Sri Lanka in cerca di giustizia

Da alcuni anni collabora con la nostra arcidiocesi, prestando il suo servizio nella parrocchia di Grado, don Anton Gavasker, originario dello Sri Lanka, in Italia per compiere gli studi in Diritto Canonico a Roma.
Una realtà particolare quella cingalese, forse poco nota in Europa, che porta con sé le ferite di 30 anni di Guerra Civile ma che, oggi, cerca di vivere pacificamente, nonostante il malcontento tra la popolazione a causa di un Governo poco equo.
Abbiamo parlato con don Anton del suo percorso di fede, ma abbiamo anche colto l’occasione per farci raccontare del suo Paese.

Don Anton, raccontaci di te: come ti trovi qui in Italia ma anche cosa ti ha portato qui? Cosa studi?

don Anton Gavasker

Sono qui in Italia per compiere gli studi in Diritto Canonico alla Pontificia Università Urbaniana a Roma. In Sri Lanka ci sono 12 diocesi e in quella da cui provengo, Kandy, non abbiamo un Canonista: l’arcivescovo emerito mi ha così mandato qui in Italia a studiare perché voleva, prima di ritirarsi in pensione, avere un nuovo Canonista per la Diocesi: abbiamo il Liturgista, abbiamo chi è esperto in Scritture, lo Storico, ma sfortunatamente il Canonista era andato in pensione, pertanto il vescovo voleva assicurare alla Diocesi uno nuovo.
L’anno scorso l’arcivescovo emerito ha dovuto ritirarsi in quiescenza; abbiamo quindi un nuovo vescovo, che è proprio un Canonista; è però già un po’ anziano, pertanto anche lui aspetta il mio servizio.
Il vescovo che prese la decisione di mandarmi qui in Italia a studiare mi disse “tu sei per la diocesi e sei della diocesi; il tuo compito è servirla, perché è la diocesi che ci “nutre” e ci sostiene”. Io amo molto la mia terra, le mie origini, la mia diocesi, dove sono nato e cresciuto. Sono molto contento di potermi specializzare qui, per poter dare il miglior servizio alle persone e alla mia diocesi. Come dico sempre, desidero studiare ed impegnarmi non soltanto per gli esami, quanto proprio per la vita. Nel mio domani desidero, e spero, di praticare la Legge, che è la salvezza delle anime e l’amore Supremo. La Legge non è per controllare le persone ma per salvarle, tengo sempre questo a mente quando studio. Sono molto contento che un giorno, attraverso questi insegnamenti della Chiesa, potrò aiutare la mia diocesi e le sue persone.

Il tuo è un po’ un “ritorno” a Grado, avendo già vissuto alcune esperienze nella cittadina negli scorsi anni. Che effetto ti fa ritornare?

Sono davvero molto felice. Grado è per me una seconda diocesi e una seconda casa. Monsignor Paolo per me è come un padre: io ho perso il mio 12 anni fa, quando stavo ancora studiando Filosofia, sei anni prima della mia ordinazione sacerdotale; monsignor Nutarelli mi guida, mi sostiene, mi spiega tutto, ricevo da lui tanto supporto e cura. Altre figure paterne per me sono il mio vescovo e il mio direttore scolastico che mi hanno sempre sostenuto e incoraggiato. Quando sono arrivato in Italia, come credo sia normale, mi sono sentito perso, mi sentivo una “terra di nessuno”. Ma è stato grazie a queste figure che sono riuscito a “ritrovarmi”. Oltre a queste figure paterne, ho trovato anche una bella figura materna nella mamma di monsignor Paolo, che si prende sempre cura di me. Voglio poi ringraziare anche don Giulio, che sempre mi sostiene, monsignor Mauro e don Gianni, una vera guida per me, e tutte le persone che sempre si prendono cura di me.
Questa è la mia terza esperienza di servizio qui a Grado e una cosa che mi ha colpito molto è l’amore che i sacerdoti di questa cittadina mettono nella propria parrocchia e verso i fedeli. Svolgono il loro servizio con amore, senza aspettarsi nulla in cambio. Ci mettono tempo, energia, è molto toccante.
Un’altra cosa che mi colpisce, è vedere la basilica di Sant’Eufemia sempre piena di gente: le messe sono molto partecipate, a volte alcuni rimangono anche all’esterno perché all’interno non c’è abbastanza spazio, durante la giornata c’è sempre gente tra i banchi che vive un momento personale di preghiera. Anche i turisti partecipano molto: sono qui in vacanza ma hanno desiderio di partecipare alla vita della comunità, vivere la sua atmosfera accogliente.

Cosa ti ha spinto a diventare sacerdote? Dove hai trovato la “scintilla” che ti ha fatto compiere questa scelta?

