Quando la demenza colpisce un proprio caro: “e adesso?”

A cura di Selina Trevisan

Immaginate di non essere più capaci di leggere le pagine di questo giornale. O che vi venga chiesto di mettere la firma su un documento e non sapere più come impugnare una penna. Di voler portare qualcosa alla bocca durante un pranzo ma non riconoscere più quale sia la forchetta e quale il coltello. O ancora di non ricordarvi il nome di vostra moglie, di vostro marito, dei vostri figli, di non saperli più riconoscere… Questo è quello che vive ogni giorno una persona affetta da demenza, ma che vivono di riflesso anche i famigliari che la assistono, i cosiddetti caregiver. Un’esperienza che è stato possibile provare “in prima persona” attraverso la “Stanza della Demenza”, un’installazione sensoriale e di realtà virtuale allestita nelle scorse settimane, accanto ad una mostra fotografica sul tema, presso la Residenza per anziani “Villa San Giusto” Fatebenefratelli di Gorizia in collaborazione con la start up Sofia – Sostenere Ogni Famiglia in Autonomia.
Guidati dalla psicologa Annapaola Prestia, CEO della start up, è stato possibile provare per alcuni minuti quella che è una “giornata tipo” di una persona con demenza ma affiancata da un caregiver non esperto. Un’esperienza forte, che dopo averla vissuta non lascia indifferenti e pone tante domande.
Abbiamo quindi incontrato la dottoressa Prestia e con lei ci siamo “addentrati” ulteriormente in questi aspetti, scoprendo le attività della sua start up e come sia possibile oggi accudire un proprio caro tra le mura domestiche.

Dottoressa Prestia, Sofia – Sostenere Ogni Famiglia In Autonomia è un progetto particolare, già dal nome si comprende che non coinvolge solo la persona malata ma l’intero nucleo famigliare. Com’è nata l’idea e cosa la differenzia dalle altre proposte a sostegno della Terza età e della demenza?

La dottoressa Annapaola Prestia

Sofia è una Start Up innovativa a vocazione sociale: già questo un po’ ci differenzia – quando io e la mia socia, l’educatrice Silvia Fabris, ci siamo registrate non esistevano start up di questo tipo e continuano a non esserci in Regione FVG -.
Siamo nate nel 2021, dopo un trascorso insieme decennale all’interno di una cooperativa per la quale gestivamo i servizi domiciliari agli anziani, i centri diurni e sociali. Abbiamo deciso di creare qualcosa che fosse un po’ estraneo alle “logiche” del Terzo Settore, ma che fosse comunque qualcosa di inerente al sociale, perché demenza e invecchiamento hanno molto a che fare con il sociale e quasi niente a che fare con il sanitario, mentre si tende a trattare questa “problematica” solo da quest’ultimo punto di vista.
Siamo nate quindi in piena pandemia, in un periodo in cui a casa degli anziani non andava nessuno, iniziando a portare a domicilio due cose: i liberi professionisti e la tecnologia domotica; tutto quello che può servire per poter rimanere nella propria casa il più a lungo possibile, con una qualità di vita decente per il malato e per chi assiste. Abbiamo poi continuato costruendo progetti, partecipando a bandi, dialogando con i Comuni, cercando di realizzare quella cosa meravigliosa che è la “comunità amica della demenza”.

Come si struttura la proposta e che servizi vengono messi in atto?

Lavoriamo in rete, dalla pedicure fino al geriatra, passando per lo psicologo, l’infermiere, il fisioterapista, l’educatore, il farmacista territoriale, il musicoterapeuta, le pet – terapiste… tutte professioni che al domicilio spesso nemmeno si immaginano!
Spesso le persone sono convinte di aver bisogno di una badante e fanno questa richiesta perché non sanno che può esserci altro. L’esempio tipico è quello dell’anziano a rischio cadute: i famigliari non possono stare con lui o lei costantemente e pensano serva qualcuno che lo o la “guardi”, quando invece ci sono ausili di domotica che aiutano ad avere autonomia anche come caregiver.
Se a questo si aggiunge, ad esempio, uno psicologo per la stimolazione cognitiva o per la reminiscenza, che tiene la persona impegnata, questa è più lucida, un pochino si stanca e alla sera dorme meglio… da cosa nasce cosa e si riesce a mantenere la persona a casa, in maniera positiva, supportando la famiglia.
La si fa infatti entrare in rete con altri famigliari e associazioni, le si dà la possibilità di essere formata con dei corsi e delle attività che realizziamo, abbattendo altri fattori di rischio peggiorativi quali la solitudine, l’isolamento, la depressione, che mandano “fuori di testa” i famigliari e peggiorano la qualità dell’assistenza.
Un caregiver stanco assiste male, la persona lo percepisce, sta ancora peggio, il caregiver si stanca ancora di più e si entra in un circolo che poi porta al ricovero sostanzialmente obbligato.
Si tratta quindi di svolgere un lavoro di ricomposizione di quelli che sono gli attori; il nostro compito come Sofia è quello di fare da intermediario per la famiglia, in primis tra i nostri professionisti e la famiglia stessa, ma nel tempo è diventato anche un’interfaccia rispetto ai servizi presenti sul territorio, riuscendo a dare risposte concrete alle famiglie.

