San Giuseppe: 574 volti di rifiuto ed accoglienza
27 Giugno 2016
La scorsa settimana si è concluso l’iter burocratico per la gestione degli spazi del San Giuseppe, l’area di borgo San Rocco dove Medici Senza Frontiere ha installato – lo scorso dicembre – un campo per l’accoglienza emergenziale di richiedenti asilo. Il Servizio di pianificazione urbanistica e di edilizia privata del Comune di Gorizia ha risposto positivamente alla richiesta di autorizzazione edilizia a titolo precario presentata dall’Arcidiocesi, volta ad un adeguamento strutturale degli spazi dell’area. Questa autorizzazione permetterà di mantenere la presenza degli attuali 25 container, con un passaggio di consegne ad un ente gestore locale – la cooperativa “Il Mosaico” – che, in accordo con l’Arcidiocesi e con la Prefettura, a partire dal 30 Giugno prenderà in gestione gli spazi e i servizi offerti.Abbiamo incontrato il dottor Yannik Julliot, responsabile del progetto di Medici Senza Frontiere a Gorizia, per tracciare un bilancio di questi mesi di operatività e per delineare le prospettive del futuro più prossimo di questa struttura, che dalla sua apertura a oggi ha già accolto 574 richiedenti asilo.
Dottor Julliot, quando l’organizzazione Medici Senza Frontiere è arrivata a Gorizia, che situazione vi si è presentata davanti agli occhi? Su cosa avete deciso di intervenire?
L’ultima valutazione fatta risale a settembre 2015, quando ancora c’erano persone circa 150 persone che avevano trovato rifugio sulle sponde dell’Isonzo. Avevamo avuto modo di instaurare contatti con i volontari, con la Caritas e alcune autorità locali per vedere che tipo di risposte erano previste in quel momento e avevamo osservato che – anche se c’erano da parte della Prefettura e delle forze in campo degli interventi – il problema rimaneva: erano risposte ad hoc, risposte emergenziali. Il flusso continuava e non vedevamo una risposta “ad arte”, strutturata” per questi arrivi. La Prefettura stessa ci fece notare in più occasioni le sue difficoltà nel trovare spazi disponibili sul territorio.Per questi motivi, vedendo anche l’inverno avvicinarsi, decidemmo – con l’aiuto e la collaborazione di Arcidiocesi e Caritas – di allestire il centro con i containers al San Giuseppe. L’intervento era stato pensato inizialmente per una durata che coprisse il periodo invernale, poi è stato prolungato; successivamente – vedendo che c’era la possibilità con gli attori locali di poter far rimanere la struttura – si è operato con l’Arcidiocesi per trovare una soluzione tecnica, in modo tale da utilizzarla, da parte della Prefettura, come un hub. Questo è arrivato con l’autorizzazione del Comune di Gorizia. Ora c’è un quadro giuridico che permette alla Prefettura di riprendere la struttura e a MSF di effettuare un passaggio di consegne all’ente gestore, che potrà continuare con le stesse attività.
Come Medici Senza Frontiere non avete operato soltanto per portare accoglienza ai profughi ma avete prestato anche soccorso sanitario. Quali le principali problematiche riscontrate?
Il servizio sanitario che abbiamo portato a queste persone è stato realizzato in collaborazione con la Caritas, l’Azienda Sanitaria e la Croce Rossa Italiana di Gorizia; c’è stata anche una collaborazione con una psicologa del locale Centro di Salute Mentale.Le problematiche mediche riscontrate sono principalmente legate a problemi respiratori e dermatologici, ovviamente testimoni delle condizioni difficili di viaggio e di vita che queste persone hanno dovuto affrontare. Dal punto di vista della salute mentale ci sono sofferenze dovute all’incertezza sulla decisione che sarà fatta sulla richiesta d’asilo, al fatto di aver lasciato in patria la propria famiglia e dal fatto di trovarsi in un contesto sconosciuto e non sempre confortevole.Stiamo procedendo, proprio in collaborazione con il CSM, con delle sessioni di psicoeducazione, per far capire a queste persone che alcune patologie – anche piccole – possono essere una somatizzazione di questo sconforto.Il lavoro più capillare di attenzione viene fatto attraverso la figura dei Mediatori Culturali presenti all’interno della struttura del San Giuseppe, che approfondiscono l’analisi del bisogno di queste persone di esprimere il loro disagio e sconforto. Un lavoro che, a questo livello, è importantissimo e offre la possibilità di instaurare una relazione tra le persone, che possono così affrontare la situazione in un modo migliore, proprio attraverso dinamiche di gruppo, attraverso l’ascolto attivo.
