L’arte necessita di progetti a lungo termine
6 Febbraio 2017
Lo scultore Paolo Figar è uno degli esponenti tra i più attivi del nuovo panorama artistico goriziano. Proprio in questo periodo è ospite, assieme al collega Massimiliano Busan, della pinacoteca di Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia con la mostra “Profili d’arte”, facente parte del Progetto Arte promosso dalla Banca di Credito Cooperativo di Lucinico, Farra e Capriva.L’abbiamo incontrato e con lui abbiamo voluto volgere lo sguardo al mondo dell’arte del nostro territorio, per capire la direzione in cui sta andando, le difficoltà che un giovane artista si trova ad affrontare, ma anche i pregi che questa realtà offre.
Paolo, qual è il suo percorso di formazione e lavorativo? In quali città ha mosso i primi passi?
Mi sono formato all’Istituto d’Arte “Max Fabiani” qui a Gorizia, nella sezione Architettura e Arredamento, che aveva nei laboratori una grande parte dedicata alla produzione lignea, alla modellistica e all’intarsio. Da lì i miei studi sono proseguiti a Venezia all’Accademia di Belle Arti, seguendo il corso in Pittura, che aveva una grande interdisciplinarietà. Curiosità e voglia di fare sono stati gli elementi che hanno guidato la formazione.All’Accademia ho avuto l’onore di conoscere Franco Dugo e Sergio Pausig, esponenti di una generazione “forte”, dinamica negli anni ’70, molto coinvolti a livello sociale e politico; ci hanno trasmesso un grande rigore del lavoro e un grande senso di responsabilità che un artista ha, non solo in quello che fa ma proprio nel lavoro come gesto da cui si deve pretendere dignità ma praticandolo in maniera continuativa e non superficiale. Grazie a Dugo inoltre abbiamo potuto fare molte esperienze extra – accademiche, visitando mostre e proponendo il nostro lavoro in visione esterna; ci ha fatto frequentare quello che era il suo ambiente di lavoro: un esempio molto forte per noi.Negli anni ’90 iniziò quindi la mia esperienza, con altri colleghi, nei gruppi artistici, per la promozione di un’arte che uscisse dagli ambienti consueti. Verso il 2003 abbiamo poi osservato che Gorizia necessitava qualcosa di più e, dopo aver avuto anche esperienze all’estero, conoscenze e scambi con altri artisti, abbiamo fondato l’associazione Prologo, buon veicolo per entrare nel tessuto cittadino e instaurare un dialogo con le istituzioni, nonché per rafforzare contatti con artisti da realtà extraprovinciali. L’attività dell’associazione oggi prosegue dando molto spazio alle mostre personali.
In quale direzione sta andando la sua arte ora? Come la definisce, anche alla luce dei contatti presi a livello regionale e in Europa?
Il linguaggio per cui sono conosciuto, sia in Regione che fuori, è la scultura ma, per il mio percorso accademico, pratico anche la pittura.Non credo che oggi ci sia un problema nel definire un’artista pittore, scultore, architetto o quant’altro, è interessante capirne invece l’ambito di ricerca. Il mio è legato all’espressione, utilizzo la figura, ma ho un’impostazione di tipo visionario nel mio lavoro. Negli anni della mia formazione ho ricevuto l’influsso della Transavanguardia; ora di base il mio lavoro opera nella figurazione tra il simbolico e l’espressionista.A livello professionale ho seguito anche esperienze diverse, quest’anno per esempio insegno al Liceo artistico Progettazione e Scultura, dove insegno la metodologia e le tecniche.Inoltre, quando si lavora con altri artisti, trovi qualcosa che fai anche tu, ma anche qualcosa che non fai, pertanto impari sempre, non si finisce mai di formarsi sia tecnicamente che tematicamente, si trovano continui stimoli.Anche l’ultima mostra che ho preparato, ospitata a Palazzo Attems Petzenstein, è andata in questa direzione: è stata impegnativa, sia per la scelta di presentare quasi tutto materiale inedito, sia per i ritmi serrati e le scelte di allestimento di mostra e catalogo. Ha permesso però di fare un po’ il punto della mia produzione fino ad ora e credo che questo apra a nuove possibilità di ricerca.
