Dallo sfigurato al trasfigurato
25 Ottobre 2024
Dallo sfigurato al trasfigurato; un cammino di fede nella sofferenza. È stato questo il titolo del convegno dell’AIPAS (Associazione Italiana di Pastorale sanitaria) che ha fatto arrivare ad Assisi oltre 200 persone operanti nel campo della sanità e della pastorale della Salute, tra i quali anche una rappresentanza della nostra diocesi.
Il teologo Paolo Curtaz ha aperto il convegno con una riflessione a partire dal brano di Luca cap. 9,29 che narra della Trasfigurazione di Gesù sul monte dopo che egli aveva chiesto ai suoi: “E voi chi dite che io sia?”.
Nell’annuncio della sua morte e risurrezione, lui spiega come voglia essere il Cristo, disposto a morire sulla croce pur di non tradire il messaggio del Padre e chiede anche a noi di “perdere” la nostra vita fino a donarla.
Sul monte Tabor, poi, egli si trasfigura ed i discepoli lo vedono in modo nuovo: anche noi siamo chiamati a guardare Gesù con uno sguardo nuovo per cogliere nello stupore la sua bellezza come san Francesco. Ed ha concluso sottolineando che come Gesù “Mentre pregava cambiò d’aspetto..” anche per noi con la preghiera cambiamo la nostra vita anche perchè una vita interiorizzata alla luce della Parola fa rifiorire la nostra vita e ci fa camminare nella ricerca del volto di Dio.
Padre Carmine Arice ha proposto una riflessione sul senso della nostra tribolazione alla luce del documento “Salvifici Doloris” a 40 anni dalla sua pubblicazione.
Al dolore ci si deve accostare con pudore, con rispetto perché non è nella natura dell’uomo il soffrire, ma fa parte della sua esperienza anche se è difficile dargli un senso: è una questione anche escatologica legata alla salvezza dell’uomo che muore quando perde la prospettiva della vita eterna.
C’è un dolore fisico ma anche morale, dell’anima, la cui origine per entrambi rimane un mistero. Il documento cerca di rispondere a questo interrogativo spostando il dolore dal perché causale, al perché finale, paradossalmente può diventare una grazia. Cambiando lo sguardo su di esso, si può superare la sua inutilità.
Padre Arnaldo Pangrazzi ha presentato il cammino quarantennale dell’AIPAS caratterizzato sempre da nuove opportunità, una presenza passata attraverso le strutture ospedaliere, le parrocchie, i ministri straordinari dell’Eucarestia, i diaconi permanenti,cercando di capire cosa fare per il malato, cosa comunicare a lui, cosa essere per lui, fino a chiederci cosa apprendere dal malato, che diventa il nostro evangelizzatore.
E come consegne per il futuro l’associazione si auspica di essere sempre al servizio della Chiesa in collaborazione con l’Ufficio della CEI per camminare insieme, individuando i mondi della salute più urgenti su cui riflettere, per essere luoghi di laboratorio e di formazione per la cura degli operatori pastorali e per creare una mentalità ed una cultura di valori etici.
Sono seguiti poi vari laboratori che hanno visto i partecipanti dividersi in gruppi per confrontarsi “sui sentieri della trasfigurazione” attraverso le vie della bellezza, della giustizia, della resilienza, della prossimità, della libertà e della spiritualità.
Il prof. Antonino Giannone ha sviluppato il tema CIntelligenza Artificiale, società digitale e nuovo umanesimo, cui è seguita la riflessione del dott. Alfredo Anzani su “IA nei modelli di cura e di assistenza sanitaria”. Infine don Massimo Angelelli, direttore dell’ufficio Cei della Pastorale della Salute ha concluso il convegno a partire dalla frase “Non sei solo, mi prendo cura di te”.
La dimensione della solitudine del malato è uno stato di sofferenza esistenziale, uno stato d’animo di inadeguatezza con noi stessi, con gli altri, con Dio.
Ecco perché dobbiamo prenderci cura di lui, perché siamo stati creati per la relazione; “non è bene che l’uomo sia solo” e Dio crea la donna, cioè il modello di Dio è l’essere in relazione, abbiamo bisogno di avere qualcuno con cui relazionarci.
Se invece cerchiamo di isolare qualcuno, creiamo categorie, recinti, mentre per il cristiano l’unica categoria è la persona da amare, senza distinzioni.
Colmare la solitudine è l’esserci di Dio, questo è il termine di cura. Il comandamento della cura è stare vicino all’altro, imitando il modello di Gesù, con compassione, ascolto,tenerezza. Anche perché fare il bene, ci fa stare bene!
diacono Paolo Zuccon
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