Una volta che il testimone passerà alla Prefettura e all’ente che gestirà il centro, i Mediatori Culturali attualmente presenti, rimarranno al San Giuseppe?Da parte nostra speriamo che si possa usufruire di queste persone che sono state già formate e hanno già esperienza operativa presso la struttura e con i richiedenti asilo. I Mediatori Culturali sono essi stessi rifugiati che hanno già ottenuto lo status e che hanno poi seguito, con noi di MSF, un percorso formativo che li ha portati a diventare Mediatori. Sono figure che possono fare una grande differenza, soprattutto nell’identificare quei casi più delicati che possono aver bisogno di un aiuto un po’ più importante, magari essendo indirizzati verso strutture diverse da quelle del San Giuseppe, più mirate.
Cosa lascia Medici Senza Frontiere a chi, a Gorizia, prenderà la vostra “eredità”? Cosa va continuato e cosa vi augurate venga introdotto?In modo concreto lasciamo lo spazio stesso che, come previsto dall’autorizzazione del Comune, ha dei lavori da effettuare per apportare delle migliorie. È una struttura che è già inserita nel tessuto del territorio, attraverso i contatti che sono stati realizzati e attraverso degli automatismi ormai consolidati, anche per assicurare un servizio adatto a queste persone, sia dal punto di vista dell’accoglienza, del riparo, che dal punto di vista amministrativo e burocratico.Rimane poi l’ambulatorio: anche se come Medici Senza Frontiere non saremo più presenti, l’ambulatorio prosegue con il suo servizio.Ovviamente ci sono cose da continuare e da migliorare, sia dal punto di vista sanitario che logistico; dal punto di vista sanitario ritengo soprattutto si debba continuare a lavorare non solo sulle problematiche fisiche ma anche su quelle emotive.Noi ovviamente siamo soddisfatti che quest’intervento messo in atto possa continuare e che la gente che arriva sia presa in carico in maniera strutturata; questo fa una grande differenza.
Guardando all’andamento di questi flussi migratori, cosa possiamo aspettarci per i prossimi mesi?Guardando le statistiche di questi ultimi mesi, si osserva un flusso costante tra gli arrivi, non ci sono stati più ingressi massicci e la “paura” che molti avevano, secondo la quale la predisposizione di un hub in città avrebbe fatto aumentare di molto gli arrivi, si è dimostrata infondata. Le presenze sono circa 70 in questo mese di giugno, grossomodo uguali alle presenze di maggio, che erano 69. Credo che le cifre si attesteranno su questi numeri anche prossimamente.
Dove si focalizzerà ora l’attenzione di Medici Senza Frontiere?Per il momento sappiamo che, con il passaggio di consegne e gli ultimi lavori che ci siamo impegnati di portare a termine per questa struttura goriziana, il nostro coinvolgimento in città si conclude.In Italia i progetti presenti sono diversi: due in Sicilia – a Catania e Trapani -, uno sta aprendo l’altro e già operativo e mira soprattutto alla salute mentale, che riteniamo molto importante dal punto di vista sanitario. L’attività nuova riguarda invece la gestione di una delle barche che portano soccorso direttamente in mare. Abbiamo poi un progetto a Roma per il sostegno alle persone vittime di torture; stiamo infine valutando alcune situazioni che riteniamo critiche: ultimamente una missione di valutazione è stata compiuta a Ventimiglia, non so dire se verrà messo in atto qualche intervento ma una valutazione c’è stata.
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