“Non per il sacerdozio ma per il servizio”
27 Marzo 2017
Una delle figure di riferimento presenti all’interno della gerarchia ecclesiastica è quella del diacono permanente. Un’istituzione fortemente sostenuta dai padri conciliari del Concilio Vaticano II che proprio nel n.29 della costituzione dogmatica Lumen Gentium ripristinavano, dopo secoli, il diaconato permanente: “In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani “non per il sacerdozio, ma per il servizio”. Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale, nella “diaconia” della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio. È ufficio del diacono, secondo le disposizioni della competente autorità, amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l’eucaristia, assistere e benedire il matrimonio in nome della Chiesa, portare il viatico ai moribondi, leggere la sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, presiedere al rito funebre e alla sepoltura. Essendo dedicati agli uffici di carità e di assistenza, i diaconi si ricordino del monito di S. Policarpo: “Essere misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti”” [Lumen Gentium, 29]. Oggi, ad oltre cinquant’anni dall’esperienza conciliare, la figura ministeriale del diacono è ancora più attuale. La pastorale ordinaria per esempio è una parte fondamentale dell’attività diaconale, anche in vista del triste fenomeno della riduzione del clero che si sta osservando non solo in Italia ma in tutta Europa. Evidente è anche la presenza “sociale” dei diaconi nelle nostre comunità. La loro presenza in ospedali, scuole e nei luoghi di lavoro può per esempio garantire una presenza capillare e non affievolita della Chiesa nella società odierna. Con l’intervista a Don Alessandro Biasin, delegato diocesano per il diaconato permanente, vi proponiamo una serie di pagine di approfondimento sui diaconi. Avremo così modo di riflettere su una delle tante indicazioni del Concilio parlando di questa figura che si occupa di carità e collaborazione, parlando del coinvolgimento della famiglia, delle sue origini storiche, di esperienze e attese. Senza quindi soffermarsi solo su interrogativi o nozioni teoriche vi parleremo quindi di questo “processo di cambiamento” – così lo definisce don Alessandro – che viviamo, sperimentiamo e testimoniamo con uno sguardo al futuro della vita cristiana delle nostre comunità.
Una storia che affonda le radici nella Chiesa dei primi secoli
Il diaconato ha la sua sorgente nella consacrazione e nella missione di Cristo, delle quali il diacono viene chiamato a partecipare (1. Cf LG 28a). Mediante l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria egli viene costituito ministro sacro, membro della gerarchia.La presenza ministeriale dei diaconi è testimoniata fin dai tempi più antichi della Chiesa. Le fonti bibliche tuttavia non ci danno un’informazione esatta delle precise mansioni o ruoli adempiute dai diaconi in seno alle comunità. Nelle prime comunità cristiane la diakonia non era considerata un imperativo etico, ma il frutto della conformazione a Cristo che lo Spirito operava nei credenti. Si può parlare piuttosto di un clima “diaconale” che aveva spinto la comunità di Gerusalemme a istituire i “Sette” per il “servizio delle mense” (Cf At 6,1-6), che una consolidata tradizione ecclesiale ha identificato come i primi diaconi.Se non sulle mansioni dei diaconi, il libri neotestamentari ci offrono significative informazioni sulla natura e sul senso della diakonia, termine che nella Scrittura assume significati diversi: il servizio svolto, da singoli o collettivamente, a favore degli altri; il servizio caritatevole delle collette verso i poveri, e soprattutto, il ministero missionario e profetico della Parola. Diaconia della Parola, diaconia della comunione e diaconia liturgico-caritativa. Così, accanto alla diaconia comune di ogni battezzato, si incontra quella specifica e sacramentale del ministro.Più documentata e ricca, invece, è la testimonianza, che a partire dai Padri Apostolici, il diaconato ha lasciato sulla natura sacramentale della sua funzione ecclesiale, sulla sua presenza, diffusione e tipologia di impegno, sempre legata a specifiche responsabilità in ordine alla beneficenza.Nel corso dei secoli i compiti e gli incarichi assegnati ai diaconi oltre che ad aumentare, si sono diversificati sempre più a seconda dei vari contesti ecclesiali e sociali. La costante che li accompagnava era il rapporto diretto e strettissimo con il ministero del vescovo.Al di là del fatto dell’esistenza del diaconato in tutte le Chiese sin dall’inizio del II secolo, esso raggiunge la sua stabilizzazione nel corso del IV secolo, venendo considerato come elemento essenziale della gerarchia della Chiesa locale.Nei Concili di Elvira (306-309), di Arles (314), di Nicea (325) il ministero diaconale fu oggetto di riflessione e di legiferazione, soprattutto in ragione al suo rapporto col ministero dei sacerdoti e a ciò che i diaconi avessero potuto o non potuto svolgere in ambito liturgico-sacramentale.Nei secoli successivi, il diaconato, venendo sempre meno esercitato in permanenza (non si sapranno mai con piena certezza quale fu la ragione di questo declino), ma recepito come semplice transizione verso il presbiterato, ha subito una sorta di “neutralizzazione” di “fossilizzazione”. Dobbiamo fare un salto di ben oltre mille anni, fino al Concilio di Trento (1545-1563), per risentirne a parlare. Quel Concilio, che nelle intenzioni aveva anche la decisone del ripristino del diaconato, nella trattazione teologica generale del sacramento dell’ordine, dopo averne definito dogmaticamente la sacramentalità, di fatto non rese evidente la misura con cui si fosse dovuto considerare inclusa la sacramentalità propria del diaconato, e tutto, rispetto alla prassi e all’organizzazione ecclesiale, rimase sostanzialmente fermo.Solo col Concilio Vaticano II, prevalentemente pastorale, con la sua ecclesiologia di comunione centrata sulla Lumen Gentium, venne finalmente restaurato o meglio ripristinato nella Chiesa latina il diaconato come grado permanente della gerarchia, e non più considerato soltanto come una tappa di accesso al sacerdozio ministeriale. L’espressione “diaconato permanente” non si trova nei documenti del Vaticano II, ma appare in seguito nei documenti del magistero. Essa designa il diaconato come ministero esercitato in permanenza. La necessità di qualificare il diaconato come permanente è perché, nella vita della Chiesa, esso era, e lo è ancora, percepito come una realtà transitoria, come tappa verso qualcos’altro: il presbiterato. Per questa ragione il diaconato è percepito come inferiore al sacerdozio – una specie di clero inferiore -, quando invece si tratta, all’interno del ministero ordinato di qualcos’altro: esso non è destinato al sacerdozio, ma al servizio (Cf LG 29a). Perciò, in un cambio di prospettiva, si dovrebbe sempre pensare al diaconato come permanente ed eventualmente come transitorio.La comprensione, affatto scontata, della sacramentalità propria del diaconato risulta quindi come condizione imprescindibile per qualunque ulteriore affermazione. Solo così si potrà con sempre più chiarezza cogliere gli ambiti e le funzioni in cui il diacono viene chiamato in causa.Purtroppo, ad oggi, anche se qualcosa si sta muovendo, si riscontra una insufficiente riflessione sistematica sulla sacramentalità del diaconato, che spesso continua ad essere considerato come un ministero di supplenza presbiterale, ingenerando non poca confusione che talvolta può sfociare in una sorta di “conflitto di potere tra diaconi e sacerdoti”. Sacramentalità diaconale che deve poi realizzarsi nella dimensione ecclesiologica: rapporto del diaconato con l’episcopato, con il presbiterato e con gli altri battezzati.
don Alessandro Biasin, Delegato diocesano per il diaconato permanente
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