Come si pone Gorizia nei confronti dell’arte “giovane”? Quali sono le difficoltà che lei e i suoi colleghi in questo momento vedete – o trovate -, ma quali anche gli aspetti positivi del lavorare in una zona che comunque continua ad essere particolare?
Partirei subito dagli aspetti positivi. Gorizia e il goriziano sono sempre stati una terra molto ricca dal punto di vista della mescolanza delle culture, per cui questa è una grande risorsa, che oggi aumenta ancora di più essendo su una via di transito. Questa grande ricchezza creativa è una caratteristica che abbiamo e che, negli anni, ha generato una vita e un tessuto culturale – soprattutto di iniziative private – molto fitto.Questo è anche però un problema, un campanello d’allarme nel senso che, se togliamo o vengono a mancare le iniziative e le proposte dei privati e delle associazioni, viene a mancare una programmazione artistica. Credo quindi che vadano fatte delle scelte precise e con una visione a lungo termine da parte delle istituzioni, per esempio programmazioni di spazi espositivi riqualificati, da esercitarsi con continuità anche da chi seguirà nella successiva gestione dell’istituzione.Servirebbe poi maggiore interscambio, la creazione di “ponti” dapprima con le realtà regionali, poi anche spostandosi fuori, portando qui esempi da altre zone e portando altrove l’arte del territorio, per creare conoscenza della cultura del Friuli Venezia Giulia e potenziando le risorse umane.Gorizia avrebbe tante carte da giocare, un esempio legato al centenario della Grande Guerra: creare un simposio di scultura, utilizzando la pietra carsica, coinvolgendo scuole e artisti da fuori regione, portando magari qui grandi nomi della scultura europea; oppure ancora potrebbe realizzare in uno dei tanti palazzi non utilizzati un centro polifunzionale di laboratori, dedicato soprattutto a giovani artisti che attualmente non hanno o non possono permettersi un proprio atelier dove lavorare. Questo sarebbe anche un modo per dare possibilità di incontro e interscambio.
A tal proposito, come vede la situazione all’interno degli Istituti d’Arte? Crede che i ragazzi riusciranno ad esercitare una futura professione nella loro “terra” o saranno costretti a recarsi altrove?
Il lavoro oggi – un po’ in tutti i settori – va inventato e nel settore artistico è stato quasi sempre così. Credo che un ragazzo dovrebbe completare i suoi studi cercando di vedere il più possibile, di conoscere quante più realtà diverse possibile, di vedere il mondo con i propri occhi. Si tornerà sicuramente più ricchi e magari si potrà fare la differenza.Ci vuole poi certamente anche che il territorio crei possibilità, commissionando progetti agli artisti del posto, cercando di valorizzare il potenziale che già possiede.
Come sono i rapporti tra artisti a cavallo tra Gorizia e Nova Gorica?
I rapporti sono molto buoni, dovuti all’alto impegno transfrontaliero di diverse realtà associative – tra le quali anche Prologo -. Da sempre ci sono molti scambi e sono state realizzate svariate iniziative insieme; c’è una grande volontà nel creare un continuo interscambio e frequentazione, anche se a volte ci si incontra con alcune “barriere” ancora da abbattere, non è sempre così scontato. Si guarda però sempre a rapporti costruttivi, che diano qualcosa e che lascino qualcos’altro.
Quali i suoi prossimi passi? Ha già idee o progetti per il più prossimo futuro?
Come accennavo, quest’ultima mostra ha fatto un po’ il punto della situazione e ci sono sicuramente tante idee per produrre dei lavori che seguano questa direzione, sia a livello tematico che di realizzazione.Sta per aprirsi poi la stagione dei simposi, soprattutto in Trentino, Veneto e Austria, momenti di condivisione e scambio che permettono di tornare più ricchi di idee, tecniche e stimoli.Infine c’è questo “banco di prova” dell’insegnamento: spero di riuscire ad accendere qualche piccolo “fuoco interiore” in qualche studente, che possa così avventurarsi nella propria ricerca artistica.
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