sua volontà”.
È la vita di ciascuno di noi il luogo dove Dio agisce: la nostra esistenza è il campo dove Egli lavora.
Da ogni uomo esce qualcosa di nuovo che nessun altro può fare.
Ecco, allora, l’invito della Settimana Santa: “presentare a Dio il proprio punto di vista, senza paure, ma poi, liberi dalla paura e dall’egoismo, pieni di fiducia nel suo progetto di amore, chiedergli che si compia non il nostro progetto, ma il Suo!”.