“Non ho nessuno che mi immerga”

Anche quest’anno circa 300 persone, tra le quali anche una rappresentanza della nostra diocesi, tra sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, laici e laiche impegnati in vario modo nel campo della salute e cura degli ammalati, si sono dati appuntamento a Verona presso l’opera don Calabria, per approfondire il tema scelto dalla Pastorale della Salute e tratto da una frase del capitolo 5 versetto 7 del vangelo di Giovanni: “Non ho nessuno che mi immerga.”
Il Convegno è stato introdotto dalla relazione del biblista don Fabio Rosini dal titolo “Perché Dio si è fatto uomo”.
Se siamo stati fatti a immagine e somiglianza di Dio, guardando proprio a Cristo possiamo capire chi siamo, la nostra identità: come Lui ha vissuto la sua umanità in rapporto al Padre così noi dobbiamo vivere in relazione con Lui e tra noi e oggi c’è tanto bisogno di ripristinare i rapporti nella comunicazione perché la vera salute dell’uomo è stare in relazione con l’altro. Dio si è fatto uomo per toccarci, per lasciarsi amare e nel malato noi dobbiamo vedere il Signore; è un amore di risposta, perché se una persona si sente amata, può guarire.
L’Orsolina Suor Grazia Papola, partendo dallo stesso brano evangelico, ha sottolineato l’isolamento, la solitudine del paralitico e di come Gesù penetri in questa sofferenza invitandolo ad alzarsi (richiamando così un verbo pasquale) per camminare in un’esistenza nuova.
“Cosa ne fai della tua vita?” è stata la domanda che ha lasciato ai presenti come riflessione finale.
Nella seconda giornata, i partecipanti sono stati divisi in gruppi e hanno potuto visitare alcune strutture presenti nella città di Verona destinate alla cura dei malati: in questi luoghi, dopo un’introduzione e commento sul brano di Marco 1, 32 (“gli portavano tutti i malati e gli indemoniati…”) c’è stata la testimonianza degli operatori su come in concreto, prendersi cura con uno sguardo nuovo dell’ammalato. Le strutture ospitanti sono stati l’Istituto Poverette Casa Nazareth, la Fondazione Dal Corso con l’Albero delle Possibilità, la Fondazione Mons. Alessandro Marangoni e la Fondazione Ciccarelli.
Nel pomeriggio una guida ha fatto scoprire alcuni luoghi del centro di Verona (fra cui varie chiese) concludendo l’itinerario presso il duomo dove il vescovo di Verona, mons. Domenico Pompili, ha presieduto la celebrazione Eucaristica.
Nell’ultima giornata c’è stata la possibilità di ascoltare altre riflessioni a partire da quella di don Luciano Luppi, docente di teologia spirituale. Partendo dalla frase “Che cosa vuoi che io faccia per te?” (Lc. 18,31), don Luciano si è chiesto come risanare evangelicamente donando la salute come salvezza. Gesù lo fa mettendo al centro il malato, dandogli il diritto di parola, facendogli sperimentare non solo una medicina dei bisogni, ma anche dei desideri. Il malato viene così inserito in un processo di guarigione che gli restituisce dignità in un guardarsi dentro che diventa professione di fede: lui sceglie di restare con Gesù, guarito e salvato, per poi mettersi alla sua sequela.
Don Marco Gallo ha parlato della fede come cura, di come di fronte al male dobbiamo affidarci, accettare la sfida allenando il nostro cuore al gesto del consegnarsi, riscoprendo la forza della preghiera. Infine l’arcivescovo Carlo, nella sua veste di presidente della commissione episcopale per l’esercizio della carità e della salute della CEI, alla domanda su cosa possa fare la comunità cristiana per dare risposta a queste istanze, ha indicato la strada dell’essere pellegrini di speranza, anticipando il Giubileo perché esso diventi vita normale, ordinaria delle nostre comunità. L’arcivescovo ha, poi, suggerito alcuni atteggiamenti da avere quale quello dell’ascolto (come emerso in maniera forte dalla prima parte del Sinodo), l’uso del linguaggio parabolico e simbolico (come strada efficace che diventa segno di speranza nelle opere di carità e di misericordia verso gli infermi, che incontrando queste persone, diventa un pellegrinaggio verso Cristo). Non limitandosi solo a iniziative pastorali particolari ma divenendo protagonista di azioni di stimolo, la Pastorale della Salute può aiutare i singoli e le comunità a prendersi cura in maniera diffusa anche delle persone della porta accanto.
Ha concluso il convegno don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della salute della CEI rimarcando il concetto dinamico del Giubileo, un essere pellegrini, un andare verso, costruendo rapporti, spendendo del tempo nella cura delle persone, recuperando il concetto della relazione con il malato, perché una cosa è curare, un’altra è il sentirsi curati.

diacono Paolo Zuccon