“Un rinnovato, coraggioso, slancio missionario”
28 Aprile 2017
“Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene” (Rm 10, 15; cf. Is 52, 7). L’Apostolo, con queste parole tratte dal libro del profeta Isaia, intende esprimere la particolare bellezza dell’evangelizzazione, del ministero della buona novella. Ecco, vengono “coloro che recano un lieto annunzio di bene” – e a quei tempi si viaggiava molto a piedi -, vengono e annunziano. I loro piedi sono affaticati, coperti della polvere delle strade, la loro bocca è piena della verità divina, che è la buona novella per gli uomini e per i popoli. Cristo, il primo messaggero del Vangelo, aveva inviato i suoi discepoli dicendo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28, 19). “Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio…”.
Quest’annuncio riecheggia oggi tra noi, in questo luogo storico, che in passato è stato uno dei primi centri dell’evangelizzazione dell’Europa. L’antichissimo patriarcato di Aquileia, ha accolto i primi cristiani nel I e II secolo dopo Cristo e già nel trecento contava una comunità di credenti ben consolidata. La Chiesa aquileiese fondata sul sacrificio coraggioso dei martiri ha sempre avuto, nonostante le tremende distruzioni dei secoli successivi per le invasioni dei barbari, la forza di risorgere. Anzi, si è contraddistinta per le sue vaste aperture apostoliche e missionarie. Nel V secolo venne costituita la Provincia ecclesiastica d’Aquileia, che in seguito prenderà il nome di Patriarcato. Nel suo massimo splendore, il Patriarcato d’Aquileia sarà metropolia di ben 25 diocesi, quattordici nell’attuale Triveneto, quattro in Istria e sette Oltralpe, abbracciando i centri dell’entroterra Alto-Adriatico sino a tutta la Mitteleuropa infradanubiana, dalla Baviera alla Slovenia e all’Ungheria. Quale sorprendente testimonianza di dinamismo apostolico! Tra popoli disseminati in regioni così distanti tra loro, si rese visibile per la prima volta un’autentica cattolicità, un’effettiva comunione, cioè, fra gruppi etnici differenti, accomunati dall’unica fede.
Visitando la vostra diocesi, il Vescovo di Roma desidera prendere parte alla gioia di una Chiesa che, come il seme evangelico, qui attecchì tanti secoli fa ed è diventata albero ricco di fronde e di frutti. Sotto i rami di quest’albero rigoglioso hanno trovato la pace divina della fede moltitudini di vostri avi. Da qui sono partiti numerosi messaggeri della buona novella diretti verso le popolazioni dimoranti nelle regioni circostanti, portando ad esse l’irradiazione della parola evangelica. Cristo ha detto: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28, 18). Ecco il divino potere della redenzione: il potere della pace e della risurrezione, il potere della Pentecoste, il regno di Dio. Dall’antico Patriarcato di Aquileia il divino potere della redenzione si è diffuso rapidamente e di ciò la Chiesa conserva ancor oggi grato e lieto ricordo.
Il ministero della buona novella è la testimonianza. Dopo la risurrezione prima di tornare al Padre, Cristo assicurò agli Apostoli: “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8). Così essi diventarono testimoni, testimoni oculari. I loro occhi avevano visto, le orecchie avevano udito, le mani toccato il divino mistero del Signore crocefisso e risorto. Ma per la testimonianza non erano sufficienti gli occhi, le orecchie e le umane parole soltanto. Occorreva il battesimo. Battezzati nello Spirito Santo diventarono testimoni. Ed essi – coloro che avevano visto, come pure tanti altri dopo di loro che “pur non avendo visto avrebbero creduto” – diventarono testimoni di generazione in generazione.
Scrive l’Apostolo ai Romani: “Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm 10, 9). Nell’introduzione, e nel seguito della lettera di Paolo, risuona una medesima intensa invocazione per i confessori e gli apostoli della fede. “Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentire parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati?” (Rm 10, 14-15). Che grande grido per i confessori e i messaggeri della fede! Quanto è eloquente questo grido nell’antichissima Aquileia!
