Speciale Quaresima missionaria 2025
13 Marzo 2025
L’alleluia pasquale non tace neppure in Quaresima
Da diversi anni per provvidenza vivo a Gerusalemme, in quella vita semplice e insieme molto complicata, diversa eppure simile alle altre vite che si incrociano nei principali crocevia di incontro.
Il luogo dove abitiamo, appena fuori dalla Città Vecchia, vicino alla Porta Nuova è uno di questi crocevia, tutto l’anno. Il tempo di quaresima assume tuttavia caratteri particolari. Quest’anno abbiamo iniziato il tempo quaresimale in concomitanza con il Ramadan musulmano. Con le persone che qui conosco ci siamo scambiati gli auguri: Ramadan Kareem! E loro a noi: digiuno benedetto! Un punto in comune sul quale in qualche modo si crea una comprensione reciproca. Anche se i significati rimangono diversi, in entrambi i casi invochiamo la misericordia dell’Altissimo. Questa terra ne ha disperatamente bisogno…
Il mercoledì delle ceneri, mentre tornavo dal Santo Sepolcro dalla messa, con un’evidente croce grigia sulla fronte, un ebreo ortodosso, che normalmente evitano di appoggiare lo sguardo sugli stranieri, mi ha fissato insistentemente la fronte. La croce… Chissà a cosa anela il cuore di ciascuno che vive quest’ora così difficile della Terra Santa, dalla quale si innalza un grido continuo a Dio da tutte le parti, attraverso il dolore che non conosce muri.
Un grido di impotenza, di delusione, di sopraffazione del male. Chi potrà salvarci, chi mostrare la via di uscita da questo labirinto di morte…? La Croce. Noi cristiani siamo un piccolo gregge con un grande compito.
Quest’anno i cattolici latini e gli ortodossi festeggeranno insieme la Pasqua. Saranno giorni intensi verso la festa più grande, come la chiamano qui i cristiani, l’Aid il Kbir.
La concomitanza della festa con gli ortodossi rende necessaria una attenta logistica. Bisogna far sì che le lunghe e intense celebrazioni della Settimana Santa possano svolgersi nella pace al Santo Sepolcro, per entrambe le Chiese. Tuttavia anche quest’anno non si prevedono molti pellegrini. La pandemia prima e la guerra ora hanno azzerato gli arrivi, che sempre riempivano e animavano i luoghi santi per i tempi liturgici forti. Qualche sparuto gruppetto di pellegrini stranieri, incoraggiati forse dall’invito del Patriarca e del Custode, sta tornando comunque a percorrere le strade di questa Terra Santa, non piccolo segno di solidarietà con chi qui ci vive.
Le settimane di quaresima per i cattolici latini sono segnate da particolari momenti di preghiera, che ritmano l’avvicinarsi della Pasqua: continua, con particolare devozione, la Via Crucis lungo la via Dolorosa il venerdì pomeriggio, guidata dai frati francescani.
Il corteo percorre la città fermandosi a ogni stazione, in mezzo al via vai quotidiano e agli incroci che smistano le persone verso il muro del pianto e verso la moschea. Tutto concomitante.
La processione arriva fino al Calvario e, a due passi da lì, al luogo del sepolcro, dal quale risuona subito dopo già un brevissimo annuncio della Parola della risurrezione e s’intona il Regina Coeli.
Una particolare liturgia avviene anche la notte tra i sabati e le domeniche del tempo quaresimale. Prima di mezzanotte o, con il cambio dell’ora, prima dell’una di notte inizia la recita cantata di liturgie notturne, di cui sono anche in questo caso incaricati i frati francescani.
Queste liturgie hanno la particolarità sorprendente di annunciare in quaresima i brani dei diversi vangeli della risurrezione. In pieno tempo penitenziale, al Santo Sepolcro continua a risuonare la buona novella.
La liturgia notturna culmina con la processione intorno all’edicola della Risurrezione, giro che si ripete tre volte, cantando un’antica melodia, con un testo che si riferisce al Vangelo di Matteo 28: Angelus autem Domini descendit de caelo, et accedens revolvit lapidem, et sedebat super eum, alleluia, alleluia. A Gerusalemme l’alleluia pasquale non tace neppure in quaresima.
Da questa Chiesa Madre si innalza senza posa l’annuncio: Cristo è risorto, è veramente risorto, Alleluia!
