La “riproposta di Maria Zef” contro la violenza di genere

Di particolare suggestione si annuncia l’appuntamento che l’assessorato alla Cultura del Comune di Ronchi dei Legionari, in collaborazione con la locale Biblioteca, ha organizzato per lunedì 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: all’auditorium “Casa della Cultura”, alle ore 18.00, Livio Vianello propone la lettura scenica dal libro “Maria Zef” di Paola Drigo, pubblicato nel 1936 e adattato per il grande schermo nel 1981, con l’ottima regia di Vittorio Cottafavi.
Quel che non si doveva dire sulla prevaricazione violenta subita dalle donne, Paola Bianchetti Drigo lo scrisse in “Maria Zef”, romanzo di stampo verista, crudo e pietoso insieme, ambientato in Carnia, in un contesto di estrema miseria che solo gli affetti profondi rischiarano.
È la storia di Catine e delle sue figliole Mariùte e Rosùte, di 14 e 8 anni, affidate, dopo la morte della madre, allo zio Barbe Zef, un uomo violento che le opprime oltraggiando l’innocenza, sino al tragico epilogo.
Per l’epoca in cui uscì, l’Italia fascista della trimurti “Dio, patria e famiglia”, si trattava di un libro coraggioso, che alzava il velo su maltrattamenti e abusi tenuti nascosti dietro l’idealizzazione del mondo arcaico.
Educare per prevenire vuol dire anche far conoscere quel retroterra; averne coscienza contribuisce ad eliminare le cause profonde di un problema sistemico qual è la violenza di genere. Estirpata non è la concezione della donna ridotta a funzione del maschio, avallata nei secoli anche dalle stesse madri, che nell’allevare le figlie perpetuavano gli stereotipi di subordinazione femminile al capo-famiglia, in ossequio all’ordine costituito sulla base di ruoli e destini prestabiliti. Il fatto che lo “ius corrigendi” -il diritto dell’uomo di “correggere” la moglie, e con lei i figli, anche ricorrendo alla forza- sia stato abolito non prima del 1956, racconta molto della tenuta di un patriarcato eretto a sistema. Per non dire della violenza sessuale, solo dal 1996 riconosciuta dalla legge italiana come crimine contro la persona, e non più contro la morale pubblica.
Ataviche le radici strutturali della sopraffazione maschile, sfociata negli ultimi anni in una piaga sociale dai risvolti tragici, persistendo la sottocultura che ancora vorrebbe la donna “al suo posto”, ovvero che fosse meno sé stessa. Trappola non disinnescata anche là dove l’emancipazione femminile ha restituito alle donne diritti fondamentali a tutela della libera realizzazione come persone e lavoratrici.
Elevato resta il numero di reati di genere, in particolare nella fascia più giovane della popolazione, con un crescendo di agghiacciante violenza, che non viene dal nulla, all’improvviso. Se la consapevolezza sociale del problema è maggiore che in passato, le misure preventive vanno rafforzate, investendo sull’alfabetizzazione emotiva, intercettando situazioni di violenza, aiutando i più giovani a gestire le relazioni sentimentali e a costruire una società più rispettosa e paritaria. Gli uomini capaci di amare -e ce ne sono- sentano la responsabilità di impegnarsi, insieme alle donne, nel dare testimonianza della verità dell’amore.

Annarita Cecchin