Beatitudini e giudizio finale
26 Marzo 2016
Venerdì 18 marzo si è svolto a San Valeriano di Gradisca l’ultimo incontro dell’itinerario per giovani proposto nel tempo di quaresima. Dopo aver compreso la logica delle beatitudini nel loro insieme, dopo aver sperimentato la beatitudine legata alla misericordia, i giovani hanno cercato di collegare opere di misericordia e beatitudini, non in modo astratto, ma a partire da alcuni racconti e testimonianza. C’è stata la testimonianza di Andrea ed Elena di Muzzana, famiglia legata alla Comunità Giovanni XXIII che hanno mostrato cosa significa vivere le opere di misericordia in casa. Don Flavio Zanetti ha tratteggiato il ritratto di alcuni cristiani conosciuti in Costa d’Avorio che in un momento di particolare tensione, durante la guerra civile, hanno riproposto la misericordia. Anche i giovani delle nostre parrocchie hanno raccontato le opere di misericordia che hanno vissuto durante la quaresima. Il vescovo Carlo ha aiutato a rileggere il legame tra beatitudini e opere di misericordia a partire dalla parabola del giudizio del vangelo secondo Matteo (cap. 25). La musica dell’arpa di Ester Pavlic ha permesso di elaborare le abbondanti emozioni suscitate dai racconti ed ha abbellito la serata. Che cosa abbiamo ascoltato dal cap. 25 del Vangelo secondo Matteo: un racconto di fantascienza? una cronaca anticipata della fine del mondo? un derby tra pecore e capre? Niente di tutto questo. Se vogliamo comprendere il Vangelo di stasera dobbiamo considerarlo una parabola. Gesù presenta le parabole non per il gusto di proporre un raccontino edificante, ma per coinvolgerci, per chiederci dove ci poniamo. Sappiamo che un modo efficace per coinvolgerci nel Vangelo è chiederci “chi è Gesù” e “chi sono io” alla luce di quanto letto e meditato. Ma stasera le domande giuste da farsi sono: “dove sono io?” e “dove è Gesù?”.Rispondendo alla prima domanda, sembra che ci siano solo due possibilità dove possiamo collocarci: tra le pecore, cioè tra coloro che hanno compiuto opere di misericordia (perché le azioni che Gesù descrive non sono altro che opere di misericordia), pur senza sapere che il destinatario presente nell’affamato, nell’assetato, nello straniero ecc. era Gesù o, al contrario, tra le capre, cioè tra le persone che pur avendone l’occasione, non hanno compiuto queste opere. In realtà ci sono altre due categorie per scegliere dove stare. La terza è costituita da chi ha bisogno dell’opera di misericordia: gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ignudi, gli ammalati, i carcerati. Non sono sempre gli altri, qualche volta siamo noi a essere nel bisogno. La quarta categoria è, invece, costituita da chi sa che nell’affamato, nell’assetato, nello straniero, ecc. è presente Gesù: chi, come noi, ha ascoltato la parabola di Gesù appartiene ormai, volente o nolente, a questa categoria. Non ci sarà pertanto possibile dire a suo tempo al Signore: non sapevo che eri tu a chiedermi del cibo, dell’acqua, un’accoglienza, un vestito, una visita. Questa consapevolezza non ci toglie la scelta di decidere da che parte stare, ma ci rende ancora più responsabili della nostra decisione. Non abbiamo scuse: sappiamo che nell’affamato, nell’assetato, nello straniero, ecc. c’è Gesù. Dov’è appunto Gesù? La parabola ce lo presenta inizialmente come giudice. Ma non è un giudice al di fuori o al di sopra del mondo e neppure dentro il campo del gioco della vita ma solo come un arbitro non giocatore. No, Gesù è dentro, è coinvolto. Si identifica con chi ha bisogno, ma anche con chi agisce verso il bisognoso a suo nome. Anche questo lo sappiamo dall’insegnamento dei Vangeli e del Nuovo Testamento. Lo dice bene Paolo, descrivendo così la vita del cristiano: “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20). Occorre allora scegliere, se riconoscere Cristo presente nei bisognosi e in noi e agire come Lui – amare come Lui – o chiudere gli occhi e negare la sua presenza. Per il cristiano compiere opere di misericordia non è anzitutto una questione di carità, ma di fede, perché è riconoscere Cristo nei bisognosi, nei poveri, nei sofferenti. A questo punto ci possiamo domandare: che cosa c’entrano le beatitudini con la parabola della fine del mondo? C’entrano, eccome. Perché questa parabola ci dice come mai sono beati i poveri, i piangenti, i miti, i giusti, i perseguitati, ecc. Lo sono perché Gesù si identifica con loro: sia che siano dalla parte di chi riceve misericordia, sia dalla parte di chi la dà.La sintesi del nostro cammino quaresimale – e vi ringrazio per la vostra partecipazione, il vostro entusiasmo, la vostra dedizione – non è allora un’idea, un impegno, un’azione, ma una persona: Gesù. Le beatitudini sono il suo ritratto: Lui è presente nel bisognoso (e spesso il bisognoso siamo noi…); Lui è presente in coloro che danno da mangiare, danno da bere, accolgono, rivestono, visitano. E questi dobbiamo essere noi.
† Vescovo Carlo
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