All’incessante invito del Signore a diffondere il suo messaggio salvifico a ogni creatura, Aquileia ha risposto sin dall’inizio con disponibile apertura di cuore. I vostri antenati, carissimi fratelli e sorelle, hanno trasmesso la verità rivelata con la tenacia della loro fedeltà. Essi hanno unito all’annuncio di Gesù vero Dio e vero uomo, ancor prima del Concilio di Efeso, la proclamazione della divina maternità di Maria, quale argomento qualificante per difendere la divinità di Cristo contro l’eresia ariana. “Non si può parlare di Chiesa – osservava opportunamente il Beato Vescovo Cromazio sul finire del Trecento – dove non c’è Maria Madre del Signore con i suoi fratelli. La Chiesa di Cristo, infatti, è dove viene predicata l’incarnazione di Cristo dalla Vergine” (Sermone, 30). Ad Aquileia si è combattuta con fermezza l’eresia ariana, grazie soprattutto ai Vescovi S. Valeriano e al già citato Cromazio. Ad Aquileia, ancora, si sono formati Rufino e San Girolamo, che conservò poi sempre una grande nostalgia del presbiterio aquileiese da lui ritenuto “sicut domus beatorum”. E poi, come non menzionare il forte sviluppo dello spirito missionario nell’ottavo e nono secolo, sulla scia dell’impulso dato dal Patriarca San Paolino, che inviò i primi evangelizzatori tra i popoli slavi?
Carissimi fratelli e sorelle, la memoria di un passato così ricco di frutti apostolici stimola la vostra comunità a un rinnovato, coraggioso slancio missionario. Come nel primo millennio le due realtà ecclesiali, quella occidentale e quella orientale, trovarono nella Chiesa di Aquileia una felice e costruttiva opportunità di incontro e di interazione, e il mondo slavo e latino iniziarono a crescere insieme nel nome di Cristo, così ai nostri giorni è necessario che la vostra Comunità riscopra il suo storico ruolo di mediazione fra l’Oriente e l’Occidente europeo. Si tratta di promuovere un atteggiamento rispettoso e positivo verso le autonomie e le diverse etnie, con uno spirito universalistico e aperto alla solidarietà. Il contributo dei credenti, radicati nella fede viva in Gesù Uomo-Dio, è indispensabile per permettere all’Europa di ritrovare la sua identità e la sua unità, e, oggi come ieri, è compito della Chiesa – compito della vostra Chiesa di Aquileia – ancorare con vigore la storia degli uomini all’azione di Cristo, Redentore dell’uomo.
Affido questa missione a ciascuno di voi, carissimi fratelli e sorelle, qui presenti. Vi saluto tutti con affetto. Saluto, in maniera particolare, il vostro Arcivescovo, il carissimo Mons. Antonio Vitale Bommarco, e con lui gli altri Presuli del Triveneto, e quelli provenienti dalla Slovenia e dall’Austria. Saluto i Sacerdoti, i Religiosi, le Religiose e i fedeli laici generosamente impegnati nel servizio dell’apostolato. Rivolgo un deferente pensiero alle Autorità civili, amministrative e militari. Saluto, poi, gli ammalati, i sofferenti, gli anziani, i giovani, le famiglie. A ciascuno giunga il mio abbraccio cordiale da questa Basilica, simbolo dell’unità dei credenti e luogo dell’incontro privilegiato col Signore. Mentre rendiamo grazie a Dio, per quanto egli ha compiuto sino a ora, guardiamo fiduciosi verso l’avvenire. Gesù illumina il cammino dei credenti. Il grande mosaico di Giona, che è possibile ammirare sul pavimento di questo storico tempio, costituisce un significativo incoraggiamento a non temere, ma a risorgere con Cristo per annunziare, come il profeta, la salvezza di Dio a ogni persona.
In questo tempo pasquale, ci rechiamo con Cristo su un monte in Galilea: il monte dell’ascensione al Cielo, il monte dell’invio: “Mi è stato dato ogni potere… Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni… io sono con voi… fino alla fine del mondo” (Mt 28, 18-20). Sono le ultime parole pronunciate sulla terra dal Redentore del mondo: esse rimangono per sempre nel cuore della Chiesa, suo mistico Corpo. “La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo” (Rm 10, 17). L’apostolo Paolo, citando il profeta Isaia, domanda: “Chi ha creduto alla nostra predicazione?” (Rm 10, 16; cf. Is 53, 1). E prosegue: “Non hanno forse udito? Tutt’altro: per tutta la terra è corsa la loro voce, e fino ai confini del mondo le loro parole” (Rm 10, 18).Fino ad Aquileia sono giunte quelle arole, e di qui esse si sono diffuse in tutto il vasto territorio circostante. Gloria a te, Re dei secoli!Amen.
Giovanni Paolo II
(© Copyright – Libreria Editrice Vaticana)
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