Essere adulti nel tempo della multiculturalità

La recente riproposizione nel dibattito politico del tema dello ius scholae ha sollecitato su queste pagine alcuni approfondimenti, che da prospettive diverse hanno consentito di gettare uno sguardo sulle realtà della scuola, della multiculturalità e della cittadinanza nella società in cui viviamo.
Una prima constatazione emerge: viviamo, da tempo, in una società multiculturale, ed il vissuto e la percezione di questa realtà sono diversi tra le persone, tra le generazioni, nei diversi contesti e territori.  Nella scuola ormai non si tratta di una novità, ma di esperienza quotidiana: basta conoscere i nomi dei propri compagni di classe o dei propri alunni; basta constatare che gran parte degli studenti provenienti da esperienze migratore (il 65%) sono nati in Italia.
Come gli interventi su queste pagine hanno evidenziato, per i ragazzi, figli di questo tempo, la multiculturalità è un aspetto naturale dello stare insieme.
Se la maggior parte degli stranieri sono nati in Italia, sono anche sempre più numerosi i bambini e i ragazzi giunti in Italia dall’estero che devono inserirsi nella scuola senza una sufficiente conoscenza della lingua, avendo seguito percorsi scolastici spesso molto diversi, in alcuni casi con una scarsa alfabetizzazione di base.
Per questi ragazzi, il tasso di dispersione scolastica è molto alto, del 30% (dati ministeriali).
In che modo la scuola risponde ai bisogni di chi ha maggiori difficoltà?
Da anni, i documenti ministeriali riconoscono la presenza di bambini e ragazzi con background migratorio come un aspetto strutturale della vita scolastica, ne analizzano con attenzione le diverse situazioni e bisogni ed indicano come agire nei diversi casi (Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, 2014; Orientamenti interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori, 2022).
Per esempio, si spiega chiaramente che per gli studenti che non parlano la lingua italiana, nel primo periodo (3-4 mesi) occorrono percorsi intensivi di 8-10 ore settimanali in laboratori linguistici di Italiano, con insegnanti specializzati. I ragazzi hanno poi bisogno di continuare ad essere supportati nell’apprendimento dell’Italiano attraverso laboratori di diverso livello, tenendo presente che “la fase più delicata e complessa” è l’accesso all’italiano dello studio.
Chi conosce la scuola italiana sa che, oggi come oggi, non esiste un’organizzazione strutturale e stabile di questo tipo: il compito di rispondere ai bisogni degli studenti stranieri è in gran parte nelle mani dei singoli istituti, chiamati a cercare finanziamenti aderendo a bandi, ad ideare progetti, organizzare attività. Questi documenti però indicano la strada, mettendo al centro la responsabilità della formazione di tutti i bambini e ragazzi. Una scuola come quella delineata nei documenti ministeriali prevede grandi e duraturi investimenti strutturali. Per diventare realtà, richiede una società realmente consapevole del compito della scuola, capace di prendersi a cuore il compito della formazione dei propri figli e di non vedere nei bambini e nei ragazzi svantaggiati un “problema”, ma un appello alla propria responsabilità di adulti.
Nell’integrazione degli studenti di origine straniera, nella questione del loro riconoscimento giuridico (attraverso lo ius scholae o in altro modo), emerge così il nostro sguardo sulla realtà e la nostra capacità di vivere questo tempo.
Chi è adulto, oggi, ha vissuto cambiamenti radicali, non solo per la presenza di culture diverse ma (direi soprattutto) per le trasformazioni del mondo del lavoro, dei luoghi di aggregazione, del tenore di vita. C’è un senso di incertezza e di precarietà che ha radici nelle rapide e profonde trasformazioni del nostro tempo e che, a ben vedere, accomuna sia chi è originario di questi territori, sia chi vi è giunto, più o meno recentemente.
In quanto adulti, i ragazzi ci interpellano, che ci piaccia o no. La speranza può stare solo nel realismo, nella durezza magari, della vita concreta: ma per incontrare la realtà, l’unico modo è incontrare le persone. Le nostre analisi, i nostri numeri, possono essere ammantati di realismo: ma o sono uno strumento per costruire una società in cui riusciamo a convivere, ci sentiamo responsabili gli uni degli altri, oppure sono l’alibi con cui costruiamo il nostro fallimento.
Lo sguardo, il volto di ogni bambino e ogni ragazzo ci interpella a trovare la tenacia e la pazienza per riconoscersi, e per pensare ed agire in modo degno di loro.

prof.ssa Agnese Miccoli, responsabile Ufficio Scuola diocesano

(foto Siciliani/Gennari – Sir)