Marina Fischer, missionaria goriziana a Gerusalemme
Missione: il contagio della speranza
C’era una volta un vecchio che con fatica, ma anche con tanta passione, stava piantando nel suo giardino un piccolo albero da frutta, quando passò un uomo che gli chiese: “Perché pianti questo albero? Non arriverai mai a mangiare i suoi frutti”. E il vecchio rispose: “Io mangio dei frutti degli alberi che hanno piantato i miei nonni, questo lo pianto affinché li mangino i miei nipoti”.
Un semplice racconto, forse una scena che abbiamo visto anche noi nelle campagne, nel nostro bel territorio isontino. Un albero da frutta, un ulivo, delle viti, piantate e curate con amore pur sapendo che i frutti non arriveranno subito e che non tutto dipenderà dall’uomo ma anche dal clima, da fattori esterni, con un certo tasso di imprevedibilità.
Una metafora che esprime bene il tema della speranza e della missione. Usciamo dai nostri confini geografici e allarghiamo lo sguardo alla grande famiglia umana, alla quale tutti apparteniamo, e sentiamo di esserne effettivamente e affettivamente parte come “Fratelli tutti”. La citazione all’enciclica del 2020 di Papa Francesco non è casuale, e approfittiamo per ringraziare il successore di Pietro per il grande apporto dato in questi ultimi anni. Purtroppo è una delle voci che risuonano nel deserto, lo vediamo dalle notizie di ogni giorno, dall’escalation delle guerre e degli armamenti, del rifiuto dell’altro e della sua diversità. Ma è in questo mondo, non in un altro immaginario e più bello, che dobbiamo e vogliamo vivere, testimoniando e “piantando” il Vangelo, la Buona Notizia. Ce n’è bisogno ovunque, in situazioni diverse ma sempre più interconnesse.
Non siamo soli
Sembra che in questo Anno giubilare dedicato alla speranza, essa sia messa maggiormente a dura prova: un motivo in più per ritrovarci spesso come comunità, discepoli missionari riuniti attorno alla Parola, a Maria, come gli apostoli dopo lo scandalo della croce, ma in uscita dai cenacoli troppo chiusi, timorosi e confortevoli. La speranza è animata dal credere che non siamo mai soli, il Signore cammina al nostro fianco, soprattutto nelle difficoltà, quando i frutti non si vedono. L’auspicio è proprio quello di animarci a vicenda, di contagiarci di speranza. I missionari che operano ad gentes, in altri continenti, o sacerdoti e religiosi di altre nazionalità inseriti nelle nostre chiese locali, ci ricordano la bellezza dell’essere cattolici, arricchiti da culture e tradizioni diverse. Conosciamo ancora poco di quello che succede nelle comunità sorelle degli altri continenti. La nostra vecchia Europa avrebbe bisogno del sorriso e dei canti gioiosi dei bambini africani che animano le Messe affollate della domenica, di sapere che in Asia le donne si vestono con cura e a festa per andare in chiesa, che in tanti paesi dell’America Latina per i giovani la fede è il fondamento di un impegno nel sociale, in favore della dignità e del rispetto delle persone più deboli… Allargare lo sguardo e ascoltare altre esperienze ci può aiutare a non lasciarci rubare la speranza.
Le tre sorelle missionarie
La speranza è una virtù teologale ma tocca e feconda il terreno dell’umano, intercetta la propensione ad agire e un movimento del cuore chiamato “desiderio”. Riporta il Catechismo: “La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo” (CCC 1817). Il già e non ancora: il mondo nuovo sognato da Dio è già in mezzo a noi – non è utopia e i missionari lo annunciano e lo testimoniano – ma non lo è in pienezza, la felicità non è ancora di tutti e per tutti.
Per questo la speranza deve andare sempre insieme con le “sorelle” carità e fede, in dinamiche e movimenti tutti al femminile, che parlino di vita, di bellezza e di futuro. Anche chi lotta per la giustizia, chi promuove la pace senza odio e violenza, è animato dalla speranza, crede in questo mondo migliore, non solo per sé ma anche guardando oltre i confini del proprio giardino. La missione oggi assume diversi volti, come in un poliedro, ma il colore è sempre quello della speranza.
Lucia Catalano, missionaria dell’Immacolata Padre Kolbe
Notizie Correlate