Storia dei Cappuccini fra eresie e stregonerie

Giovedì 14 novembre, alle 18.30, nella sala di rappresentanza di Palazzo Locatelli sarà presentato il libro “I Cappuccini a Cormons – Eresie, stregonerie e personaggi del Seicento e Settecento” di Franco Femia, edito dalla Società Cormonese Austria. Dialogherà con l’autore Ivan Bianchi, direttore de Il Goriziano.
A tutti i presenti sarà fatto omaggio del libro.
Il libro offre un’ampia panoramica sul Seicento nella Contea di Gorizia, un secolo caratterizzato ancora dai movimenti eretici seguiti dalla riforma luterana, da processi per stregonerie e fatti di violenza.
E proprio per questo disordine morale che nel 1612 l’arciduca Ferdinando in una lettera inviata da Graz rimproverò a monsignor Luca Del Mestri, arcidiacono e pievano di Cormons, che “nella borgata di Cormons (…) non si curi, anzitutto spiritualmente, il timor di Dio, poi anche secolarmente la obbedienza alle leggi(…)
La giustizia viene poco rispettata e gli assassinii ed omicidi così frequenti, che in due anni vennero commessi più di venti”.
La risposta di mons. Del Mestri non si fece attendere e due anni più tardi chiamò a Cormons i Cappuccini, il cui ordine era già presente da alcuni anni a Gorizia.
I francescani, a causa delle Guerre gradiscane, poterono insediarsi nella cittadina collinare solamente a metà degli anni Venti e la nuova chiesa, dedicata alla Madonna di Loreto, venne consacrata nel 1627.
I Cappuccini, che si dedicarono in modo particolare alla predicazione e tramite la questua, incontravano la gente, rimasero a Cormons fino al 1785, quando Giuseppe II soppresse il convento.
Nel libro emerge anche il conflitto tra il Patriarcato di Aquileia e gli Asburgo, che effettuavano un controllo anche in materia religiosa e di questo ne risentiva il clero della Contea di Gorizia, abbandonato a sé stesso, scarsamente disciplinato tanto che la stragrande maggioranza di sacerdoti viveva il concubinato come accertarono le visite pastorali effettuate dall’abate Porcia e anche dai patriarchi.
E proprio la differente legislazione tra il Patriarcato e l’Austria portò a metà dei Seicento alla condanna a morte di due donne cormonesi, accusate di stregoneria e come tali mandate al rogo dal tribunale civile nonostante il tentativo di intervento del Sant’Ufficio.