Dio si rivela sempre datore di vita e vincitore
25 Luglio 2016
Martedì 12 luglio 2016 si è tenuta ad Aquileia l’annuale celebrazione in onore dei Santi Ermagora e Fortunato, patroni dell’Arcidiocesi di Gorizia e della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. Dopo la conferenza del vaticanista Andrea Tornielli, tenutasi nella Sala Romana, presso la basilica patriarcale l’arcivescovo emerito di Gorizia, mons. Dino De Antoni, ha presieduto la liturgia eucaristica concelebrata, fra gli altri, dal vescovo Carlo e dal patriarca di Venezia e presidente della CET, mons. Moraglia insieme a numerosi vescovi provenienti anche da Slovenia ed Austria.Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata per l’occasione da monsignor De Antoni che proprio nella giornata del 12 luglio ha compiuto 80 anni.
Ringrazio l’arcivescovo Carlo per l’invito a presiedere questa Eucaristia e saluto voi tutti.Vi sono grato perché, in questa solennità dei nostri Patroni, i SS. Ermacora e Fortunato un invito così è un dono che mi ha sorpreso ed ha acceso la gioia, perché svela che c’è un posto presso di voi nella forma dell’apprezzamento: “Il dono – è stato scritto – ci conferma a vicenda che non siamo delle cose” (J.T. Godbout). La vostra sottolineatura del traguardo del mio 80°compleanno, non l’avete voluta perché tornassi al mio passato, tendenza frequente nella vecchiaia: voltarsi indietro infatti possiede una grande carica di ambiguità, perché si prova piacere a rovistare nelle vecchie cassapanche che si trovano in quasi tutte le cantine o le soffitte. Là dentro vengono conservati, generalmente, i ricordi di coloro che ci hanno preceduti: vestiti, carte, lettere, oggetti ormai obsoleti. Nella cassapanca poi della nostra memoria non si custodiscono solo oggetti, ma essa conserva i valori e sentimenti, a volte, non più in voga. La tentazione – se non mi ricordassi che “la sapienza si addice ai vecchi” ( Sir 25,6) – oggi sarebbe di portarvi tutti nella mia soffitta, cosa che potrebbe rappresentare un’opzione biofila, se ci riempisse di gratitudine e suscitasse in noi un atteggiamento di benedizione e di gioia; ma so anche che potrebbe tramutarsi in una scelta necrofila, se ci riportasse al passato come ad una zavorra, ad un cumulo di occasioni perse o ad un rosario di nostalgie irrecuperabili.
Avete voluto invece farmi festa, sono certo, per offrire un’ulteriore testimonianza alla verità delle parole del salmista che canta: “Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira, finiamo i nostri anni come soffio. Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore, passano presto e noi ci dileguiamo” (salmo 89).Ecco qui una conferma vivente: gli anni della mia vita sono passati come soffio, non mi sono mancati la fatica e il dolore, ma, onestamente posso aggiungere, che sto sperimentando anche che:“Nella vecchiaia daranno ancora frutto, saranno [almeno per il momento] vegeti e rigogliosi per annunciare quanto è buono il Signore” (salmo 91).Grazie dunque per gli auguri di compleanno, che noi ci facciamo abitualmente, per evitare che il tempo scorra sempre uguale. Per questo infatti abbiamo inventato il calendario, per scandire il tempo. Così ad ogni compleanno finisce un tempo e ne inizia un altro. Da domani poi cosa resta da fare? Continuare a mettere il nostro tempo nelle mani di Dio, perché come dice il salmista:
“Il mio tempo sta nelle tue mani”(salmo 31,16). Il mio tempo! Non è altro che la mia esistenza terrena: il mio passato fin dalla nascita e il mio futuro fino alla morte. Il mio tempo!, cioè la storia della mia vita, ciò che ho fatto oppure omesso e che in futuro farò oppure ometterò… tutto. Questa mia vita sta nelle sue mani.Qualcuno ha osservato (K. Barth) che è importante sottolineare anche il verbo: sta, non giace in qualche posto come una borsetta che qualcuno ha perduto nel tram o altrove. Sta, non rotola come una palla sfuggita da chissà quale mano. Nemmeno trema come fogliame nel bosco. Non dondola o vacilla come un ubriaco. Il tempo sta! Viene trattenuto. Viene portato. E’ assicurato…Nulla, proprio nulla di ciò che è avvenuto, avviene ed avverrà, andrà perso, dimenticato, cancellato, perché la mia vita sta nelle sue mani.E sono quelle mani che ha aperto quando ha gridato: “Venite a me voi tutti, voi che siete stanchi ed affaticati ed io vi ristorerò”. Sono quelle mani che hanno benedetto i bambini. Sono quelle mani con le quali ha toccato e guarito i malati. Mani di Dio, forti mani di un padre; buone delicate mani di una madre; mani di un amico; mani misericordiose di Dio.
