Camminare insieme, guidati dalla speranza
18 Dicembre 2024
Chi frequenta la Chiesa, chi conosce i linguaggi ecclesiali sa che quando in un’omelia, in un discorso, in un documento del papa o dei vescovi si arriva a citare la Madonna significa che si sta arrivando alla conclusione dell’omelia, del discorso, del documento. Non so quanto ciò sia rispettoso verso Maria, la Madre di Gesù e Madre nostra. Vedendo la cosa in positivo, si potrebbe dire che alla fine si vuole affidare alla sua intercessione materna tutto ciò che è stato detto e scritto, perché sia secondo la volontà del Signore.
In questo messaggio di augurio per il prossimo Natale vorrei, però, mettere al centro Maria. Del resto se nell’evento di una nascita la mamma non viene posta in primo piano, non si capisce quando mai si potrebbe darle rilievo.
Vorrei pertanto parlare di Maria, ma sotto il profilo particolare della sua esperienza di fede. Perché lei è stata anzitutto una donna di fede. Il grande sant’Agostino, infatti, in un discorso dove parla di Maria come Colei che ha avuto fede e perciò ha compiuto la volontà di Dio, afferma “vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo anziché madre di Cristo” (Sermone 72/A, 7).
Maria discepola ci aiuta pertanto a essere discepoli a nostra volta di Cristo.
Dell’esperienza di fede di Maria vorrei proporre un aspetto che di solito non viene sottolineato.
Si tratta del fatto che Maria non annuncia Gesù, non dice a chi incontra chi sia suo Figlio, ma accoglie e ascolta dagli altri il mistero del Figlio di Dio che in lei ha preso carne. Basta sfogliare i Vangeli per accorgersene. Ricordo brevemente i diversi passaggi. Nell’annunciazione, anzitutto, è l’angelo che le rivela che quel bambino di cui è chiamata a diventare madre (se dice “sì” nella sua libertà…), “sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo […] colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,32.35).
Quando va da Elisabetta, è la sua parente a salutarla come la “madre del mio Signore” (Lc 1,43), riconoscendo il bimbo che Maria porta in grembo come il Signore.
A Betlemme Maria non dice nulla ai pastori, ma sono essi che riferiscono “ciò che del bambino era stato detto loro” (Lc 2,17). Quando Maria e Giuseppe presentano il bambino Gesù al tempio, è il vecchio Simeone che rivela a Maria che il bambino sarà “segno di contraddizione” e che a lei “una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,34-35). Pure nell’episodio del ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio dopo tre giorni di angosciosa ricerca (Maria dice a Gesù: “tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”) ancora una volta Maria deve scoprire chi è davvero Gesù, questa volta da suo figlio che le ricorda che deve occuparsi delle cose di suo Padre, non Giuseppe, ma il Padre dei cieli (cf Lc 2,48-49). Colpisce il fatto che l’evangelista annoti immediatamente: “Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro” (Lc 2,50). Ma aggiunge, cosa che aveva già sottolineato in precedenza, che Maria “custodiva tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51). Maria quindi ascolta dagli altri chi è Gesù, che Lei ha generato, e conserva nel suo cuore tutto ciò che le viene detto per maturare progressivamente nella fede, fino a giungere, come discepola alla croce, al mistero della Pasqua, e diventare lì madre del discepolo amato e quindi di tutti noi credenti.
Prendendo pertanto spunto dall’itinerario di fede di Maria, vorrei suggerire ai cristiani della nostra Chiesa un atteggiamento particolare. Quello di non essere preoccupati nel prossimo Natale di annunciare e testimoniare Gesù, direttamente o attraverso la proposta dei valori che Lui porta: la speranza, l’amore, la pace, eccetera, ma di mettersi in ascolto degli altri e di accogliere da loro il messaggio del Natale. Ciò nella consapevolezza che lo Spirito Santo opera nel cuore e nella vita di tutti e che tutti in maniera esplicita o, più spesso, implicita (ma non meno vera…) portano in sé un riflesso della luce di Dio, della luce del Natale.
Sono convinto che a noi cristiani (anche a noi preti e vescovi…) fa bene non essere sempre dei “maestri”, ma essere anzitutto “discepoli” per ascoltare, scoprire, imparare, meditare dagli altri anche se “lontani” (o presunti tali…). Vorrei che vivessimo questo in particolare con riferimento alla speranza, il tema che ci siamo proposti quest’anno, evidenziato nella lettera pastorale “Finché c’è speranza…” e ancora di più del motto del Giubileo che stiamo per iniziare, “Pellegrini di speranza”. Saper cogliere negli altri, nelle persone con cui viviamo, lavoriamo, entriamo in relazione, nel loro cuore la presenza della speranza. Essere contenti per questo e condividerla con loro da compagni di pellegrinaggio. Perché tutti, cristiani e non cristiani, credenti o non credenti, siamo comunque in cammino, siamo “stranieri e pellegrini sulla terra” (Ebrei 11,13) e camminiamo verso una meta guidati dalla speranza. Noi cristiani sappiamo quale sia quella meta, conosciamo il fondamento di quella speranza, ma non ne abbiamo né l’esclusiva, né la piena comprensione. Come non abbiamo l’esclusiva dell’amore. Se come Maria apriamo le orecchie, se apriamo gli occhi, se apriamo la mente, se apriamo il cuore, sono convinto nel prossimo Natale il Signore ci farà il dono di scoprire che abbiamo molte più sorelle e molti più fratelli, che sperano, che amano, che camminano con noi, più di quanto pensavamo. E questo non potrà che aumentare la nostra speranza e la nostra gioia.
Lo auguro di cuore a tutti.
Buon Natale,
Vesel Božič,
Bon Nadal.
+ Carlo Roberto Maria Redaelli
(In foto, una Natività artigianale proveniente da Betlemme, sullo sfondo Gorizia – Nova Gorica viste da Montesanto. Foto di Ilaria Tassini)
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