Sono ormai 10 anni che sono sacerdote. In questi 10 anni il Signore mi ha benedetto con abbondanza e generosità. La storia della mia vocazione inizia quando ero piccolo. Noi siamo in 3 fratelli, io sono quello di mezzo, e mio nonno diceva sempre “Tu non appartieni alla famiglia, tu appartieni a Dio”. Ovviamente da piccolo non davo molto peso a queste parole, però sono rimaste in me.
Sono così cresciuto e ho studiato nella scuola del mio villaggio. Una volta terminato il primo ciclo scolastico però, purtroppo il mio villaggio era carente di insegnanti; a me piaceva studiare ma lì non c’erano abbastanza opportunità. Così mio padre mi iscrisse al Seminario di Kandy, dove potevano garantirmi un livello di istruzione più alto. All’inizio ovviamente non fu semplice, ero ancora piccolo e volevo tornare a casa. Ma con il passare dei mesi, si crearono anche le amicizie: vivevamo insieme, studiavamo insieme, mangiavamo insieme…e vivere in Seminario fu più semplice.
Con il passare del tempo e il dedicarmi anche alla preghiera, cominciò a crescere in me anche il desiderio di diventare sacerdote. È stata proprio la preghiera personale a darmi i segni della vocazione.
Ho proseguito quindi gli studi scegliendo Filosofia, quando all’improvviso mio padre venne a mancare. Solo lui lavorava in famiglia e d’un tratto ci ritrovammo completamente “a terra”.
Il nostro vescovo si prese cura della nostra famiglia, trovò un lavoro per mio fratello maggiore in modo da poterne garantire il sostentamento. Mio fratello più giovane invece lasciò gli studi perché subì un forte shock dalla morte di nostro padre.
L’istinto mi spingeva a rimanere con la mia famiglia, per aiutare, e a non tornare in Seminario.
Un giorno però, nella chiesa del villaggio, mentre stavo piangendo e chiedendo a Dio perché avesse fatto questo proprio a noi, mentre io mi stavo preparando per Lui, sentii come una voce dirmi “Baderò io a voi al posto di vostro padre”.
Quel momento mi diede la forza e rientrai in Seminario, perché Dio mi stava dando un’altra possibilità per diventare sacerdote e per servirlo.

Il tuo Paese ha vissuto una lunga guerra civile, iniziata nel 1983 e durata diversi decenni. Com’è ora la situazione? Ci sono ancora tensioni?

Lo Sri Lanka, dalla sua indipendenza nel 1948, ha vissuto per molti decenni in pace e tranquillità. Sfortunatamente poi è scoppiata la guerra tra le “Tigri Tamil” e il Governo. I primi volevano separare i territori, e questo fu il “la” che fece iniziare il conflitto. Loro premevano per far valere le proprie ragioni, il Governo per non separare i territori.
Questa guerra creò quindi una sorta di separazione, un “essere nemici” tra i tamil e i cingalesi, si creò una separazione anche nella lingua parlata e sfortunatamente, nonostante il conflitto poi, durato 30 anni – 3 generazioni -, si risolse, questa differenza linguistica è rimasta: tamil e cingalesi oggi vivono in pace ma quando si passa al piano linguistico, le differenze, le tensioni, si soffrono ancora. Ad esempio anche nella mia Diocesi: alla messa, tamil e cingalesi sono insieme, alle varie cerimonie sono insieme, ma ci sono alcune cose, come appunto la lingua, che ancora oggi separano.
È un vero peccato.
Io purtroppo ho una teoria: questa guerra, durata appunto tre decenni, che ha coinvolto tre generazioni, non può essere “spazzata via” in un attimo, porta con sé degli strascichi. A mio avviso ci vorranno almeno altri 30 anni per superarli e per arrivare alla riconciliazione.
La guerra si concluse con la sconfitta delle Tigri Tamil e l’uccisione del loro leader da parte del Governo cingalese, con spargimento di sangue e moltissimi morti innocenti da ambo le parti. Ancora oggi però ci sono territori che non sono stati restituiti, figli e figlie tamil ancora dispersi, probabilmente rapiti proprio dalle forze governative. Le loro famiglie continuano a chiedere di loro, senza ricevere risposta.
Ad ogni modo, oggi il Paese vive in pace tra tamil e cingalesi, non ci sono scontri, nemmeno tra le diverse religioni.
Il problema, al momento, in Sri Lanka è rappresentato dalla classe politica, poiché il potere è detenuto completamente da un clan famigliare. Loro si stanno arricchendo sempre più, mentre la popolazione è sempre più povera. In questo la Chiesa, la Conferenza Episcopale dello Sri Lanka, chiedono sempre giustizia

A tal proposito, come sono i rapporti tra le religioni presenti nel Paese e quale il ruolo esercitato dalla Chiesa cattolica?

La maggioranza della popolazione è buddista, poi ci sono gli induisti, quindi i cattolici e i musulmani. Nel Paese c’è vita pacifica, abbiamo libertà di religione e possibilità di praticarla, ognuno nei propri luoghi di culto. C’è anche libertà linguistica.
C’è stato nel 2019 un attacco bomba dell’ISIS a due Chiese durante le messe domenicali, che ha provocato molti morti. Si sta procedendo per chiedere vengano riconosciuti come martiri.
Nonostante ciò, la Chiesa ha sempre continuato a chiedere pace e giustizia per tutti. Il Governo però continua a non rispondere.
Nel mentre si erano create anche delle incomprensioni tra i cattolici e i buddisti, che però ad oggi sono sostanzialmente già dissolte.
La gente vive pacificamente, non ci sono persecuzioni. Tuttavia la nazione complessivamente soffre a causa dei politici, che continuano a non esercitare giustizia per le persone, mettendole nella condizione di soffrire, tutte.

(foto Ansa/Sir)