Le campane annunciano la resurrezione
12 Aprile 2017
Il suono delle campane veniva a cessare al canto del Gloria della messa del giovedì santo e poteva essere ripreso solamente al momento della risurrezione del Signore che anticamente coincideva verso la fine delle cerimonie della “Grande Notte” di veglia e precisamente all’inizio del Gloria della messa. Con lo slittare del momento delle funzioni notturne dalla notte al precedente pomeriggio inoltrato del sabato, da questo al circa mezzodì e da questo finalmente al mattino iniziale del sabato, anche il momento dello scioglimento delle campane dal loro mutismo fu congiuntamente spostato.I vari codici però non ci soccorrono nel precisare in quale particolare momento delle liturgie pasquali si ritornava all’impiego sonoro delle campane.Un primo codice recita che il suono delle campane veniva ripreso appena terminato il canto delle litanie dei Santi che precedeva immediatamente la Messa. Praticamente quindi tra la fine dei “Kyrie… Christe… Kyrie…” e l’intonazione immediata del Gloria.Un secondo codice più puntiglioso riporta che le campane riprendevano il loro suono nell’esatto momento che i corari nel Gloria cantavano le parole “…et in terra pax hominibus” quasi a ricordare che Cristo risorgendo compiva in certo modo una seconda nascita accompagnata anche questa dal canto angelico invocante la pace per gli uomini.Un terzo codice poi disponeva che le campane riprendessero a suonare appena conferito il battesimo ai “competentes” adulti, e ciò a ricordare che quella loro rinascita spirituale era assimilata alla risurrezione di Cristo.Un codice fa questa raccomandazione: “omnes campanae unanimiter pulsentur” cioè veniva fatta raccomandazione che proprio tutte le campane venissero impiegate simultaneamente nel dare il loro annuncio dell’avvenuta risurrezione.Un residuo storico di quanto sopra riportato sopravvive ancora oggi in certe parrocchie di campagna. Infatti in talune parrocchie vengono suonate a festa le campane quando, in occasione di maggiori solennità, viene intonato il canto del Gloria alla “Messa granda”. Tale suono partecipativo di gioia si ha anche quando viene amministrato il battesimo a un bambino, quasi a manifestare sonoramente e pubblicamente la contentezza per una comunità cristiana che accoglie nel suo seno un nuovo suo membro.Particolarità liturgichedel Giorno di PasquaLa risurrezione di Cristo occupa il posto più importante della fede cristiana e di questa ne è il fondamento. Da ciò ne consegue che liturgicamente la Pasqua è il centro attorno al quale si muove tutto il culto ritualistico cristiano. Passione, morte e risurrezione di Gesù sono la causa determinante del riputo dell’uomo vecchio (peccatore) e dell’assunzione dell’uomo nuovo (redento).Questi due concetti stanno alla base della celebrazione pasquale. Le memoria della passione, morte e risurrezione di Gesù costituisce la pedagogia che guida l’uomo alla rinascita (battesimo) attraverso una conveniente preparazione (iniziazione quaresimale) con relative rinunce al male (scrutini, esorcismi) per arrivare quindi alla rinascita per opera dell’ “acqua e dello Spirito Santo” (battesimo).Nella liturgia aquileiese la connessione tra Pasqua e battesimo è stretta. Lo dimostrano le cerimonie dei giorni pasquali che non mancano di unire ad ogni pubblica funzione sacra o la rivisitazione del sepolcro ormai vuoto e del battistero, o il richiamo verbale (attraverso antifone, inni o altri passi scritturali) alludente all’acqua (battesimale).Prova di ciò ne sono i fatti e le particolarità qui di seguito esposti.Ad Aquileia, nel giorno di Pasqua, all’aspersione del popolo con l’acqua lustrale prima di iniziare la messa solenne, invece di cantare il solito “Vidi aquam” del tempo pasquale, veniva cantata l’antifona: “Dice il Signore: nel giorno della mia risurrezione, alleluia, radunerò tutte le genti, riunirò tutti i regni ed effonderò su di essi, l’acqua pura, alleluia”.Finita l’aspersione seguiva immediatamente una processione che, recandosi all’esterno, girava attorno alla basilica sostando nel ritorno all’ingresso della medesima. Durante tutto il percorso venivano cantati i vari canti incominciando