Parthenope

Ci sono pellicole che narrano fatti e altre che muovono suggestioni e queste seconde sono spesso a firma del regista Napoletano Paolo Sorrentino che, con la sua nuova pellicola “Parthenope”, pare mettere in sequenza istantanee della vita di una bella ragazza nata nelle inconfondibili acque blu di Posillipo (a poche miglia da Capri). Una sequenza […]

30 Ottobre 2024

Ci sono pellicole che narrano fatti e altre che muovono suggestioni e queste seconde sono spesso a firma del regista Napoletano Paolo Sorrentino che, con la sua nuova pellicola “Parthenope”, pare mettere in sequenza istantanee della vita di una bella ragazza nata nelle inconfondibili acque blu di Posillipo (a poche miglia da Capri).
Una sequenza quasi disordinata (così come sono i ricordi di ognuno di noi) con un’unica vera protagonista sullo sfondo costantemente sotto esame: la città di Napoli.
Per chi non è natio di quei luoghi stretti tra il Vesuvio e i Faraglioni, non è facile comprendere appieno questo bisogno continuo di perseverare su questa domanda. Immagino che pari esigenza non ne abbia un Goriziano o un Bresciano. Invece Napoli vibra costantemente come figura a sè, un terzo incomodo che esalta o rovina le scene, un di più con una sua anima ingombrante. Di certo non solo scenografia.
Napoletani che narrano dei Napoletani in terza persona. Una dichiarazione da un lato viscerale di amore e dall’altro mentale di fastidio, se non addirittura disprezzo.
Lo spettatore non può che affidarsi al regista in questa terra di nessuno, facendosi guidare dal suo sguardo su cose perennemente in contraddizione: ricchezza e povertà, amore e morte, potere è paura, purezza e malaffare, perfino la bellezza insistentemente di Parthenope, calamita di costanti attenzioni, è rappresentata triste e sterile.
Concentrata su sè stessa e intrappolata nei rimpianti, la sua è una vita che forse resta alle spalle, ingenerativa di futuro.
Forse. Perché Paolo Sorrentino non lo dice chiaramente: lascia domande aperte in un confronto costante con lo spettatore. Quasi a dire “tu cosa ne pensi?”: suggestione da raccogliere o far scivolare pigramente lasciandola incompresa.
Si è detto dei rimpianti, e in particolare quelli amorosi, denominatore della vita di tutti noi. Quelli cioè che ci tentano a pensare che “se fosse andata diversamente, chissà oggi cosa e dove saremmo”.
Nel confronto che Sorrentino pone, pare vedere nel rimpianto una nostalgica panacea ai dispiaceri nati nel passato e che nell’oggi ancora insistono. Un esercizio mentale, più che altro, per assolversi, moltiplicare, distrarsi dal presente.
Fu un altro celebre Napoletano ad occuparsi dei tempi della vita “La felicità vive nel presente” disse “Tutti sono capaci di dire “come ero felice quando avevo vent’anni” ma non è vero, a vent’anni nessuno era felice. Tutti sono capaci di proiettarsi nel futuro “farò, vedrò” ma non è vero, non lo puoi sapere. Saggio invece è colui che se ha sete, beve e se ha fame, mangia, se vuole amare, ama. La felicità vive il presente'” (Luciano De Crescenzo)