Ma noi siamo qui principalmente per celebrare i Nostri Patroni che ogni anno ci vengono incontro come maestri di vita cristiana e di testimonianza del Vangelo fino al martirio.Della loro vicenda umana poco sappiamo. Essa è avvolta nelle nebbie della storia. I loro nomi sono presenti in vari martirologi; siamo certi del loro martirio, sappiamo che hanno vissuto in tempi autunnali per ferocia contro la fede cristiana. Erano tempi in cui tutto sembrava trascinarsi senza intravvedere spiragli di speranza., ma hanno saputo resistere, per dirci che anche i tempi difficili si possono trasformare in occasione di irruzione del potere di Dio e per ricordarci che se vogliamo fare un balzo in avanti dobbiamo tornare alla storia delle nostre origini, che sono state accompagnate da un sogno che alimentava la comunità cristiana dei primi secoli, il sogno di essere una Chiesa capace di ospitalità dell’umano, uno spazio di libertà e di amore, di prossimità e di vicinanza. Un luogo dove la gente trova casa, dove respira, per ritornare a vivere la famiglia ed il lavoro, l’impegno sociale e la vita di carità, con più scioltezza e speranza. Ospitare l’umano , liberandolo dalla visione consumistica e mercantile con cui uno misura la felicità della propria vita. Un umano ospitale capace di fare rete, di suscitare responsabilità, di sostenere ciò che unisce prima di ciò che divide; un umano che attrae per le sue parole e le sue opere. Ciò comporta che nasca una piattaforma di rete, soprattutto in un momento come questo in cui si riducono le nostre forze, si moltiplicano gli impegni, si allargano i confini dell’annuncio, vengono richieste disponibilità generose. Tempo in cui c’è più bisogno di facilitatori, di pontieri, di traghettatori, per dare spazio alle nuove scelte che la pastorale oggi richiede.Ermacora e Fortunato vengono a ricordare a noi, che ci sentiamo incapaci, impossibilitati ad affrontare il nostro tempo, che Dio si rivela sempre vincitore e datore di vita e fecondità. I tempi difficili riconosciuti, accettati ed accolti invece di imprigionarci in un recinto senza uscita, possono diventare finestre attraverso le quali possa entrare la forza creatrice dello Spirito. Dove finiscono le nostre possibilità, iniziano quelle di Dio.A Cana mancava il vino; i discepoli avevano soltanto cinque pani e due pesci per sfamare una folla; le donne , la mattina di Pasqua, erano consapevoli di non poter spostare la pietra del sepolcro. Tutti quei “non avere”, “non poter contare su…”, “non essere capaci di…”, proprio come il non conoscere uomo di Maria nell’annunciazione, tutti i nostri “non si può”, riceveranno la risposta che conosciamo: “Non temere…nulla è impossibile a Dio”(Lc 1, 37).Bisognerà forse giungere a toccare il limite delle nostre risorse pastorali, varcare la soglia della nostra impotenza, vedere ridotti ulteriormente il numero dei presbiteri prima di diventare veramente credenti?Il ventre avvizzito di Sara, il vuoto primordiale del caos, le nostre mancanze di vino, Lui sa tramutarle in “opportunità”, il “mai” in “adesso”, il “non si può” in “sono io a farlo”.Dio ci sorprende sempre, oltrepassa sempre le nostre miopi aspettative per farsi strada, partendo dai nostri limiti.
Lasciate ora che ritorni a quel giorno, quando lasciai la mia Chioggia.L’amore della Madre del Signore partì con me, anche se non potevo saperlo e non arrivavo ad accorgermene. I suo amore partì con me. La sua intercessione per me davanti a Dio preparò i miei passi verso questa terra goriziana. Non ero sicuro di dove stessi andando e non riuscivo a comprendere, fino in fondo, cosa avrei fatto una volta arrivato, non ero il primo a cui succedeva (cfr. Thomas Merton). Fu lei ad aprire i mari davanti alla mia nave, la cui rotta mi condusse a questo luogo che non avrei mai immaginato e che è stato il mio rifugio e la mia casa per tredici anni. A Lei che mi accompagnato per tutto questo tempo, la mia riconoscenza che è un altro nome del ringraziamento.Grazie anche a voi per avere accettato gli errori che hanno arricchito la mia esperienza; per le pietre del cammino che mi hanno fatto fare un passo più lungo; per i progetti non riusciti che mi hanno portato alla felice scoperta che altri avrebbero avuto la capacità e l’intelligenza di portare a compimento.
† Vescovo Dino
Notizie Correlate