“Non essere incredulo, ma credente!”
Il significato del mistero pasquale nel vangelo si dischiude nell’apertura di futuro in una situazione chiusa e disperata: si ricrea una comunità; si ripara e restaura un legame di fiducia. Appare un Dio più aperto al futuro che al computo dei peccati. L’annuncio della resurrezione di Gesù diventa memoria di futuro nelle vite dei discepoli […]
4 Aprile 2024
Il significato del mistero pasquale nel vangelo si dischiude nell’apertura di futuro in una situazione chiusa e disperata: si ricrea una comunità; si ripara e restaura un legame di fiducia.
Appare un Dio più aperto al futuro che al computo dei peccati. L’annuncio della resurrezione di Gesù diventa memoria di futuro nelle vite dei discepoli e resurrezione della comunità alla sequela. Non si può comprendere la resurrezione al di fuori del processo di rinnovamento dell’umanità nel perdono.
Gesù in mezzo ai suoi dà lo Spirito in vista del perdono.
Lo “soffia”. Il verbo (Gn 2,7; 1Re 17,21; Ez 37,9; Sap 15,11) collega il perdono al generare la vita umana e al riportare in vita chi era morto. Perdonare è atto di creazione e di resurrezione.
Ove accade il perdono si fa esperienza della presenza del Crocifisso risorto.
Gesù vive quel che dà.
Il corpo risorto porta i segni della passione, le ferite infertegli. La morte ingiusta e violenta, il tradimento e il rinnegamento… è un passato che non si cancella. Cristo ne porta i segni per l’eternità.
Pasqua non è la promessa di un ritorno alla quiete precedente alla tempesta.
Eppure nello sguardo di fede da una vita spezzata, da ferite profonde, può sorgere una vita nuova e inattesa. Gesù non è bloccato dal male che ha subito. La sua memoria non è rimasta pietrificata da ciò. Egli agisce sulle conseguenze possibili del male in lui e negli altri. Su ciò c’è spazio per l’azione.
Perdona i discepoli che lo hanno abbandonato. I signa passionis diventano signa amoris.
Il Risorto è un corpo vulnerato e vulnerabile in eterno. Un corpo che si lascia toccare, che non è indifferente. Se Cristo è così, tale è allora il Padre per l’eternità. Chi ricrea la comunità con il dono dello Spirito e la invia a essere agente di perdono e di riconciliazione, resta “feribile” d’amore.
In questo spazio la comunità cristiana si colloca.
Il grande peccato è il cuore pietrificato, lo spirito inaridito, la mancanza di empatia, la freddezza verso le esistenze, il non lasciarsi toccare e modificare dalla relazione con altri.
Segue l’episodio di Tommaso.
Egli non ha fiducia nelle parole degli altri, vuole una prova solo per lui, quasi a distinguersi da loro. Gli altri, però, non lo rifiutano né respingono, lo tengono nel gruppo, conservano una relazione con lui, non lo marginalizzano. Colui che potrebbe essere “giustamente” escluso dal gruppo, in realtà fa esperienza della disponibilità a includere da parte degli altri.
Qual è l’esito? Una formulazione paradossale (Gv 20,29).
Dall’incredulità di Tommaso nasce una nuova fede.
A noi non è dato di vedere il Cristo e di accedere direttamente al mistero pasquale, ma solo attraverso la relazione con l’altro e nella vita comunitaria. Esse possono darci in frammento esperienze di salvezza, anticipazione della resurrezione finale. Ciò non va da sé.
La comunità può smentire il Vangelo, può avere il cuore di pietra. Per questo il tempo di Pasqua vuole immergerci di più in questa realtà per sciogliere le nostre resistenze.
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