“… la luce sarà poca, ma è luce mia”

La luna minchinò la lucciola
– Sarà l’effetto de l’economia,
ma quel lume che porti è debboluccio…
– Sì, – disse quella – ma la luce è mia.
Anche questa è una poesia di Trilussa, poeta romanesco. Poesia breve ma intensa dove la luna che non ha luce propria, ma riflette quella del sole, canzona la piccola lucciola che di suo produce una piccola all’apparenza, trascurabile, luce. Potremmo definirlo un dialogo tra l’apparenza e la sostanza.
Il desiderio di apparire, di essere notati non è una novità dei nostri tempi; la vanità e il desiderio di visibilità sono vecchi quanto il mondo, sono in un qual modo inscritti nell’animo umano, ma questi nostri tempi, che viaggiano “on line”, hanno incrementato a dismisura questo umano difetto.
La luna in Trilussa si vanta di avere una luce di gran luna maggiore, più visibile: da tutte le parti del mondo la si può vedere e ammirare. Povera luna che si vanta di una bellezza che non è sua, una luce che è di altri, che è del sole. Bene risponde la lucciola: “…la luce sarà poca, ma è luce mia”.
Questo brevissimo dialogo mi ha fatto ricordare le tante persone che nella loro vita non si vestono di luce altrui, non desiderano farsi notare, non intendono apparire sulle pagine dei rotocalchi, ma producono, forse poca, forse intermittente, ma producono una luce propria conducendo una vita nella dimensione della quotidianità, una vita fedele agli eterni valori cristiani. La luce prodotta è la luce della fedeltà che si fa servizio. E vero che nella notte buia, la semplice fiamma di una candela illumina la stanza e permette di vedere dove mettere i piedi al posto giusto; allo stesso modo la luce prodotta dalla nostra vita – simile molto a quella della lucciola di Trilussa – può essere capace di aiutare un altro ad andare avanti nel percorso della vita.

mons. Arnaldo Greco, Assistente Unitalsi

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