Parlava prima della “comunità amica della demenza”…

Le bambole utilizzate nella doll-therapy

Sul Basso isontino ci stiamo riuscendo in collaborazione con Asugi, Associazione Alzheimer isontino con cui collaboriamo e Ambito dei Servizi Carso – Isonzo – Adriatico. Siamo veramente una “comunità amica della demenza” in cammino. Abbiamo attivato il “Caffé Alzheimer”, un servizio partito lo scorso marzo e che sta avendo un successo incredibile con quasi 40 famiglie iscritte. Si svolge due volte alla settimana con una presenza costante di 12 – 15 famiglie, il che significa 30 – 40 persone. Al “Caffé Alzheimer” c’è attività separata ma in contemporanea per persone con demenza e familiari.
È un servizio che fa davvero capire quanto è alto il bisogno anche di leggerezza, di condivisione, di tempo. Quando il gruppo è separato, i famigliari hanno delle attività per loro, come ad esempio lo psicologo per il rilassamento o la presenza di qualche esperto, la presentazione di libri ma anche danzaterapia, musicoterapia… qualcosa insomma che può dare leggerezza ma che fa condividere il problema e il peso dell’assistenza. Nel frattempo il proprio caro è nell’altra stanza, che fa altro di utile per sé.
Proprio il 18 ottobre a Monfalcone, presso la Sala Congressi di Marina Lepanto terremo un convegno aperto a tutti dal titolo “Prendersi cura della demenza come comunità” e in quest’occasione riproporremo anche la “Stanza della Demenza” (per informazioni info@sofiaperlafamiglia.it e www.alzheimerisontino.it).
Nella nostra sede di Gorizia poi lavoriamo con piccoli gruppi, anche in questo caso offrendo la possibilità ai famigliari di ritagliare del tempo per sé mentre il proprio caro è assistito e svolge delle attività.
Sull’Alto isontino siamo partiti con un progetto biennale di Intergenerazionalità, finanziato dalla Regione e dal Comune di Farra d’Isonzo. L’idea è piaciuta anche al Comune di Gradisca d’Isonzo e la presenteremo a breve, il 19 ottobre. Si tratta di un progetto di sollievo gratuito per le persone di Gradisca e dintorni, con l’obiettivo di “richiamare” anche altri Comuni per realizzare una sorta di “Centro diurno diffuso”, riuscendo così a dare alle famiglie una risposta dedicata che nell’Alto isontino in questo momento non c’è – come non c’è in questo momento nemmeno nulla di “intermedio” tra la propria casa e la casa di riposo, motivo per cui spesso, per queste persone, l’ingresso è sconvolgente -.

Quali sono in questo momento le difficoltà maggiori che una famiglia affronta una volta ricevuta una diagnosi di demenza?

Intanto il capire da dove si comincia, da chi andare. Dal medico di medicina generale? Dal neurologo? Dallo psichiatra o dallo psicologo? C’è una grande confusione e una presa in carico molto frammentaria. La famiglia molte volte si trova a fare decine di visite, spesso private a pagamento, perché non trova una risposta unitaria, e questa è la prima difficoltà. La seconda, una volta inquadrata la tipologia e ricevuta la diagnosi di demenza, è il quesito “e adesso?”. Tutti sanno che c’è la casa di riposo, tutti sanno che è possibile trovare una persona che assista in casa, ma spesso si ignorano quelli che sono i pochi ma funzionanti servizi territoriali, proprio perché la demenza continua ad essere trattata solamente dal punto di vista sanitario.
Il grosso sta nel comprendere che è una malattia che non si tratta molto dal punto di vista farmacologico mentre molto si può fare educando il famigliare a prendersi cura del proprio caro.
Nel momento in cui si riceve una diagnosi di demenza, la battaglia finale è già persa, non c’è cura; il punto è che ogni giorno possiamo vincere la nostra piccola battaglia, cercando di mantenerci bene noi e mantenere bene la persona che assistiamo.
La terza problematica infine, è trovare persone valide, che possano garantire assistenza di qualità e di un certo livello.

Lei prima parlava della domotica. Quali sono alcuni strumenti che possono essere utilizzati in casa, in famiglia?

