Un secolo della chiesa di Javorca
19 Dicembre 2016
Giovedì 1 dicembre è stata aperta nel Centro “L. Bratuz” di Gorizia una magnifica mostra che illustra la storia e i valori artistici della chiesa votiva di Javorca, che fu consacrata esattamente un secolo prima, al termine di lavori condotti per otto mesi nella valle della Tolminka da artisti che facevano parte dell’esercito imperiale. La mostra, che comprende un grande numero di fotografie e di progetti, è stata curata da Damjana Fortunat Cernilogar del Museo di Tolmino ed è già stata aperta in primavera a Tolmino e in ottobre nell’Heeresgeschichtliches Museum di Vienna: il Catalogo, che è curato dalla stessa Damjana Fortunat, con scritti suoi e di vari altri autori, è uscito perciò in sloveno e in tedesco (Spominka cerkev Sv. Duha v Javorca. Sto let “bazilike miru” / Die Gedächtniskirche des Heiligen Geistes in Javorca. Hundert Jahre “der Friedensbasilika”, Tolminski muzej, 2016) e nelle stesse due lingue compaiono le descrizioni e le didascalie. La mostra di Gorizia sarà visitabile fino a tutto il gennaio prossimo.La chiesa, vero capolavoro dello Jugenstil, è descritta e illustrata nella sua costruzione e nelle varie ricostruzioni che l’hanno riportata di volta in volta alle forme originarie, sia negli anni trenta (quando venne a far parte dell’arcidiocesi di Gorizia: cfr. S. T., Aquileia e Gorizia. Scoperte, discussioni, personaggi, Leg, Pordenone 1997, pp. 120-123), sia dopo la seconda guerra mondiale e infine dopo il grave terremoto dell’aprile 1998. Molto ricca è la bibliografia citata dall’autrice, alla quale va anche il merito di aver finalmente fatto conoscere i 2565 caduti i cui nomi sono intagliati nelle tavole fissate a libro all’interno della chiesa. Essi provenivano da tutto l’Impero, dalla Galizia alla Bosnia e dal Tirolo alla Romania ed erano impregnati similmente della stessa cultura.Il merito principale di un’opera tanto pregevole e raffinata si deve al viennese Remigius Geyling, architetto, pittore e scenografo che rifletteva le tendenze più avanzate e nobili della Secessione viennese, nella scia dunque di Otto Wagner. I due grandi angeli ai lati dell’altare definiscono in maniera eccellente modelli che richiamano Gustav Klimt: tornano utili le verifiche possibili con la pittura di questo artista, che fu amico di Klimt e che in certo decorativismo antiplastico e antivolumetrico mostra di rispettare e tradurre la visione nuova dell’arte e della critica storico-formale della Scuola viennese di storia dell’arte. Non meno utili possono risultare i confronti con artisti che agli inizi del Novecento furono attivi nel Goriziano (cfr. “Memorie Storiche Forogiuliesi”, 92-93, 2015, pp. 184-188; si aggiunga qui il catalogo Klimt. Alle origini di un mito, 24 ore Cultura, Milano 2014). Per la mostra, e quindi anche per il catalogo, sono state preziose le consultazioni dell’archivio della famiglia Geyling.A fianco di Remigius Geyling operarono a Javorca l’ungherese Géza Jablonsky e Anton Perathoner di Ortisei, impegnato nell’intaglio del legno: nella mostra è esposta anche la cattedra lignea che questo artista gardenese modellò per la chiesa di Javorca.Di questa chiesa, dedicata al Santo Spirito, si è incominciato a parlare relativamente tardi, dopo che negli anni Ottanta fu individuata durante alcune escursioni alpine che partivano dalla valle in cui sorge: per questo se ne parlò anzitutto in “Alpinismo Goriziano”(maggio-giugno 1989) e quindi, con qualche modifica, in “Iniziativa Isontina” (Memoria Jugendstil per caduti senza ricordo, 93, 1989, pp. 91-98) e, con qualche modifica, nell’antologia di brani dello scrivente: Gorizia e il mondo di ieri (Agraf, Udine 1991, pp. 143-147). Nel 1995 Damjan Prelovšek e nel 1998 Jelka Pirkovi¤ hanno contribuito a inserire in modo definitivo l’edificio nel panorama del Liberty sloveno. Un rimando puntuale in tal senso si riconosce nei particolari con cui Jo¬e Ple¤nik progettò i sostegni nell’interno della chiesa viennese ugualmente dedicata al Santo Spirito e risalente al 1911 (cfr. I. Scheidl, Rolf Geyling. 1884-1952, Wien, Böhlau, 2014, p. 142, fig. 63). Un’ultima annotazione, tra le tante che sarebbe opportuno proporre, riguarda la scarsa o nulla attenzione prestata dalla stampa italiana a un’occasione quale l’apertura della mostra e a un monumento tanto ragguardevole dal punto di vista goriziano: si sono potute registrare finora le segnalazioni della mostra che sono apparse nel “Primorski dnevnik” del 4 dicembre e nel “Novi glas” dell’8 dicembre. Le prevenzioni nazionalistiche perdurano e si dimostrano ancora una volta anguste e, in fin dei conti, autolesionistiche nella riduzione degli orizzonti e nell’esclusione del Goriziano da esperienze tanto vigorose e costruttive.
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