con l’antifona: “Cum Rex gloriae, Christus” e proseguendo con l’inno: “Salve, festa dies” diffusamente noto nel Medioevo (canto questo riportato con note quadre anche da un codice tutt’ora conservato nella Biblioteca del seminario centrale di Gorizia).Mentre la processione sostava all’ingresso della basilica alcuni corari (capi cantori) intonavano il responsorio: “L’angelo, vestito d’un lungo abito bianco assise al sepolcro e le donne vedendolo, fortemente spaventate, si fermarono a distanza. Allora l’angelo ad esse rivolgendosi disse…”.A questo punto i corari, che spostandosi erano giunti all’ambone, esclamavano: “Sia lodato il Signore crocefisso. Magnificate per noi colui che fu già sepolto e adorate colui che è risorto da morte”.Allora il coro entrando in chiesa, dava seguito alle parole dell’angelo cantando: “Dico a voi non temete! Colui che qui cercate morto, già vive e con lui risorge la vita degli uomini”. I corari, dall’ambone spostatisi verso l’altare, rispondevano: “Ricordatevi quando vi avevo già predetto; è necessario che il Figlio dell’uomo venga crocifisso e che al terzo giorno risorga da morte” al che tutto il coro concludeva giubilante con un solenne “alleluia”. E incominciava la celebrazione della messa pasquale.A bene osservare ci si può accorgere che questa liturgia processionale ha stretta analogia con la “Visitatio Sepulchri” del sabato, solo che in questa del dì di Pasqua viene tralasciato ogni apparato scenico di drammatizzazione, riducendosi quasi a una ricapitolazione verbale e condensata di quella ben più estesa ed espressiva della notte precedente. Durante la celebrazione della messa non veniva cantata la nota sequenza: “Victime paschali laudes” bensì quella attribuita a Notker Balbulus (+912) che incomincia con le parole: “Laudes Salvatori…”. Il “Victime paschali” ad Aquileia veniva cantato invece nelle domeniche dopo Pasqua.Ciascuno dei tre giorni successivi alla Pasqua era dotato di una propria sequenza.Incidentalmente è bene ricordare che la chiesa aquileiese era quanto mai ricca di sequenze, tanto da rispondere a tutte le esigenze celebrative ricorrenti nel corso dell’anno liturgico. Il sequenziario goriziano (raccolta delle sequenze) siglato con la lettera “I” ne contiene ben una ottantina con testi e melodie spesso originali, interessanti e pregevoli.Un’altra caratteristica della liturgia aquileiese era quella di esprimere il sacro culto attraverso un uso frequente di cortei e di processioni, manifestazioni queste rese più espressive e suggestive per l’impiego di appositi canti, tanto da poter riempire con questi un codice particolare chiamato per l’appunto “Processionale”.Anche nei secondi Vesperi di Pasqua (con tre soli salmi invece di cinque) ricorreva un evidente richiamo ai misteri pasquali, espresso ancora una volta per mezzo di una processione.Questa aveva luogo appena terminato il canto dei Vesperi e prima di incominciare il canto di compieta (ultima parte del giornaliero ufficio divino).Lungo il suo tragitto tale processione faceva una breve sosta (statio) presso ciascuno di quei siti che richiamavano alla mente un particolare avvenimento pasquale e precisamente l’altare della S. Croce (morte di Gesù), il battistero (rinascita dell’uomo nuovo) e il “sepolcro” vuoto (risurrezione di Cristo). Ad ogni sosta veniva cantata un’antifona che conteneva riferimenti allusivi connessi al luogo “rivisitato”.Questa breve processione era ripetuta dopo i vesperi di tutti i cinque giorni successivi alla domenica di Pasqua.In talune parrocchie della nostra zona era costume che il sacerdote al sabato santo (o anche il mattino di Pasqua) benedicesse le focacce dolci (pinze) o le uova (conglobate in una focaccina a treccia detta colomba). Ciò forse risaliva all’uso antico di benedire il cibo a Pasqua dopo il lungo digiuno quaresimale e l’uovo quale simbolo di nuova vita (il pulcino che esce vivo rompendo il guscio della propria prigione). Non è facile risalire alle origini dell’usanza di tale benedizione. Comunque di questa non se ne trova traccia nell’antica tradizione aquileiese.
(tratto da Voce Isontina del 21 aprile 1984)
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