Una speciale poltrona e tappeto anticaduta

La domotica è piuttosto semplice e viene usata dal famigliare, non dal malato, per una sorta di monitoraggio. Ci sono ad esempio delle particolari poltrone, molto avvolgenti e costruite con materiali morbidi, con una specifica conformazione. Queste, oltre appunto ad “avvolgere” la persona, facendola stare comoda e rilassata, rendono un po’ difficoltoso l’alzarsi senza l’aiuto di qualcuno. Questo abbassa di molto il rischio di caduta. Se abbinata poi ad un tappetino anticaduta, dotato di un particolare rilevatore di pressione, dà il tempo al caregiver, che magari si trova in quel momento in un’altra stanza e che ha con sé il dispositivo di rilevazione collegato, di arrivare alla persona ed aiutarla ad alzarsi.
Oppure ci sono dei rilevatori GPS da indossare semplicemente come un orologio, alcuni possono anche far partire una chiamata ad un numero di fiducia in caso di necessità, altri ancora possono essere cuciti dentro gli abiti; il caregiver, tramite un’app, può monitorare gli spostamenti del proprio caro assistito e in caso di bisogno intervenire.
Ci sono poi vari dispositivi terapeutici per “tenere impegnate” le persone e per rilassarle, come ad esempio le bambole o i peluches terapeutici. Le prime danno ottimi risultati anche sul “prendersi cura” di sé: le persone, accudendo le bambole, sono stimolate a fare altrettanto. Un esempio: una signora i cui caregiver facevano difficoltà a lavare sotto la doccia, stimolata ad accudire la bambola e a farle il bagnetto, ha ripreso a lavarsi in maniera completamente autonoma.

Una cosa che mi ha molto colpita nel corso della cerimonia di inaugurazione della mostra fotografica e della “Stanza della Demenza” a Villa San Giusto, è stata quando avete specificato come la demenza, contrariamente a quanto si pensi, non è una cosa che colpisce solo la popolazione anziana…

Esatto, la demenza giovanile sembra non esistere ma c’è. Il più giovane malato al mondo ha solo 18 anni, il più giovane che ho visto io ne aveva 36 al momento della diagnosi. Abbiamo famiglie che assistono malati di 44, 48, 50 anni. Persone che hanno figli, che lavorano, che non possono andare in pensione e non sanno come devono vivere. Ci sono migliaia di persone nella nostra Regione colpite da demenza in età giovanile per le quali non c’è assolutamente niente: se ho 50 anni e mi si mette in casa di riposo con i 90enni che cosa farò? Quali attività ci sono? Le esigenze sono ovviamente diverse, quindi diventa ancora più difficile gestire tali situazioni. A maggior ragione, questi sono caregiver ancora più bisognosi: parliamo di famiglie con figli piccoli, bambini di 10 anni che si trovano ad assistere un genitore, di mogli che devono lavorare per due, assistere figli se presenti e contemporaneamente il compagno malato o viceversa, ma anche di genitori 80enni che devono occuparsi dei figli 50enni che hanno una demenza. È un problema non da poco.

Riguardo all’esperienza aperta al pubblico che avete svolto in collaborazione con Villa San Giusto, qual è il bilancio finale e quali le idee, gli stimoli nati e che vorreste ora sviluppare?

L’esperienza è andata davvero molto bene. Alla “Stanza della Demenza” hanno preso parte più di 70 persone; è stata molto intensa e sul book delle firme i partecipanti hanno lasciato commenti estremamente positivi. Mi ha molto colpito questo: “Un’esperienza che tutti dovrebbero provare, per capire come ci si sente nei loro panni”.
Molte persone sono uscite in lacrime dopo l’esperienza con i visori per la Realtà virtuale ed è stato colto il lato positivo dell’esperienza, ovvero il “conoscere”, il “fare attenzione” anche a come ci si pone e a cosa si richiede alla persona malata.
La cosa bella è che, sia alla mostra fotografica che all’esperienza sensoriale/di realtà virtuale hanno preso parte sia cittadini che magari hanno la presenza di questa problematica “in casa”, sia persone che semplicemente volevano saperne di più, ma anche tanti operatori di Villa San Giusto – persone quindi che già operano con persone affette da demenza -. Ne parlavo proprio con il direttore della struttura, Alessandro Santoianni, che queste dovrebbero essere delle attività che rimangano poi come una sorta di “palestra” anche per gli operatori, perché finché non ci si mette nei panni dell’altro non si riesce completamente a capire quant’è difficile per quella persona anche semplicemente leggere il giornale, cosa che un tempo faceva e che ora non sa fare più. Sarebbe bello quindi farne qualcosa di strutturale da una parte e di itinerante dall’altra.
Tra i prossimi progetti abbiamo poi in mente, sempre con i residenti di San Giusto, di mettere in atto qualcosa per Natale, magari anche sviluppando un percorso di arteterapia che coinvolga residenti, animatori, educatori, per realizzare qualcosa che abbia un senso pieno.
Infine desideriamo lavorare affinché la demenza non diventi quello che era la malattia mentale una volta: gente rinchiusa che non si vuole vedere, dietro a dei muri. Proprio in questa direzione si inserisce un discorso di conservazione delle memorie, una “biblioteca della memoria” che mi piacerebbe poter sviluppare – al momento è “work in progress” – in vista di Go!2025: gli anziani hanno tanti ricordi e storie da raccontare di quello che erano Gorizia e il suo confine e sarebbe bello poterli raccogliere e far conoscere a tutti.
Facciamo entrare il “fuori” “dentro” e portiamo il “dentro” “fuori”, questo è l’obiettivo primario.

 

(Foto di copertina: Siciliani-Gennari/SIR)